
★★★☆☆
Rossini proto-risorgimentale
«Adelaide di Borgogna, poesia di Schmidt, si vide vivere e morire nella stessa sera nel Teatro Argentina. Questo spartito originale di Rossini fece naufragio ad onta dei tamburi, delle grancasse e di varie marce. Gli attori cantanti […] non valsero con tutta la loro premura e nota abilità a sostenere la reputazione del celebre maestro, il cui genio in quest’opera sembra addormentato». Piuttosto critica la recensione del Nuovo Osservatore Veneto il 31 dicembre 1817 a quattro giorni dalla prima. In verità la compagnia di canto era modesta, ma fu il libretto la causa prima dell’insuccesso, un testo che, a parte le licenze cronologiche e geografiche (la vicenda si svolse tre anni prima del 950 indicato nel libretto e Canossa non è propriamente vicino al lago di Garda…), è preso dall’ossessione della brevità e conduce a sbrigative inverosimiglianze che hanno quasi del comico.
Antefatto. Nel 950 Lotario, re d’Italia, muore in giovane età, lasciando vedova Adelaide, figlia di Rodolfo di Borgogna. Berengario, nelle cui mani già da tempo era di fatto il governo del regno, riesce a farsi eleggere quale successore. Su di lui, però, grava il sospetto d’aver provocato quella morte improvvisa; cerca perciò di neutralizzare le rivendicazioni di Adelaide e dei suoi sostenitori, imponendole d’unirsi in matrimonio col proprio figlio Adelberto, associato al trono. Adelaide rifiuta e, perseguitata, è costretta a fuggire raminga e a nascondersi in luoghi inospitali. Trova infine asilo presso Iroldo nella fortezza di Canossa e, quando questa viene assediata da Berengario, chiama in soccorso l’imperatore Ottone, promettendogli la propria mano ed i diritti da lei acquisiti sulla corona del regno italico.
Atto primo. Nel primo quadro l’azione si svolge all’interno della fortezza di Canossa, espugnata da Berengario. Mentre i vincitori esultano ed il popolo piange le sorti della patria e della principessa Adelaide, Adelberto, con l’appoggio del padre, cerca di convincere quest’ultima, ancora vestita a lutto, a divenire sua sposa. Alla notizia che Ottone è giunto nelle vicinanze, Berengario, consapevole di non aver forze sufficienti per affrontarlo in combattimento, decide di ingannarlo con false proposte di pace. Nel secondo quadro l’azione si sposta nell’accampamento dell’imperatore. I soldati, intenti a piantare le tende, intonano un inno all’Italia, mentre Ottone giura solennemente che la vedova di Lotario sarà tratta in salvo. Adelberto, inviato da Berengario, offre ad Ottone pace ed ospitalità, invitandolo a non fidarsi di Adelaide, che descrive come persona ambiziosa e fomentatrice di discordia. Il terzo quadro mostra il salone della fortezza, dove Berengario, fingendosi cordiale, accoglie Ottone che subito chiede di incontrare Adelaide. Questa si presenta all’imperatore e ne implora pietà e giustizia per i torti subiti. Ottone promette il suo aiuto ed invaghito della principessa dichiara che intende farla sua sposa. I due si allontanano lasciando Adelberto che, sinceramente innamorato di Adelaide, vorrebbe eliminare subito Ottone, e Berengario che lo trattiene, esortandolo ad attendere l’arrivo delle proprie truppe prima di colpire. Nel quarto quadro Adelaide, non più in lutto, sta nelle sue stanze, attorniata dalle dame: ella non vuol essere più triste e si rallegra pensando alle prossime nozze. Entra Ottone per sincerarsi d’essere accettato come sposo per amore e non per mera gratitudine; Adelaide manifesta l’autenticità del proprio sentimento e i due si promettono eterna fedeltà. L’ultimo quadro rappresenta la piazza di Canossa con intorno maestosi edifici. Ottone e Adelaide si avviano al tempio per la cerimonia nuziale in mezzo ai canti festosi della folla. Berengario ed Adelberto fremono d’impazienza, finché, con l’arrivo dei loro seguaci, manifestano le loro reali intenzioni ed aggrediscono Ottone e i suoi soldati. Si passa repentinamente dalla festa al tumulto e alla lotta. Adelaide viene condotta via dai guerrieri di Berengario, mentre Ottone e i suoi, combattendo strenuamente, riescono a non essere sopraffatti dai nemici.
