Francesca da Rimini

★★★☆☆

Sorpresa: non ci sono solo Bellini, Rossini e Donizetti.

Come nel canto V dell’Inferno dantesco in cui «la bufera infernal, che mai non resta | mena li spirti con la sua rapina», anche sulle tavole del cortile di Palazzo Ducale di Martina Franca nel luglio 2016, per la prima volta dopo quasi due secoli, un vento impetuoso scuote i mantelli e gli abiti dei protagonisti della Francesca da Rimini di Saverio Mercadante, musicista pugliese vissuto tra il 1795 e il 1870 e coevo quindi di Bellini, Rossini e Donizetti.

Sì, proprio così: è al Festival della Valle d’Itria alla sua 42esima edizione che viene eseguito in prima mondiale il lavoro composto da Mercadante durante il suo soggiorno a Madrid. Delle quasi sessanta opere da lui scritte questa, che si colloca esattamente a metà, non riuscì a debuttare per problemi con le primedonne. Prevista infatti per l’inaugurazione della stagione di Carnevale del 1831 al Teatro del Príncipe Alfonso, Adelaide Tosi, il soprano per cui Mercadante aveva scritto il ruolo di Francesca, perse la voce durante le prove e l’opera non venne rappresentata. Un’altra occasione per il debutto l’anno seguente, questa volta per il Teatro alla Scala, sfumò a causa delle gelosie tra Giuditta Pasta e Giulia Grisi, con la prima che si rifiutava di interpretare il ruolo en travesti di Paolo, pretendendo che venisse affidato alla collega. Passando il tempo in discussioni, a causa di altri loro impegni le cantanti abbandonarono il progetto e Mercadante finì per non vedere mai rappresentata la sua Francesca da Rimini.

