Belisario

Jacques-Louis David, Belisario chiede l’elemosina, 1781

Gaetano Donizetti, Belisario

Bergamo, Teatro Donizetti, 21 novembre 2020

(live streaming)

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Un titolo degno di stare alla pari con i maggiori capolavori di Donizetti

Ai suoi tempi c’erano le epidemie di colera (Donizetti perse la moglie ventottenne in quella del 1837), ora abbiamo il Covid-19. Non è l’unico elemento che ci rende più vicino e contemporaneo il compositore di Bergamo, la città che più di tutte in Italia ha sofferto gli effetti della pandemia: tutto il suo teatro ha sempre qualcosa da dire a noi uomini di oggi. Anche il Belisario, un titolo desueto del suo sterminato catalogo, che il Donizetti Opera propone in quest’anno così particolare.

L’opera doveva inaugurare il festival con la prestigiosa presenza di Plácido Domingo, ma la salute del cantante e l’andamento della pandemia hanno cambiato i programmi e ora l’opera va in scena in forma concertistica due giorni dopo il previsto, senza la presenza del celebre cantante e in video streaming, come le altre produzioni rimaste in cartellone, Marino Faliero e Le nozze in villa.

Con Belisario, scritto subito dopo la Lucia di Lammermoor, Donizetti ritornava dopo 18 anni a Venezia come musicista affermato, qui aveva fatto i suoi giovanili debutti con l’Enrico di Borgogna e Pietro il Grande. Il libretto di Salvadore Cammarano era basato su «una tragedia d’Holbein, che il valente artista drammatico Luigi Marchionni ridusse per le scene italiche», come scrive il librettista. Franz Ignaz Holbein, veneziano di nascita e attivo a Napoli, era attore-autore di drammi di successo all’epoca. «Il Belisario di Holbein, pari a quello della storia, colse ovunque allori copiosi e meritati; reputerò il mio non meno avventuroso, se voi, delle cose teatrali integri e scienti giudici, gli accorderete una sola fronda di quegli allori» si augura il Cammarano. L’opera venne presentata il 4 febbraio 1836 con crescente successo per ventotto repliche prima di arrivare a Bergamo e poi alla Scala, dove di repliche ne ebbe 32 .

La storia del condottiero di Giustiniano che aveva difeso eroicamente l’Impero d’Oriente dagli attacchi dei barbari si legava alla rilettura dell’antico passato, quello della gloriosa opera settecentesca, ma con una storia di per sé semplice e linearmente trattata, che faceva a meno delle vicende amorose: qui le donne non sono appassionate amanti, ma una trepida e fedele figlia Irene e una moglie che lo accusa ingiustamente.

Parte prima. A Bisanzio, il coro annuncia il ritorno di Belisario, trionfatore sui Goti. Intanto la moglie del condottiero, Antonina, narra a Eutropio del figlio Alessi, avuto da Belisario e scomparso appena nato. Lo schiavo Proclo le aveva rivelato essere stato Belisario a ordinargli di uccidere Alessi; ma lui, non avendo cuore di farlo, l’aveva abbandonato su una spiaggia deserta. Antonina non conosce quest’ultimo particolare ed è decisa a vendicarsi ordendo un complotto contro il marito. Giustiniano riceve il suo generale, tra i prigionieri c’è il giovane Alamiro, che Belisario libera. Ma Alamiro vuole restare a fianco di Belisario, cui si sente legato da un vincolo misterioso. Belisario annuncia che lo terrà con sé, come se fosse il figlio perduto. Ma intanto si compie la vendetta di Antonina. Mentre la figlia di Belisario, Irene, abbraccia il padre, giunge Eutropio, che lo accusa pubblicamente di complotto, esibendo come prova documenti falsificati. Belisario chiama a testimone Antonina; lei non solo conferma l’accusa, ma lo costringe a una confessione più infamante: l’uccisione del figlio. Belisario narra di un sogno, che gli aveva fatto apparire Alessi come predestinato alla rovina della patria ed è per questo che l’aveva sacrificato.
Parte seconda. All’ingresso delle prigioni, i veterani raccontano ad Alamiro come Belisario sia stato accecato e condannato all’esilio. Giunge Irene, che ha deciso di accompagnare il padre e i due si commuovono all’incontro.
Parte terza. Belisario e Irene vagano nei dintorni di Bisanzio. All’arrivo dei soldati nemici capeggiati da Ottario si nascondono e, riconosciuta la voce di Alamiro, apprendono che egli si è unito ai barbari per muovere guerra a Bisanzio. Il cieco eroe allora non esita a palesarsi e fermare l’orda guidata da Alamiro. Alla replica di questi, Irene comprende che Alamiro è suo fratello Alessi. Avendo assistito all’agnizione, Ottario scioglie dal vincolo di fedeltà Alessi/Alamiro, mentre Belisario organizza con il figlio ritrovato la difesa di Bisanzio. Antonina, in preda ai rimorsi, svela a Giustiniano le sue colpe. Risuonano grida di vittoria: i greci hanno trionfato sui barbari, ma Alessio racconta che il padre è stato ferito a morte. Condotto al cospetto dell’imperatore, Belisario muore mentre Antonina gli chiede inutilmente perdono.

