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Pierre de Marivaux, La colonia
regia di Beppe Navello
Torino, Teatro Romano, 3 settembre 2023
Protofemminismo nel secolo dei lumi
“Commedia utopica”, La colonie fu pubblicata sul Mercure de France nel dicembre nel 1750 riadattando una vecchia commedia che non aveva avuto successo: i tre atti de La nouvelle colonie ou la Ligue des Femmes del 1729 diventano un atto unico e questo secondo tentativo è destinato alla lettura “dans une Société”, non sembrando i tempi ancora maturi per declamare parole tanto sovversive sulle tavole di un palcoscenico. Era successo d’altronde a un altro testo di Marivaux ispirato alle idee dell’Illuminismo, L’Isola della Ragione, che dopo il buon esito riscontrato attraverso le letture ad amici e intellettuali non si era però trasformato in un successo teatrale.
«Ah çà, Madame Sorbin, ou plutôt ma compagne, car vous l’êtes, puisque les femmes de votre état viennent de vous revêtir du même pouvoir dont les femmes nobles m’ont revêtue moi-même ; donnons-nous la main, unissons-nous et n’ayons qu’un même esprit toutes les deux». (Oh sì, Signora Sorbin, o meglio mia compagna, perché lo siete, visto che le donne del vostro Stato vi hanno appena rivestito dello stesso potere di cui mi hanno rivestito le nobildonne; diamoci la mano, uniamoci e sia unico lo spirito di tutte e due). Così inizia con la prima battuta che la “femme noble” Arthénice rivolge alla “femme d’artisan” Madame Sorbin. Da qui parte la rivoluzione con cui le donne intendono appropriarsi di quello che fino a quel momento è stato prerogativa dei soli uomini: «Vogliamo essere coinvolte in tutto, esercitare con voi tutti i lavori, quelli della finanza, della magistratura e della spada». Ma, ahimè, le prime crepe nella “lega” delle donne non si devono alla tracotanza del sesso forte, ma si formano proprio all’interno dell’universo femminile e di fronte alla necessità di imbracciare le armi di fronte all’attacco di forze ostili le donne preferiscono cedere il comando ai maschi.
«Tra ventimila anni saremo ancora la notizia del giorno» ripete nel finale Mme Sorbin. «E se non ci riusciremo, ci riusciranno le nostre nipoti» aggiunge Arthénice. Dopo meno di trecento anni noi oggi vediamo che molte delle istanze “utopiche” si sono realizzate, ma ancora molto resta da fare. Anche in questo testo Marivaux si dimostra maestro nello smontare e mettere a nudo la complessa macchina nel mondo degli uomini. «Un precursore dell’analisi dell’anima e, in quanto tale, inevitabilmente contemporaneo» sintetizza efficacemente Beppe Navello.
Ospite un po’ incongruo della rassegna Torino Crocevia di sonorità – che ha presentato concerti jazz, di musica da camera, di percussioni e fiati realizzati con il Conservatorio Statale di Musica “Giuseppe Verdi di Torino” e con formazioni di musicisti del repertori folk e contemporaneo – e in collaborazione con i Musei Reali e l’associazione Teatro Europeo, lo spettacolo che era stato programmato l’anno scorso a Firenze occupa ora quello spazio centralissimo ma molto poco utilizzato dei resti del Teatro Romano compreso tra la Manica Nuova di Palazzo Reale e la Torre Palatina. Lasciato l’intimo saloncino Paolo Poli del Teatro della Pergola, gli spazi aperti sembrano ancora più adatti alla vicenda ambientata in un’isola inospitale su cui si sono rifugiati i personaggi fuggiti alla minaccia di chi ha invaso la loro patria. Prima assoluta in italiano, il testo è stato tradotto da Beppe Navello, qui anche regista, nell’ambito della SEM (Scènes Européennes Marivaux), un progetto internazionale che ha anche avviato la versione nella nostra lingua dell’integrale del teatro di Marivaux. Se ne aveva avuto un assaggio un anno fa con La seconda sorpresa dell’amore vista al milanese Teatro Grassi. Assieme a cinque pièces, tra cui le altre due del “trittico delle isole”, questo testo entra nel terzo dei sette volumi previsti presso l’editore CuePress.
Con la stessa compagnia de La seconda sorpresa dell’amore Beppe Navello allestisce questo apologo venato di amarezza con le giuste scenografie e i gustosi costumi di Luigi Perego e le luci di Orso Casprini. Le musiche di Germano Mazzocchetti, rese efficacemente al pianoforte da Alessandto Panatteri, danno un ironico tono da cabaret che però ben si adatta alla parola del drammaturgo francese – «un ricamo linguistico di matematica perfezione» come è stato definito – realizzato nella sciolta dizione dei dieci bravissimi attori guidati con precisione dalla mano sapiente del regista.
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