Saint-Paul-Roux

Louise

Gustave Charpentier, Louise

Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, 11 luglio 2025

★★★★☆

(video streaming)

La Bohème francese: l’unicum di Gustave Charpentier

Una sartina, studenti sfaccendati, poeti sognatori, la bohème della Parigi di fine ‘800. No, non è Puccini, anche se siamo negli stessi anni: è la Louise di Gustave Charpentier, il compositore francese, omonimo del Marc-Antoine del grand siècle ma vissuto tra il 1860 e il 1956.

Allievo di Massenet, a cui successe come accademico di Francia nel 1912, e vincitore del Prix de Rome nel 1887, proprio durante la sua permanenza romana a Villa Medici cominciò a comporre la sua opera più famosa, l’unica entrata in repertorio delle sue quattro, di cui una incompleta (L’amour au faubourg) e l’ultima (Orphée) mai rappresentata.

Scritta in stretta collaborazione col poeta simbolista e ispiratore dei surrealisti Saint-Pol-Roux che gli aveva ceduto per undici mila franchi i diritti per questo libretto in prosa, l’opera fu giudicata scandalosa perché metteva in scena in modo troppo crudo per l’epoca il desiderio femminile e la ribellione contro l’autorità paterna e fu quindi rifiutata. Solo nel 1900, sette anni dopo la composizione, il nuovo direttore dell’Opéra-Comique, Albert Carré, accettò di metterla in scena alla Salle Favart nell’ambito dell’Esposizione Universale di Parigi, con grande successo di pubblico e critica, successo proseguito anche negli anni ’70 quando furono registrate la versione diretta da Georges Prêtre con Ileana Cotrubas, Plácido Domingo e Gabriel Bacquier e quella di Jules Rudel con Beverly Sills, Nicolai Gedda e José van Dam. Quest’ultimo sarebbe poi ritornato nella parte del padre nella produzione all’Opéra di Parigi nel 2007 con Mireille Delunsch.

Il “romanzo musicale naturalista” di Charpentier è il titolo di punta del Festival di Aix-en-Provence orfano del suo direttore Pierre Audi scomparso appena due mesi fa. La produzione è affidata a Christof Loy, che l’aveva già messa in scena a Duisburg nel 2008, e che come sempre lascia il suo segno originale. Con la drammaturgia di Louis Geisler la vicenda viene ambientata in un ospedale psichiatrico, che ricorda la Pitié-Salpêtrière, dove tra i pazienti c’è Louise, ragazza psichicamente turbata che alla fine scopriremo si è inventata un “principe azzurro” immaginario perché la faccia fuggire dai soffocanti genitori, soprattuto dal padre con cui ha un rapporto talmente morboso da sconfinare nell’incestuoso. Louise ha parlato del suo amore per Julien ai suoi genitori e loro hanno interpretato questo desiderio d’amore come devianza e follia (sono di quegli anni gli studi di Charcot sull’isteria femminile e poco dopo quelli di Freud) e quindi decidono di portarla da un medico. Louise trasferisce i suoi sentimenti su di lui, attribuendogli le caratteristiche di Julien, ma Loy va ancora oltre: il medico, il padre e Julien hanno tratti simili e il padre, nel dialogo con la figlia nel primo atto, è persino vestito come Julien, con la camicia aperta sulla canottiera. Il regista ci mostra così la confusione dei sentimenti della ragazza e il suo turbamento. I tanti personaggi inutili alla trama, ma utili al contesto, al colore, in questo culto dei piccoli fatti veri tanto caro al naturalismo, diventano fantasmi della mente di Louise.

La scena unica di Etienne Plus rappresenta una sala d’attesa che si trasforma secondo le fantasie della ragazza. Dopo aver dissipato i dubbi sull’ambientazione (sala d’attesa della stazione? ospedale?), la posizione di Louise tra i due genitori mostra che sono loro a portarla per una visita. La madre viene isolata e il padre compie alcuni gesti (le mette un bavaglino per farle mangiare la zuppa…) che la riportano all’infanzia e allo stesso tempo nella loro intimità sollevano dubbi sulla relazione tra padre e figlia. Poi Louise viene travolta dalla psicosi e dal susseguirsi di fantasie e immagini e lo spazio si riempie di quelle persone comuni – la lattaia, le straccivendole, la spazzina… – che rappresentano quella Parigi sognata. La voluta mancanza di chiarezza per mostrare il disturbo psichico della giovane donna raggiunge il culmine quando i personaggi interpretano due ruoli: Julien è anche il “nottambulo”, la madre è anche la “prima dell’atelier”, il padre lo “straccivendolo”. Sono immagini di una ragazza che mescola realtà e fantasia, un personaggio sia dentro che fuori dalla trama. Nella trama “reale” Louise è fuggita dall’opprimente ambiente familiare, ha scoperto l’amore e vive una vita appagante con Julien ed è qui che canta la famosissima «Depuis le jour où je me suis donnée». Ancora nella trama reale, sua madre viene a prenderla alla fine della festa in cui Louise è incoronata “Musa di Montmartre” e con un ricatto emotivo, che solo i genitori sanno fare, riesce a riportarla a casa e a farle lasciare Julien. Il nodo del quarto atto è l’incontro con il padre e l’impossibile ricongiungimento con un uomo impermeabile all’evoluzione della figlia, che finisce per cacciarla via. Louise è di nuovo sola e libera, ma la storia non dice se ritroverà Julien. Resta il fatto che alla fine dell’opera è definitivamente emancipata al prezzo di una carneficina familiare e affettiva. Ma nello spettacolo di Loy questo climax non è tale, tutto si ferma, cala il buio totale e si torna all’inizio dell’atto I: Louise esce dallo studio medico accompagnata dal suo dottore, che ha le sembianze di Julien e viene affidata ai suoi genitori che la portano via. Sipario.

