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Reinhard Strohm, The Operas of Antonio Vivaldi
790 pagine, Leo S. Olshki ed., novembre 2008
Nei due poderosi tomi promossi dalla Fondazione Giorgio Cini per l’Istituto Italiano Antonio Vivaldi, il musicologo tedesco Reinhard Strohm, nato nel 1942 e laureato a Berlino con la tesi Italienische Opernarien des frühen Settecento (1720–1730), affronta la difficilmente districabile matassa delle opere di Antonio Vivaldi, epitome della disinvolta attitudine dei compositori settecenteschi a utilizzare per le loro opere pezzi musicali tratti da opere precedenti o addirittura di altri autori. Pratica diffusa cui non si sottrasse certo il compositore veneziano sempre in affanno nella scrittura di nuove pagine.
A questo si aggiunga la disgrazia dei tanti manoscritti andati perduti e la singolare storia del ritrovamento di quelli che ora formano l’archivio vivaldiano della Biblioteca Nazionale di Torino con i fondi Foà e Giordano, vicenda raccontata tra gli altri da Federico Maria Sardelli e prima ancora da Orlando Perera.
L’opera dello Strohm è praticamente un unicum per ricchezza di informazioni e profondità di analisi. A una prima parte dedicata alla storia dei lavori di Vivaldi, all’ambiente in cui ha operato e alla sua estetica, segue una succosa seconda parte in cui vengono analizzate tutte le opere di cui è rimasto il libretto o la partitura o entrambi, nelle varie e numerose versioni: 47 titoli, ognuno compreso di dedica, argomento, personaggi, trama e analisi musicale.
Preziosissime sono le tavole con la cronologia, la lista dei “pasticci” e la struttura musicale di ognuna, strumento indispensabile per cercare di comprendere un mondo così incredibilmente ricco a affascinante qual è quello dell’opera barocca e del Prete Rosso in particolare.
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