Opera della piena maturità, Belisario è il lavoro che più anticipa il Verdi che verrà nel conflitto tra amor paterno e amor di patria, sfera privata e sfera politica. Inedito è il rapporto tra padre e figlia, così come il ruolo del baritono, qui protagonista, o quello del soprano il cattivo della vicenda, ma al femminile: Antonina è mossa da un desiderio di vendetta che richiama quello terribile di Elettra. La donna sfrutta la complicità di Eutropio promettendoglisi sposa, ma appena l’uomo menziona il patto («premio all’amor mio | la tua destra…») lo interrompe bruscamente: «Or dimmi: ordita | fu la trama?». L’odio è il motore che muove Antonina, sazia solo quando il marito è bandito in esilio e accecato, salvo poi pentirsi amaramente e implorarne il perdono quando si accorge dell’errore che ha commesso.

Liberato il teatro dal labirinto metallico del Marino Faliero, l’orchestra ha una disposizione più regolare: ora Riccardo Frizza ha davanti a sé tutti gli strumenti e deve voltarsi solo per dare l’attacco ai cantanti schierati in platea. In marsina gli uomini, in elegantissimi abiti da sera le donne, la camminata per arrivare ai leggii è il solo effetto scenico consentito. L’attenzione è tutta puntata sulla musica questa volta e si può apprezzare ancor più la tensione drammatica e la straordinaria ricchezza e densità della partitura in cui gli ottoni donano un tono di solenne tragicità classica. Molti sono i pezzi corali, come l’esaltante ingresso di Giustiniano, in cui si fa apprezzare il coro imbavagliato nelle mascherine e istruito con sapienza da Fabio Tartari. Più che nelle arie solistiche la bellezza del Belisario risiede nei tanti pezzi di insieme:  il tenero duetto tra Belisario e Alamiro («Io tuo figlio! A me tu padre!») nella prima parte, quello straziante tra Belisario e Irene che forma il lungo finale secondo, il drammatico terzetto Irene, Belisario, Alamiro/Alessi nella parte terza dopo l’agnizione («Se il figlio/fratel/padre stringere | mi è dato al seno»).

I solisti qui sono messi a nudo senza costumi e recitazione scenica, ma l’impatto espressivo è comunque forte quando si hanno interpreti come quelli schierati nella platea del Teatro Donizetti. Non c’è momento che Roberto Frontali faccia rimpiangere che si tratta in definitiva di un rimpiazzo: l’autorevolezza vocale e il fraseggio scultoreo definiscono un Belisario di grande e umana nobiltà. Tutta la gamma di sfumature possibili è impiegata dal baritono romano per disegnare la figura eroica di chi dopo i massimi trionfi conosce la disgrazia e la crudeltà, ma riesce a mantenere una grande magnanimità d’animo. Stupefacente per pathos e colori è il suo racconto/confessione «Sognai… fra genti… barbare» che introduce il drammatico finale primo.

Singolare, come s’è detto, il ruolo della moglie Antonina, limitato alla prima parte e al finale della terza. Il timbro e l’emissione, entrambi particolari e personalmente poco apprezzati del temperamentoso soprano Carmela Remigio sono funzionali questa volta al suo ruolo di «donna antipatica» e il personaggio ne esce fuori in maniera del tutto convincente. Più lirico è il ruolo di Irene in cui si cala con commossa partecipazione Annalisa Stroppa col suo bel colore mezzosopranile. La cabaletta «Trema Bisanzio!» con i suoi acuti è la pagina più virtuosistica di Alamiro/Alessi e Celso Albelo, che vocalmente sempre più assomiglia ad Alfredo Kraus (sarà la comune origine canaria…), offre una performance gloriosa per bellezza di suoni, pienezza di accenti ed eleganza. Possente ed autorevole si dimostra il Giustiniano di Simon Lim, vocalmente efficace è il perfido Eutropio di Klodjan Kaçani.

La concertazione di Frizza è lucidamente appassionata, se mi si passa l’ossimoro, e ci convince della giustezza della proposta: anche se l’autore lo metteva «al di sotto di Lucia», non c’è dubbio che il Belisario sia un’opera bellissima in cui non c’è pagina che non sia altamente ispirata e questa esecuzione dimostra come abbia diritto a entrare a pieno titolo nei cartelloni lirici alla pari degli altri capolavori di Donizetti.