Atto secondo. Il primo quadro ripropone l’interno della fortezza con i guerrieri di Berengario che esultano per aver costretto Ottone alla fuga. Adelberto torna ad offrire ad Adelaide l’opportunità di dividere il trono con lui, ma le sue parole provocano nella giovane rinnovato sdegno. Il colloquio è interrotto dalla notizia che le sorti del combattimento si sono rovesciate: Ottone ha vinto Berengario e lo ha fatto prigioniero. Nel secondo quadro Eurice prega il figlio Adelberto di restituire Adelaide in cambio di Berengario, accettando così la proposta recata da un messaggero dell’imperatore. Adelberto, combattuto fra l’amore per la principessa e la pietà filiale, non riesce a decidersi; perciò Eurice, al fine di scongiurare la condanna a morte di Berengario, escogita di liberare nascostamente Adelaide con l’aiuto di Iroldo. Il terzo quadro è ambientato nell’accampamento imperiale, dove Ernesto, ufficiale di Ottone, annuncia l’arrivo di Adelberto. Questi è disposto a cedere Adelaide, ma Berengario si oppone fieramente: solo a patto che gli sia garantito il trono, restituirà la principessa. Ottone acconsente; tuttavia l’inatteso arrivo di Adelaide, liberata da Eurice, rende vano l’accordo e induce l’imperatore a trattenere Berengario per vendicarsi di lui. Adelaide, allora, che in cambio della libertà aveva garantito ad Eurice il rilascio del consorte, esige da Ottone il rispetto della promessa fatta. Berengario ed Adelberto possono così lasciare l’accampamento, ma allontanandosi giurano che torneranno armati per conseguire la vittoria definitiva. Nel quadro successivo, all’interno di una magnifica tenda, Adelaide si separa a malincuore da Ottone, che si accinge allo scontro decisivo, consegnandogli un velo quale pegno del suo amore; implora quindi l’aiuto del cielo e, mentre è assorta nella preghiera, giunge la notizia che il nemico è stato sconfitto. L’ultimo quadro rappresenta il ritorno di Ottone e del suo esercito presso la fortezza di Canossa: l’imperatore avanza sopra un carro trionfale seguito da Adelberto e Berengario in catene, mentre il popolo esultante offre corone di fiori e di alloro.
Il tutto avviene in due atti in cui anche i numeri musicali soffrono di questa smania di semplificazione e sembrano un passo indietro rispetto a quella strutturazione articolata che dal Tancredi in poi era stata la straordinaria novità del teatro rossiniano. «Musique anodine» la definisce il Carli Ballola, che continua così: «musica che gira a vuoto, di un Rossini che imita egregiamente il sé stesso di un ordinario automanierismo. Musica in cui le “belle novità” che di “tratto in tratto” vi affiorano […] presto sfioriscono inaridite dall’automatismo delle coniugazioni fraseologiche che vi vengono dietro; i cui numeri musicali, a cominciare dalla sinfonia, ripresa e adattata da La cambiale di matrimonio, scivolano via senza quasi lasciare traccia tangibile di necessità drammatica, nel segno di una brevità di pregi che li fa galleggiare sulle acque morte dei recitativi secchi, limitandosi quelli accompagnati a rare e brevi sortite, convenzionali trampolini di lancio alle arie dei protagonisti».
Nel 2011 il Rossini Opera Festival contribuisce alle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia con la messa in scena di questo che è tra primi esempi di letteratura pre-risorgimentale o proto-risorgimentale del periodo. L’edizione critica curata da Alberto Zedda e Gabriele Gravagna è frutto dello studio del materiale compositivo sparso per il mondo (Roma, Firenze, Lucca, Parigi, Venezia, Washington, Bologna, Copenhagen…), documenti spesso differenti o in contrasto tra di loro e contenenti talora arie non attribuibili al maestro pesarese.
La regia di Pier’Alli, che disegna anche le scene, i costumi ottocenteschi, le luci e le proiezioni video (realizzate dalla Unità C1) con cui risolve i repentini cambi di scena (soldati in marcia, soldati all’accampamento, una superficie d’acqua con cerchi concentrici, rovine di fortezze ecc.) sono banali e stucchevoli dopo appena cinque minuti. Il coro si muove come un esercito di soldatini di piombo in reparti rigorosamente simmetrici e quella della simmetria è un’ossessione del regista: se da sinistra qualcuno entra a portare uno sgabello non manca specularmente quello che arriva da destra e così via. D’accordo che la psicologia dei personaggi nel libretto è latitante, ma in scena ci sono dei pupazzi senza vita. D’altronde, nelle note il regista aveva affermato che Adelaide di Borgogna è una “ballata popolare”, non un’opera seria. Una fiaba si direbbe, visto che appare, in video, anche la carrozza di Cenerentola. E invece l’Adelaide è l’unica incursione seria del settennio napoletano. Un vezzo poco comprensibile è quello degli ombrelli, usati a un certo punto anche come armi in battaglia.
Buono il ritmo tenuto da Dmitri Jurovski a guida della trasparente orchestra del Comunale bolognese. Nella parte titolare, e al suo debutto a Pesaro, Jessica Pratt risulta semplicemente strepitosa, con un registro acuto sicuro, filati incantevoli, ottima musicalità e intonazione perfetta. Daniela Barcellona nella parte di Ottone qui è più misurata del solito, ma sempre autorevole. Assieme le due donne hanno offerto nei duetti i momenti migliori della serata. Nicola Ulivieri timbra con la solita sapienza la sua possente voce nel bieco personaggio di Berengario, mentre il tenore rumeno Bogdan Mihai sfoggia in Adelberto una vocalità personale e piacevole e un agile virtuosismo.
Il disco contiene un documentario di un quarto d’ora con il making-of dello spettacolo. Sottotitoli in sei lingue, italiano compreso.
⸪