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Giuseppe Verdi, Don Carlos
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Vienna, Staatsoper, 4 ottobre 2020
(video streaming)
Vienna sfida la pandemia con un Don Carlos integrale
È la versione francese in cinque atti con balletto (ma vedremo quale balletto…) quella del Don Carlos ora proposta a Vienna. Una produzione mastodontica con un cast stellare. Mascherinato e distanziato il pubblico può entrare e rendere più viva la rappresentazione con la sua presenza, cosa attualmente negata in molti altri teatri nel mondo. L’Austria al momento è un’isola felix da questo punto di vista – finché dura.
L’allestimento di Peter Konwitschny interpreta modernamente il grand opéra rendendone attuale il gusto, con il suo divertissement coreografico totalmente avulso dalla vicenda tragica in cui si inseriva, qui trasformandolo con umorismo. Infatti, nella scenografia di Johannes Leiacker i pochi colori dell’atto di Fontainebleau spariscono negli atti successivi lasciando spazio solo al bianco e nero dei costumi in un ambiente spoglio e claustrofobico, di un bianco più lugubre del nero, su cui si aprono mille porte. Ma i colori ritornano nella scena del “sogno di Eboli” sulle musiche del balletto che apre l’atto terzo: una pantomima ironica che mostra la desiderata vita coniugale della donna incinta di Carlos, col marito che rientra dal lavoro in un soggiorno dalle pareti tappezzate a fiori e la tavola apparecchiata. La coppia si lancia in un goffo pas de deux trascurando l’arrosto in forno. L’arrivo dei suoceri (!) con i regali (un peluche e una culla per il nascituro) e Di Posa con la pizza che sostituisce l’arrosto bruciato completano l’ironico quadretto famigliare: il sogno di potere della principessa si è ridotto a un tinello borghese. L’idea del regista è uno shock per una parte dell’ultraconservatore pubblico dell’Opera di Stato che probabilmente considera i ballabili drammaturgicamente irrinunciabili. Beata ingenuità.
Ma non è finita. Con l’atto dell’auto da fé (parte II del secondo atto) tutti sono in abiti attuali e uno schermo ci fa vedere l’arrivo del corteo dell’imperatore a teatro, salutare il pubblico dal palco di proscenio e salire sul palcoscenico, mentre i condannati al rogo sono trascinati per lo scalone sotto i flash dei fotografi. Il tutto come in un reportage della televisione spagnola, comprese le foto dei massacri di civili che vengono distribuite da Carlos a sostegno della causa delle Fiandre. La voce dal cielo fuori scena è quella di una diva in abito di lamé che canta al microfono.
Col quarto atto si ritorna ai costumi. Filippo canta «Elle ne m’aime pas» tra le braccia di Eboli con la quale ha passato la notte. All’arrivo dell’inquisitore la donna non riesce a recuperare il vestito perché il vecchio cieco ci ha messo un piede sopra ed è costretta a rimanere, tanto quello con vede! Questo è uno dei momenti ironici dello spettacolo, come quello del monaco del secondo atto che alle parole di Carlos «À cette voix, je frissonne! | J’ai cru voir, o terreur! | l’ombre de l’Empereur | sous le froc cachant sa couronne» effettivamente tira fuori dal suo saio una corona e se la mette in testa ammiccando agli spettatori. E sarà lo stesso monaco che nel finale apparirà come spettro di Carlo V a salvare la giovane coppia.
Si diceva del cast stellare. Tra Kaufmann, appassionato e poi ironico Carlos, e Malin Byström (Elizabeth) l’intesa è perfetta e il loro sublime duetto nel finale tutto mezze voci e trepidanti intenzioni vale da solo il prezzo del biglietto. Ma c’è anche Michele Pertusi, un Filippo memorabile per l’immedesimazione con il vecchio perdente monarca. Rodrigo è l’ottimo Igor Golovatenko ed Eboli una splendida Ève-Maud Hubeaux. Roberto Scandiuzzi è un autorevole e inquietante Inquisitore, Dan Paul Dumitrescu il Monaco qui burlone e Virginie Verrez un efficace Thibault. Alla guida dell’orchestra la sicura mano di Bertrand de Billy dipana le quasi cinque ore di musica senza cali di tensione. Non è sempre coeso l’immenso coro in scena.
⸪