Questa vaghezza di lettura è accompagnata da un grande lavoro sulla recitazione dei cantanti-attori dominato dalla superba performance di Elsa Dreisig, una Louise in evoluzione da un atto all’altro, dalla figlia succuba del padre in abitino di lana e calze bianche al corto abito rosso quale “Musa di Monmarte” (costumi di Robby Duiveman). Una cantante che mette in luce tutte le sfaccettature della parte con una vocalità solida ma morbida, espressiva e sicura nei virtuosismi.

Fu deludente come Pinkerton l’anno scorso e neanche ora come Jules il tenore britannico Adam Smith convince pienamente. Nulla da dire su presenza scenica, adesione al personaggio e dizione del francese, ma fin dall’inizio la linea del canto è un po’ accidentata e l’emissione troppo aperta, l’espressione manca di stile. Ardua la parte del Padre, qui ancora più rischiosa per la scelta registica di accentare la reazione tossica con la figlia, ma Nicolas Courjal vince la sfida con la sua autorità vocale. La Madre, remissiva fino alla complicità, ha qui la voce di Sophie Koch, dura e tagliente, perfettamente adatta al carattere del tutto anaffettivo del personaggio. Nei ruoli secondari scopriamo la vecchia guardia del canto francese, come Frédéric Caton (Il bricoleur), Marie-Thérèse Keller (Madeleine) e Annick Massis, ancora splendida “spazzina” qui travestita da elegante vecchia regina di Parigi. Ottima la resa del coro dell’Opera di Lione istruito da Benedict Kearns mentre alla guida dell’orchestra dello steso teatro troviamo un inaspettato Giacomo Sagripanti, esperto rossiniano ma anche valido interprete della Carmen di sei anni fa a Torino, il quale affronta con sicurezza sia la concertazione dei vivaci e complessi momenti vocali sia il sinfonismo dei preludi orchestrali, pagine che rivelano l’eredità wagneriana dell’autore. Il flusso costante di idee musicali in continua evoluzione trova nel maestro abruzzese la giusta tensione e tempi e colori adatti.

Louise

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Gustave Charpentier, Louise

direzione di Jordan Armin

regia di Aeby Christian

1992, Grand Théâtre, Ginevra

«È Parigi la vera protagonista dell’opera, la città del piacere, dell’arte, della libertà e dell’emancipazione, estranea al mondo e alla mentalità degli operai e dei borghesi. E l’opera si chiude proprio con la parola ‘Parigi’, pronunciata con disprezzo dal padre di Louise. L’opera, infatti, non vive solo del contrasto tra due generazioni, ma tra due modi di vivere e di pensare. Il direttore dell’Opéra Comique, Léon Carvalho, preoccupato dallo scandalo che avrebbe suscitato Louise, portando in scena la realtà di Montmartre tra poeti e poveracci, propose a Charpentier di trasferire l’azione dal periodo contemporaneo all’epoca di Luigi XV e di inserire un lieto fine; ma il compositore si oppose. Il libretto, intessuto di forti riferimenti autobiografici, è scritto in un linguaggio comune per meglio adattarsi alla semplicità dei personaggi, in uno stile che si potrebbe definire ‘alla Zola’; ma alle parti in prosa, il compositore-librettista alterna pagine in versi, soprattutto nelle romanze. Secondo i canoni dell’arte naturalista, Charpentier descrive minuziosamente la vita quotidiana: la famiglia che a cena mangia la minestra, Parigi che si risveglia con tutte le sue piccole macchiette e i suoi mille personaggi. Inoltre inserisce, persino nell’organico strumentale, il suono di una macchina da cucire. Ma il risultato non è semplicemente un’opera ‘naturalista’: quello che l’autore definì “roman musical” è un vero e proprio dramma lirico. Charpentier è sicuramente debitore del teatro di Massenet (cui rende omaggio anche con una citazione: in un dialogo tra due lavoranti, Camille racconta di aver assistito a una recita di Manon) soprattutto nelle scene più liriche e nei duetti d’amore. Da Wagner, invece, mutua un insistito uso dei motivi conduttori: quello della libertà, già presente nel breve preludio dell’opera, dell’amore (affidato a Julien e Louise), la famiglia (il padre e la madre), Parigi (la strada, il piacere, la sensualità). Louise, considerata la prima opera naturalista francese (l’autore tentò in seguito con Julien, Parigi 1913, un soggetto di genere fantastico, ma senza successo) si differenzia dalle caratteristiche più consuete del verismo italiano: il canto non si avvale di forzature eroiche e domina piuttosto un uso retorico del declamato; Charpentier preferisce una cantabilità più lirica e intimista, più adatta a raccontare la vita quotidiana di una famiglia semplice». (Susanna Franchi)