Atto I. Scena 1. Vista dal vestibolo del palazzo di Lanciotto, la grande piazza di Rimini è adornata di trofei militari mentre il popolo e i nobili festeggiano la pace ritrovata tra Guelfi e Ghibellini. Scena 2. Lanciotto gioisce per il suo ritorno vittorioso e ricoperto di gloria, ma confida a Guido, il padre di Francesca, il turbamento del suo cuore, desiderando ardentemente che il suo amore per Francesca sia ricambiato. Scena 3. Lanciotto desidera che lei accetti di partecipare alle cerimonie organizzate per la vittoria, ma ne dubita e confessa di sapere quanto lei odi suo fratello. Scena 4. Da parte sua, Francesca canta l’oppressione del suo cuore e l’amore che ha visto nei suoi sogni. Scena 5. Francesca confida le sue paure a Isaura, che le annuncia che il padre sta arrivando per consolarla. Scena 6. Arrivano Guido e Lanciotto, che si uniscono alle due donne. Francesca abbraccia suo padre confidandogli la sua infelicità. Lanciotto le chiede da dove provenga questa malinconia. Lei gli spiega che la tristezza non la abbandona mai, è nella sua natura e, ora che sta per sposarsi, ha l’impressione di andare al patibolo. Rimprovera a suo padre questo matrimonio forzato che la rende infelice. Lanciotto sospetta che ci sia un altro amore, ma lei nega. Lanciotto le giura che darebbe la vita per renderla felice e lei lo rassicura dicendogli che arriverà il tempo della pace. Scena 7. Arriva Paolo nella piazza davanti al palazzo e canta a lungo dell’amore che non riesce a controllare e che lo opprime incessantemente. All’ultimo momento rinuncia ad entrare nel palazzo. Scena 8. Seguono i festeggiamenti per il ricongiungimento alla presenza di Lanciotto, Francesca, Isaura, Guido e Gelfo. Paolo, nascosto, finisce per mostrarsi e parla con suo fratello. Il suono della sua voce provoca immediatamente uno shock. Francesca sviene, portata via dal padre sotto lo sguardo preoccupato di Lanciotto, mentre Paolo trema senza osare dire una parola. Scena 9. Breve scambio tra i due fratelli, Lanciotto confessa la sua ansia e Paolo si stupisce del suo turbamento, dato che ha come moglie Francesca. Lanciotto ritiene che lei non lo ami e che sia consumata dalla passione per un altro. Paolo cerca di distogliere i suoi sospetti assicurandogli che sono sicuramente altri i motivi che tormentano Francesca, ma i dubbi di Lanciotto continuano ad aumentare mentre giura che punirà senza pietà il colpevole. Scena 10. «È tornato, l’ho visto», canta Francesca, sconvolta dall’amore e dalla paura. Scena 11. Paolo si intrufola nella camera di Francesca e il loro amore si esprime immediatamente con fervore: lui è gelido, lei ardente. Si leggono a vicenda brani tratti dall’amore tra Lancillotto e Ginevra nel libro che Francesca tiene in mano e si identificano con i due personaggi per consacrare il loro amore reciproco. Scena 12. Lanciotto irrompe a sorpresa nella camera e li sorprende senza che abbiano avuto il tempo di nascondersi. Lanciotto minaccia suo fratello quando arrivano Guido, Gelfo, Isaura, i cavalieri e le loro dame. Di fronte alla furia di Lanciotto, Paolo si accusa e proclama di essere l’unico colpevole, ma Francesca confessa al marito che amava Paolo prima di essere unita a lui con la forza e che lui non ha mai avuto il suo cuore, ma solo la sua mano destra. Lanciotto annuncia a Francesca che vivrà, ma imprigionata, affinché la sua vita sia peggiore della morte, e punta la spada contro suo fratello.
Atto II. Scena 1. Il coro dei cortigiani canta la fugacità della felicità. Scena 2. Lanciotto, rimasto solo con i suoi cortigiani e Guido, si lamenta e grida la sua rabbia, pronunciando mille minacce di morte contro gli amanti colpevoli, nonostante le suppliche di Guido di risparmiare sua figlia. Scena 3. La scena si svolge nei sotterranei del palazzo dove Francesca sta per essere imprigionata. Lei canta la tristezza di quelle mura e del suo destino, rinchiusa viva in una tomba. Sente i gemiti di Paolo torturato da qualche parte in quelle segrete. La porta della sua cella si chiude su di lei. Scena 4. Lanciotto riunisce i due amanti per minacciarli insieme. Scena 5. Mostra il veleno e la sua spada a Paolo e gli chiede di scegliere per primo come vuole morire. Paolo sceglie la spada, quindi Francesca avrà il veleno. Scena 6. Ma mentre gli amanti si preparano a morire, Guido arriva con una truppa. Spiega a Lanciotto che la sua stessa guarnigione si è stancata della sua crudeltà e non lo difenderà. Paolo e Francesca sono salvi. I tre e il loro seguito fuggono da quei luoghi sinistri. Scena 7. Rimasto solo, Lanciotto giura vendetta. Scena 8. Gelfo arriva per avvertire Lanciotto che è scoppiata una battaglia tra i suoi sostenitori e quelli di Guido, in forte disaccordo sul luogo in cui Francesca dovrà recarsi, se rimanere a Rimini o andare a Ravenna. Lanciotto vuole recarsi sul posto, sperando ancora in un esito favorevole, ma Isaura arriva per informarli che gli scontri sono terminati: Francesca ha posto fine alle ostilità rifiutando entrambe le proposte e decidendo di ritirarsi in convento, cosa che suo padre ha approvato. Lanciotto si rende conto di averla persa per sempre. Scena 9. Paolo canta da solo nella notte davanti al monastero, dove aspetta l’arrivo di Francesca che deve dargli l’addio. Scena 10. Paolo e Francesca si ritrovano. Lei gli giura di essergli rimasta fedele e che Lanciotto ha avuto solo la sua mano promessa dal padre, ma non ha mai avuto il suo cuore, che appartiene solo a Paolo. Lei è pronta a morire per lui. Ma Paolo vuole vivere con lei. Lei rifiuta nonostante le sue suppliche. Scena 11. Lanciotto li sorprende di nuovo e vuole uccidere Paolo con un colpo di spada, ma colpisce Francesca. Paolo gli strappa l’arma e la rivolge contro di lui. I due amanti sono morti. Scena 12. Guido, il coro, Gelfo, Lanciotto, tutti lamentano questa tragedia. Guido rimprovera Lanciotto per il suo orribile crimine, ma Lanciotto ribatte che è stato il loro crimine a ucciderli.

L’opera si struttura in diciassette numeri musicali ripartiti in due atti. Nel primo, dopo un’introduzione abbiamo un coro e una cavatina di Lanciotto in cui viene esibita la florida vocalità del personaggio, con acuti e impegnativi passaggi di agilità. Non da meno è il successivo intervento di Francesca, anche questo con coro. Viene poi un terzetto con i due coniugi e Guido, il padre di Francesca. Finalmente entra in scena Paolo anche lui con una cavatina. Un coro e un duetto tra i due fratelli conducono al finale primo con un complesso concertato del quartetto di protagonisti e del coro. Il secondo atto esordisce nuovamente con un coro cui seguono una scena e aria di Lanciotto, poi una di Francesca e un quartetto dei protagonisti. Una scena e aria di Paolo precede il duetto finale tra due amanti.

