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Ludwig van Beethoven, Fidelio
Amsterdam, Muziekteater, 16 giugno 2024
★☆☆☆☆
(video streaming)
Il Fidelio del 21° secolo? Un buco nero che inghiotte Beethoven e tutti noi
Tre mesi dopo un’esecuzione oratoriale al Concertgebouw, Amsterdam vede sulla scena il Fidelio di Ludwig van Beethoven diretto da Andrés Orozco-Estrada e messo in scena dal regista ucraino Andriy Zholdak.
Di Zholdak ho lo sgradevole ricordo del suo Il castello del duca Barbablù di Lione. Chissà come sarà ora il suo Fidelio se la stessa Nationale Opera di Amsterdam si preoccupa di scrivere sul sito che «per aiutare i visitatori a interpretare meglio ciò che vedranno sul palco, si consiglia di leggere la pagina informativa» in cui ben tre tra musicologi e dramaturg cercano di spiegare il mondo visionario del regista. Se poi le “istruzioni per l’uso” sono in olandese che problema è? Non aiuta poi il fatto che nell’intervista in inglese il regista affermi che «non intende raccontare la storia», ma di adottare un «approccio espressionista che nasce da una verità interiore che si evince dalla musica stessa di Beethoven».
Non essendo in grado di leggere le chiavi interpretative del regista, chi vuole cercare di capire con gli strumenti intellettuali in suo possesso la personale lettura del regista che cosa scopre? Che dopo le tre versioni conosciute – prima versione (1805) Fidelio oder die eheliche Liebe, 3 atti su testo di Joseph Sonnleithner; seconda versione (1806) Leonore oder die eheliche Liebe, 2 atti, Stephan von Breuning; terza versione (1814) Fidelio, 2 atti, Georg Friedrich Treitschke – esiste la versione Zholdak con i dialoghi riscritti dal regista stesso (un testo di sconcertante banalità), numeri musicali eliminati (l’aria di Rocco del primo atto) o accorciati (il coro finale) o aggiunti (parte della sinfonia Eroica e l’ouverture “Leonore 3”) e una vicenda che non ha nulla a che vedere con quella messa in musica da Beethoven.
Una moglie che si traveste da uomo per salvare il marito innocentemente imprigionato? Neppure per sogno: siamo alla International Cosmic Day Space Conference in cui viene annunciato il pericolo di un buco nero in rotta di collisione con la nostra galassia. Chi parla è Leonora stessa, che poi vediamo andare a letto con Florestan, lui vestito in completo da sera, per poi aggirarsi in un incubo con tanti specchi, un Pizzarro/Karl Lagerfeld, un Rocco e una Marzelline con gli orecchi a punta degli elfi e gli arti ferini, Florestan anche lui perso nell’incubo e con una maschera di lupo, altri personaggi con le ali o senza e automi in un ambiente di colori primari, elementi geometrici, enigmatici video in bianco e nero, scene e controscene senza senso e tanti, tantissimi specchi, e porte. E siamo solo al 45° minuto di uno spettacolo che arriva a tre ore con l’intervallo.
Nonostante il dispiegamento di forze messo in campo dalla Nationale Opera, unanimamente negativa è stata la risposta di pubblico e critica: «Zholdak ha preso la musica e le arie dell’opera di Beethoven, ha buttato via tutto quello che c’era intorno e ha inventato la sua storia “cosmica” piena di specchi, angeli bianchi e neri. Il regista si lancia nella sua alata e incomprensibile messa in scena e nel frattempo getta un sacco di associazioni e immagini sul pubblico che lo guarda come un coniglio che fissa un faro acceso»; «La cosa più notevole è la gratuità di tutta l’azione. Una sorta di film porno senza sesso in cui persone poco interessanti si scambiano frasi sgrammaticate in luoghi improbabili, mentre un tizio con una maschera da lupo e un’oca giuliva guardano annoiati»; «Un armageddon color veleno, un cancro visivo maligno, una baraonda sulfurea decisa a crocifiggere Beethoven postumo»; «Un grande inganno» etc.
Si rimane stupiti di come gli esecutori musicali si siano fatti coinvolgere in questo “inganno”, come il direttore Andrés Orozco–Estrada, che impone la sua lettura sinfonica della partitura a prescindere da quello che avviene ne scena, o i cantanti dove solo Jacquelyn Wagner riesce a dare un senso ai suoi momenti musicali nonostante quanto accade attorno a lei. Eric Cutler è un Florestan palesemente infastidito dall’operazione e che sembra rimpiangere il suo Florestan di quattro anni fa a Vienna; Nicholas Brownlee è un vocalmente discutibile e onnipresente Pizarro/Lagerfeld; Anna el-Khashem e Linard Vrielink altrove sarebbero dei convincenti Marzelline e Jacquino, quest’ultimo più convinto nel Fidelio di Parigi all’Opéra Comique; James Creswell è un Rocco che si trasforma presto anche lui nella buonanima di Karl Lagerfeld.
Povero Beethoven! Dopo Bartók e Verdi (Macbeth a Friburgo nel 2022) chissà chi sarà la sua prossima… vittima.
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