Ariadne auf Naxos

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Richard Strauss, Ariadne auf Naxos

★★★☆☆

Milano, Teatro alla Scala, 23 aprile 2019

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Nella Arianna a Milano il regista non trova il filo

Il giovane Frederic Wake-Walker aveva fatto un’ottima impressione al suo debutto a Glyndebourne nel 2014 con La finta giardiniera, impressione confermata l’anno scorso nella sua ripresa alla Scala. Nel teatro milanese però il regista londinese aveva suscitato più di una perplessità invece per il suo allestimento de Le nozze di Figaro nel 2016. Ora nello stesso teatro, abbandonato Mozart, con l‘Ariadne auf Naxos Wake-Walker si gioca la partita nel confermare l’una o l’altra impressione. Ahimè, diciamo subito che conferma la seconda.

L’opera di Strauss non è tra le più facili da mettere in scena, essendo per sua natura sperimentale e praticamente senza trama: nata nel 1912 dalle musiche di scena per Il borghese gentiluomo di Molière, Hofmannsthal e Strauss, librettista e compositore, vi mescolarono non solo prosa e musica, ma anche tragico e comico, con grande perplessità del pubblico. Quattro anni dopo la musica veniva riadattata per un atto unico (l’Arianna piantata in Nasso) preceduto da un prologo in cui la parte parlata era affidata al maggiordomo, qui non di monsieur Jourdan, ma di un ricco aristocratico viennese. Ancora una volta veniva utilizzato l’artificio dell’opera nell’opera, ossia la rappresentazione della preparazione di uno spettacolo in cui si sfidano logica e buon senso: non un intermezzo buffo tra gli atti di un’opera seria com’era consuetudine nel Settecento, ma un acrobatico tentavo di inserire l’opera buffa all’interno dell’opera seria.

Ciò detto, ci sono state recentemente delle produzioni di Ariadne auf Naxos magari discutibili, ma che hanno affrontato questa sfida intellettuale con intelligenza e hanno analizzato la profondità del messaggio – pensiamo a quelle di Claus Guth o di Katie Mitchell, ad esempio. Qui invece Wake-Walker si è accontentato di una banale parodia pop che svilisce il messaggio intellettualistico dell’opera. Assieme allo scenografo Jamie Vartan, il regista ha creato due scenari nettamente differenti per le due parti dell’opera. Nel prologo inserisce a forza Pagliacci in un ambiente da Cavaliere della rosa: roulotte e furgone del bibitaro sono parcheggiati in un grandioso salone rococò dove si muovono personaggi felliniani – il clown col naso rosso, il tenore centurione romano pronto per i selfie davanti al Colosseo, cappelli a cilindro scintillanti e paillettes sui gilet degli uomini. Per l’opera vera e propria siamo invece nella camera anecoica immersa in luce blu di uno studio di registrazione che isola ancor più il lamento dell’abbandonata Arianna. Anche qui i riferimenti pop non mancano: la prima donna sembra la Caballé, Zerbinetta da Liza Minnelli si è trasformata in Whitney Houston, le tre naiadi sono vocalist in lamé, Bacco il John Travolta de La febbre del sabato sera e le quattro maschere hanno smoking in tinte pastello. Sullo sfondo una scalinata bianca completa il look da varietà televisivo e su questa “stairway to heaven” si incammineranno Arianna e Bacco nel finale, mentre le lucine da discoteca anni ’80 ora sembrano le proiezioni luminose di un planetario.

Alla guida dell’orchestra del teatro (quasi ridotta a dimensioni cameristiche con 11 strumenti a fiato, poche percussioni, harmonium, celesta, glockenspiel, arpe e archi), Franz Welser-Möst è corretto ma di certo non trascinante, conservando comunque la trasparenza dell’orchestrazione. Data però la configurazione della scena, spesso l’orchestra copre la voce di alcuni cantanti.

Certo non la voce di Krassimira Stoyanova, prima donna e Arianna dalla vocalità sontuosissima. Peccato che le indicazioni registiche non riescano a far uscire il personaggio da un cliché convenzionale, con una gesticolazione manierata. Sabine Devieilhe ritorna a vestire i panni di Zerbinetta e conferma l’agile coloratura e la purezza di emissione di cui ha dato prova, ma anche una certa esilità della voce che la fa arrivare quasi stremata alla fine della sua pirotecnica performance. Più eroico che affascinante il Bacco di Michael König, e poco convincente il Compositore affidato alla voce di Daniela Sindram, talora coperta dagli strumenti. Markus Werba, Arlecchino nell’edizione 2006 in questo stesso teatro, qui è un efficace Maestro di Musica. Thomas Tatzl, Krešimir Špicer, Tobias Kehrer e Pavel Kolgatin sono le quattro maschere (rispettivamente Arlecchino, Scaramuccio, Truffaldino e Brighella), mentre Christina Gansch, Anna-Doris Capitelli e Regula Mühlemann sono l’affascinante corteggio di Arianna. L’attuale sovrintendente del teatro milanese Alexander Pereira ha interpretato il ruolo del Maggiordomo molte volte (tra cui a Zurigo, Londra, Dresda e Vienna) e l’ha fatto anche qui con il suo ironico accento viennese.

Caldi applausi per le due protagoniste femminili e sonori dissensi per il regista hanno concluso la serata. Era la sesta volta che Ariadne auf Naxos veniva data sul palcoscenico della Scala.

010_K65A1930 Pereira e Werba