Mercadante utilizza formule musicali consolidate che seguono lo standard compositivo in quattro sezioni (tempo d’attacco, cantabile, tempo di mezzo, stretta con ripresa variata) codificato da Rossini e che verrà eletto a modello stereotipato dai suoi epigoni. Dal punto di vista vocale emerge una scrittura fortemente virtuosistica, vicina allo stile belliniano e con il frequente utilizzo di strumenti obbligati. L’orchestra è inusualmente ricca e varia dal punto di vista timbrico e le agogiche sono molto vaste, spaziando dal lirismo più rarefatto a momenti di grande intensità sonora. Molto prima delle intonazioni di Rachmaninov e di Zandonai, la vicenda di Paolo e Francesca ha qui trovato un’interessante espressione. Chissà, forse è anche la migliore opera di Mercadante, di certo il suo autore può essere accostato senza complessi di inferiorità accanto alla massima triade del belcanto e del teatro musicale della prima metà dell’Ottocento italiano.

Ritrovata cinque anni prima a Madrid e con la revisione critica di Elisabetta Pasquini, l’opera negletta è stata presa in carico da Fabio Luisi per la direzione orchestrale e da Pier Luigi Pizzi per la regia e i costumi – non potendo definire scenografia la facciata del Palazzo Ducale e la pedana che continua in una passerella tra orchestra e pubblico. Essenziale al massimo è infatti l’allestimento di Pizzi, quasi un distillato dei suoi tanti interventi teatrali: due teli neri ai lati e, per i costumi dei personaggi, ricchi ma leggeri veli mossi da ventilatori al di fuori del palcoscenico. Il taglio delle luci e delle ombre sulla facciata in pietra del palazzo è deciso dall’imprevedibile fluttuare dei veli neri e nel vuoto della scena è il vento il protagonista principale, quello che trasforma tutti i personaggi in tante Vittorie di Samotracia se non in Loïe Fuller! Ma se l’artificio visivo è una genialmente semplice idea drammaturgica che all’inizio sorprende, col tempo si satura e al secondo atto ci si aspetterebbe qualcosa di diverso, e invece…

Il lavoro registico sugli interpreti non va poi al di là di movimenti circolari che mettano in risalto lo sventolio dei manti sulla passerella, che si trasforma così in un sfilata di moda. La statica drammaturgia dell’opera – soprattutto nel secondo atto, con un finale che ripete in sostanza il finale primo – viene riempita dai soliti movimenti coreografici “romantici” di Gheorghe Iancu con danzatori in bianco e nero. Sono invece lasciati ai quattro protagonisti i colori squillanti con cui sono evidenziati: Francesca in porpora, Paolo in blu, Lanciotto in nero e giallo oro, Guido in viola.

E arriviamo così ai creatori dei ruoli che hanno atteso ben 185 anni in silenzio. Per ironico contrappasso delle vicende madrilene, come personaggio titolare ora c’è un soprano spagnolo, Leonor Bonilla, mentre come Paolo abbiamo un soprano giapponese, Aya Wakizono. Entrambi hanno un accento particolare che in qualche modo, nell’articolazione delle consonanti e delle vocali, riflette la loro lingua. (Che meraviglioso strumento è la voce che non dipende solo dalla fisiologia dell’apparato vocale, ma anche dalla psicologia del cantante e dall’espressione linguistica che utilizza per comunicare).

Leonor Bonilla ha un timbro personale che impiega in colorature ed agilità sempre molto precise. Omogenea in tutti i registri, la voce si impenna negli acuti con facilità ma rimane espressiva e piena. Si è poi anche apprezzata la sua destrezza coreutica quando esegue non facili movimenti di danza. Anche Aya Wakizono ha un timbro molto particolare e personale, qui più scuro e quindi adatto al ruolo maschile, e dimostra una tecnica belcantistica matura. La tessitura è continua dai gravi agli acuti e l’interpretazione intensa.

Ragguardevole la prova del turco Mert Süngü (Lanciotto) in un ruolo vocalmente ambiguo che oscilla tra il tenore di grazia tardosettecentesco e il tenore lirico-drammatico dell’operismo romantico. Di lui si apprezzano gli sfumati e i piani, così come le messe di voce e i sovracuti affrontati con baldanza. Una performance sempre tesa e senza mai un calo di tensione.

Nobile ed espressiva la linea di canto di Antonio di Matteo (Guido), un baritono elegante e di bella presenza. Il coro della transilvanica Cluj-Napoca, presenza costante del Festival, ha svolto degnamente il suo lavoro. Il tutto è concertato con sapienza e amore da Fabio Luisi che ha ottenuto l’equilibrio perfetto tra pagine melodiche ed esplosioni sonore.

L’allestimento è stato ripreso e poi pubblicato e i duecento minuti di musica sono ora disponibili ripartiti su due DVD o un bluray della Dynamic. Ciononostante l’immagine evidenza difetti di aliasing nei bordi e pixellizzazione nei campi di colore unito, difetto abbastanza comune nella compressione dati.  Due tracce audio e sottotitoli in italiano, ma assenza di extra appena compensati dalle notizie stampate, come al solito in caratteri microscopici, sull’opuscolo allegato. Quattro stelle per la produzione, due per la presentazione in disco.