∙
Giuseppe Verdi, Rigoletto
Parigi, Opéra Bastille, 11 aprile 2016
(video streaming)
Rigoletto in scatola
Claus Guth debutta per la prima volta nel 2016 all’Opéra National di Parigi con il Verdi del Rigoletto di cui dà una lettura come sempre personale anche se non totalmente condivisibile. Sia come sia, la produzione rimarrà in cartellone fino al gennaio 2025 con varie riprese.
Ecco che cosa scriveva Alessandro di Profio di Connessi all’opera sull’edizione andata in scena nel novembre 2021: «Il regista tedesco immagina un buffone di corte torturato dai rimorsi che ritira fuori una scatola di cartone in cui sono stati riposti ricordi angoscianti. La scatola occupa l’intero palcoscenico e resta, quasi senza alcun cambiamento, per i tre atti. Dunque, tutta l’opera è un riportare a galla e rivivere i rimorsi atroci di un vecchio padre, omicida suo malgrado della figlia. Per il costante oscillare, tra passato e presente, di Rigoletto ce ne sono due: certo il cantante, ma anche un doppio, ovvero un mimo. L’idea del doppio non è nuovissima: Guth l’aveva già sfruttata in Fidelio. Comunque, insieme all’espediente del mega-scatolone di cartone, teatralmente potrebbe funzionare. Purtroppo, arrivano tanti altri “segni” che rendono la regia non sempre limpidissima. Perché i costumi oscillano tra evocazioni rinascimentali e abiti da primo Novecento? Perché chiedere ai coristi mimiche senza alcun senso, incoerenti tanto rispetto al testo quanto alla situazione? Perché lasciarsi andare con balletti caricaturali che hanno l’unico effetto di creare un grottesco non per forza voluto (o che fosse un ammiccamento all’estetica del “brutto” ricercata da Victor Hugo..?)? Le ballerine piumate che sgambettano al suono de “La donna è mobile” sono legittimamente accolte solo da risa. Geniale nella rilettura della trilogia dapontiana di Mozart, Guth non ritrova in questo Verdi le stesse vette».
Nel tempo si sono susseguiti numerosi cast. Nella prima edizione Rigoletto fu Quinn Kelsey, Gilda Ol’ga Peret’jatko, il Duca di Mantova Michael Fabiano, Maddalena Vesselina Kasarova, Monterone Mikhail Koleshvili, Sparafucile Rafal Siwek. Ecco quello che scrisse su Forum Opéra Yannnick Boussaert: «La Gilda di Ol’ga Peret’jatko è al limite della grandezza. Esperta belcantista, impreziosisce il suo canto in ogni momento: trilli a bizzeffe, note filate, piani delicati, tutto contribuisce a caratterizzare una giovane donna meno interessata alle posizioni di ballo che il padre vorrebbe che ricoprisse che a realizzare i suoi desideri o l’ingenuo sacrificio a cui acconsente. Quinn Kelsey mostra molte qualità. Il suo carisma sul palcoscenico è innegabile, ben supportato da una voce potente e facile al massimo della sua gamma. Gli manca un pizzico di oscurità e di mordente per differenziare completamente il vile buffone e vendicatore cieco dal padre amorevole e iperprotettivo. Michael Fabiano è più a suo agio nel secondo tempo. Nel primo atto, ha inciampato su acuti approssimativi e attacchi di note prese dal basso. Questo problema è stato risolto dopo l’intervallo, quando ha navigato tra valore e resistenza. Mentre alcuni debuttano, Vesselina Kasarova torna all’Opéra di Parigi in un ruolo che forse non ci si aspettava. Il ricco timbro della bulgara è immediatamente riconoscibile, così come la sua particolare pronuncia, a cui manca un po’ di potenza in più. Il Monterone di bronzo di Mikhail Kolelishvili e il cupo Sparafucile di Rafal Siwek sono entrambi ottimi nella tonalità di Fa. I comprimari sono complessivamente di ottimo livello, così come gli uomini del Coro dell’Opéra di Parigi, con le loro voci calde e unificate, attente allo stile e alle sfumature verdiane. In buca, Nicola Luisotti ha dato vita al dramma alla testa di un’orchestra concentrata su un ritmo e movimenti limpidi. L’orchestra falange segue le pause di ritmo e le sfumature volute dal direttore italiano, in particolare nei finali d’atto. I dettagli si accumulano, i crescendi colpiscono nel segno e la tensione sale sempre dalle vibrazioni dei violini o dai cinguettii dei fiati».
⸪
