Orlando Perera, Vivaldi, la quinta stagione
2010 Daniela Piazza Editore, 220 pagine
Che cosa vuol dire abitare a pochi metri da un tesoro inestimabile? «Chi scrive è vedi caso l’essere umano che vive più vicino di ogni altro ai manoscritti superstiti, conservati al secondo piano della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino» scrive Orlando Perera, che continua: «Per la diversa altezza dei soffitti, corrisponde al quarto piano della casa dirimpetto, cioè al mio alloggio. Altri abitano nel palazzo, ma secondo i miei calcoli ho un vantaggio di almeno cinque-sei metri sull’inquilino del piano di sotto…».
Da questo “vantaggioso” punto di osservazione Orlando Perera in questo suo saggio ci racconta del processo storico che ha portato alla odierna Vivaldi renaissance. In sedici agili capitoli l’erudito giornalista tocca tutti i punti dell’avventura vivaldiana nel suo paese, dalla “sala manoscritti e rari” (cap. I) in cui sono custodite, tra le altre, venti delle ventuno opere superstiti; a “Vienna” (cap. VII) in cui si conclude la vicenda terrena del prete rosso; dal “buio” (cap. VIII) che inghiotte Vivaldi e la sua opera; a “Foà e Giordano, Forza d’Amor Paterno” (cap. XI) dedicato alle due figure di mecenati grazie ai quali viene ricostituito l’inestimabile fondo; da “Ezra Pound, To dig out Vivaldi” (cap. XII) in cui viene messa in luce la seduzione esercitata dalla musica vivaldiana sul discusso poeta americano; a “Barocco Rock” (cap. XIV) in cui si narra della popolarità del compositore veneziano che subisce un’impennata a partire dagli anni ’50, popolarità che Perera definisce “La quinta stagione” (cap. XV); al finale dedicato alla “Vivaldi Edition”, una coproduzione di grande impegno tra l’Istituto dei Beni Culturali e la casa discografica Naïve che sta pubblicando tutte le musiche “ritrovate”.
Nella presentazione al saggio, Alberto Basso ha un monito che chissà se sarà ascoltato: «Mi piace considerare lo scritto di Orlando Perera non solamente come un messaggio lanciato ad un vasto pubblico, ma anche e forse soprattutto come ammonizione, avvertenza e sollecitazione ai responsabili della vita culturale, e non solo musicale, cittadina, perché essi ne colgano nei giusti modi la portata e ne sostengano le sacrosante ragioni».
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