Su libretto del poeta simbolista Saint-Paul-Roux e del compositore stesso l’opera è stata scritta tra il 1888 e il 1893, ma giudicata scandalosa all’epoca per aver messo in scena in maniera troppo cruda il desiderio femminile e la ribellione contro l’autorità dei genitori, fu rappresentata all’Opéra-Comique il 2 febbraio 1900 sotto la direzione di Messager riscuotendo un grande successo di pubblico.

Atto primo. Louise lavora come sarta: di fronte alle finestre della sua casa vive il poeta Julien. Il ragazzo confida a Louise di aver scritto ai genitori per ottenere la sua mano. La ragazza teme un parere negativo della madre; il poeta la invita a essere più coraggiosa e a sentirsi libera: se i genitori rifiuteranno, fuggiranno insieme. Louise dichiara di amare Julien ma anche la sua famiglia, e di non voler perdere né l’affetto del giovane né quello dei genitori. Sopraggiunge la madre di Louise, e ribadisce alla figlia che quel giovane vicino di casa non le piace affatto: è un ubriacone e un dissoluto. Rientra a casa per cena il padre, che ha appena ricevuto la lettera di Julien. Louise cerca di capire dal suo volto che cosa ne pensa. I tre si siedono a tavola per mangiare la minestra; poi il vecchio operaio balla con la moglie, quindi si siede accanto al camino per leggere il giornale. La madre trova la lettera e inveisce contro Julien che è lo scandalo del quartiere, ma il padre è più conciliante e propone di prendere altre informazioni sul ragazzo.
Atto secondo. Una strada di Montmartre, le cinque del mattino. La città si sta risvegliando: passano una giornalaia, una lattaia e un nottambulo, che sostiene di essere «il Piacere di Parigi». Julien e i suoi amici si recano dove lavora Louise. Il poeta fa una serenata alla ragazza: tutte le lavoranti sono colpite dal suo canto, ma rimangono stupefatte quando Louise decide di lasciare il lavoro per seguire l’amato.
Atto terzo. Julien e Louise vivono insieme a Montmartre. Louise canta il suo amore per Julien (“Depuis le jour”) e la gioia per la libertà conquistata. Arrivano gli amici del poeta e gli altri abitanti del quartiere vestiti per il corteo di carnevale. Il nottambulo è vestito da ‘Re dei pazzi’, Louise viene incoronata musa di Montmartre. Ma arriva la madre, per dire che il padre è gravemente malato e ha bisogno dell’assistenza della figlia; Louise la segue promettendo a Julien di tornare.
Atto quarto. Louise è triste nella casa dei genitori e pensa all’amato. Il padre, ancora convalescente, maledice l’ingiustizia della vita e l’egoismo e l’ingratitudine dei figli; la madre rimprovera la figlia che preferisce l’amore libero al matrimonio. Louise abbraccia il padre ma confessa di sentire il richiamo di Parigi: là c’è l’amore, là vuole andare la sua anima. E Louise fugge, invano richiamata dal padre che, sconfitto, alza i pugni maledicendo Parigi.

Musicalmente Louise attinge a piene mani da Massenet e Wagner, Grande sinfonia con voci in quattro atti collegati da interludi strumentali. La partitura è unificata attraverso leitmotiv (il principale, basato su un arpeggio, viene enunciato fin dalle prime battute) e i personaggi cantano soprattutto in stile arioso dando occasionalmente sfogo a un’intensa effusione come nel celeberrimo « Depuis le jour où je me suis donnée » di Louise nell’atto III.

L’opera non è mai uscita di repertorio e su disco si contano varie edizioni tra cui quelle con Ileana Cotrubas e Plácido Domingo (1976) e con Beverly Sills e Nicolai Gedda (1977). Nel 2007 è andata in scena all’Opéra di Parigi con Mireille Delunsch e diretta da quel Sylvain Cambreling che aveva registrato nel 1983 la bellissima versione con Felicity Lott.

L’unica edizione in video è il film di Abel Gance del 1938 con Grace Moore e Georges Thill. Nel 1992 a Ginevra il Grand Théâtre mette in scena questa edizione con Mary Mills e Gregory Kunde diretti da Jordan Armin, di cui si può vedere su youtube una registrazione di fortuna.

  • Louise, Sagripanti/Loy, Aix-en-Provence, 11 luglio 2025