Federico Maria Sardelli, L’affare Vivaldi
2015 Sellerio Editore, 298 pagine
La vicenda del ritrovamento delle opere lasciate da Vivaldi alla sua morte è talmente inverosimile che solo la realtà poteva inventarla. A raccontare questa incredibile storia è il musicologo-esecutore-direttore Federico Maria Sardelli che, mettendo insieme i documenti esistenti, ricostruisce una vicenda così intricata.
I dodici densi capitoli si alternano cronologicamente fino a convergere ai nostri giorni: quelli dispari riguardano le traversie veneziane (1740, 1741, 1778, 1780) e genovesi (1893), quelli pari gli avvenimenti del secolo scorso in Piemonte negli anni del fascismo.
Il compositore veneziano morì il 28 luglio 1741 mentre era a Vienna, ma il suo tesoro di manoscritti in calle dei Fabbri era già atto prontamente messo in salvo dal fratello un anno prima. Quando nell’agosto 1741 vengono sequestrati tutti i beni a causa dei tanti debiti lasciati dall’abate Antonio Vivaldi, nell’appartamento in cui si aggirano come fantasmi le due sorelle c’è ben poca roba e i due armadi “dipinti alla cinese” in cui il compositore custodiva la sua musica inedita risultano vuoti. I preziosi manoscritti erano stati portati in un posto sicuro e ora potevano essere venduti al senatore Jacopo Soranzo, bibliofilo e collezionista – il primo di una catena di proprietari che a un certo punto dividerà a metà il lotto ereditato. La riunione e la ricomparsa del tesoro, che ha permesso di riscoprire un autore che era stato quasi totalmente dimenticato, è raccontata con estrema arguzia e brillante erudizione dall’autore, esperto di musica barocca e tra i massimi studiosi delle opere del prete rosso.
È anche la storia dei tanti tesori che abbiamo qui in Italia e che troppo spesso trascuriamo. Ed è una storia di uomini “giusti”, di menti illuminate. Fortunatamente è una storia a lieto fine, una delle non molte.
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