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Umberto Giordano, Fedora
Piacenza, Teatro Municipale, 8 ottobre 12023
(diretta streaming)
Il sottile piacere del kitsch
Dopo l’Andrea Chénier, la Fedora di Giordano è la più conosciuta di un autore che però sta riconquistando il suo posto tra i compositori di fine Ottocento: Siberia ha avuto due diverse produzioni a Firenze (2021) e a Bregenz (2022), alla Scala si è vista La cena delle beffe (2016) e nel 2018 a Wexford è stata messa in scena Mala vita diretta da Francesco Cilluffo, instancabile propugnatore di titoli del Novecento storico italiano.
Rispetto alla Tosca dello stesso Sardou qui si agitano passioni ancora più tragicamente travolgenti e anche qui la protagonista, la Principessa Romazoff (!), come la cantante Floria, finisce in una situazione che le sfugge di mano: per vendicare il fidanzato ucciso alla vigiglia delle nozze denuncia il suo omicida e i suoi famigliari prima di scoprire con raccapriccio che si tratta del suo amante, «un santo punitor» che ha ucciso per nobili intenzioni, o per lo meno così veniva inteso un delitto d’onore con cui si faceva fuori il «drudo» che insidiava la moglie. Se Sardou non va giù per il sottile col suo dramma “a fosche tinte”, il libretto del Colautti non è da meno, attingendo abbondantemente nello stile della prosa di Carolina Invernizio: «O riso ammaliator! … L’effluvio qui respiro dei dolci suoi pensier! … un’ignota ebbrezza mi turba … una sirena bionda, Wanda era il nome suo fatal … l’immondo ritrovo … un’altra madre fra le mie braccia avrai! … il tuo sguardo m’inebria!» e avanti così con pletora di punti esclamativi e di sospensione fino ai decasillabi fatali: «Vivente ancora, m’hai maledetta… | Forse all’estinta, perdonerai».
Per fortuna la musica di Giordano, di stringata drammaticità, ha indubbie qualità e costruisce una tensione narrativa di taglio quasi cinematografico del tutto sorprendente all’epoca, al primo atto, che ha l’andamento di un thriller. Più convenzionale il secondo ma costruito con maestria, pieno di suspence il terzo, con quelle pause drammatiche e le voci sopra un tessuto orchestrale spettrale e teso. Sul podio dell’Orchestra Filarmonica Italiana Aldo Sisillo dosa con efficacia il decadente e il passionale, le vampate melodiche sono eleganti, mai fragorose, e centra in pieno lo spirito della partitura.
Il personaggio della principessa Fedora Romazoff – una che va in giro con il veleno in una antica croce appesa al collo, che passa dalla spietata sete di vendetta per il fidanzato ammazzato alla passione travolgente per il suo assassino, al martirio suicida, col veleno suddetto, per calmare il senso di colpa – è talmente a forti tinte e in bilico col kitsch che occorre un’interprete che sappia destreggiarsi su questo precario equilibrio. Teresa Romano riesce abilmente nell’impresa gestendo con grande tecnica la tessitura ibrida, tra soprano e mezzo, nel declamato del primo atto, poi nelle perorazioni appassionate del secondo e nello strazio del terzo senza attaccarsi «disperatamente e sguaiatamente alle tende vocali» (Elvio Giudici), il timbro è sontuoso e la recitaziobe da diva del muto è efficace ma misurata. Luciano Ganci è un Loris vocalmente generoso, il timbro è luminoso, gli acuti solari, le oasi liriche estatiche, ma l’accento è sempre espressivo così da dare spessore e plausibilità al personaggio. Efficace nella sua svagatezza è l’elegante Contessa Olga di Yuliya Tkachenko mentre Simone Piazzola è un convincente De Siriex. Nella folta schiera dei comprimari si stacca per bella presenza vocale il Cirillo di William Corrò.
Chi temeva di veder ambientata la Fedora ai tempi odierni con riferimenti a Putin o a Naval’nyj, può dormire sonni tranquilli: queste cose le fanno a Salisburgo o alla Deutsche Oper di Berlino non in Italia, meno che mai in provincia, nei teatri di tradizione. E infatti, nella produzione di Pier Luigi Pizzi ora al Municipale di Piacenza, l’azione si svolge nei primi anni del Novecento quando i nobili russi, seppure minacciati dai «nichilisti», sono ancora liberi di andare a venire tra Parigi e San Pietroburgo, Mosca e Svizzera. Qui gli ambienti sono elegantemente disegnati – ma poteva essere diversamente con Pizzi? – ma abbastanza minimalisti e nell’appartamento del fidanzato al posto dei «ninnoli deliziosi» c’è un Kandinsky! «Coraggioso!» fa dire il regista a Fedora cambiando le parole del libretto. Gli interni sono spaziosi, spettacolare e realizzata con un led wall la vista sul lago oltre le vetrate o la neve e l’atmosfera gelida fuori delle finestre dell’appartamento di San Pietroburgo e l’ambiente tra il liberty e il neogotico del secondo atto. Raffinatissima la scelta di mobili e suppellettili del Maestro coadiuvato da Massimo Gasparon, che si occupa anche delle luci, Serena Rocco (assistente alle scene) e Lorena Marin (assistente ai costumi). Sinceramente non ci si aspettava uno spettacolo così bello.
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