foto © SF/Ruth Waltz
∙
Sergej Prokof’ev, Il giocatore
Salisburgo, Felsenreitschule, 22 agosto 2024
ici la version française sur premiereloge-opera.com
Dostoevskij a Salisburgo, #1
Due le opere in programma quest’anno al Festival di Salisburgo tratte da Dostoevskij: L’idiota di Weinberg e Il giocatore di Prokof’ev, entrambe rappresentate nel particolare spazio della Felsenreitschule.
Opera scritta nel momento sbagliato e per un pubblico sbagliato, quella di Prokof’ev è entrata in repertorio solo due decenni dopo la morte del suo autore e non è mai stata messa in scena, lui vivente, nel suo paese. Scritta con ansia febbrile dal novembre 1915 al gennaio 1917 non può essere presentata a causa della Rivoluzione Russa e dell’arresto a marzo del direttore dei teatri imperiali. Dieci anni passano e Prokof’ev ne appronta una versione per essere messa in scena da Vsevolod Mejerchol’d al Teatro dell’Accademia di Stato di Mosca, ma la produzione viene cancellata. Il compositore accenta con riluttanza l’offerta del Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles e il 29 aprile 1929 vede finalmente la prima, anche se in lingua francese (1). Le critiche non furono positive e nessun altro teatro fu disposto a metterlo in cartellone. A parte una suite in cinque parti (Quattro ritratti e un finale da “Il giocatore” op. 49, 1931), l’opera fu ascoltata in Russia in forma orchestrale solo nel 1963, cinque anni dopo la morte di Prokof’ev, e nel 1975 finalmente messa in scena al MET di New York dal Bol’šoj Teatr, ma lo stesso MET ne montò una sua produzione solo nel 2001, lo stesso anno in cui fu data la prima volta a Mosca diretta da Gennadij Roždestvenskij. Ha ragione quindi il regista Peter Sellars a dire nel programma di sala della produzione salisburghese che «Stiamo ancora imparando ad ascoltare questo lavoro: ormai è sicuramente musica del nostro presente, ma forse per la nostra generazione incombe ancora come musica del futuro».
Ed è Timur Zangiev, il giovane direttore che all’ultima Dama di picche della Scala aveva egregiamente sostituito Valerij Gergiev, allora allontanato dal teatro perché politicamente esposto col leader russo, a dare vita a questa partitura, una stilizzata musica da cartoni animati per sequenze comiche evocanti l’età d’oro della musica del teatro d’avanguardia, sferragliante ad imitazione della meccanicità, del roteare delle roulette, dei clicchettii delle palline. Un ritmo che incalza l’azione come nelle accelerate pellicole dei film muti. Con la sua concertazione puntuale e appassionata i Wiener Philharmoniker diventano una macchina che non perde un colpo, che avanza inesorabile alternando brevi oasi liriche a momenti di grande umorismo, con gli scintillanti colori che il sapiente gioco di luci di James F. Ingallis echeggia visivamente.
L’elemento visivo dello spettacolo congegnato da Peter Sellars è affidato al sempre geniale George Tsypin che trasforma lo spazio scenico della Felsenreitschule in una sala da gioco che più che la Roulettenburg della Germania del 1865 sembra un’allucinata Las Vegas di oggi, ma con roulette che alzandosi ed abbassandosi diventano una flotta di astronave aliene da videogame di un tempo. rutilanti di luci. Un ulteriore tocco straniante è dato dalle chiazze di muschio che coprono il pavimento, le arcate dello sfondo, ma anche le “astronavi”, rispecchiando il senso di tragica irrealtà in cui è immersa la vicenda: raramente la consonanza tra musica e aspetto visivo ha raggiunto un risultato così felice come in questo allestimento. Peter Sellars con la sua consumata abilità gestisce i cammini incrociati di un generale russo indebitato fino al collo, della vecchia straricca ma presto indigente per la frenesia del gioco, dell’ambiguo Marchese des Grieux, della spregiudicata M.lle Blanche, della figliastra Polina e del precettore Alexei Ivanovich. Tutti dominati dalla sete di denaro e dalla vanità, tanto da sacrificare affetti e amori. I personaggi sono persone di oggi, negli abiti contemporanei di Camille Assaf, e si muovono freneticamente sul vasto spazio del palcoscenico ma con fluidità e con gustosi effetti umoristici.
Affiatatissimo il cast: Peixin Chen è un Generale dalla voce autorevole, solo un pochino monotona; Sean Panikkar (Alexeij Ivanovič) riempie con facilità la strana sala con la grande proiezione del suo mezzo vocale; Asmik Grigorian ritorna nella parte di Polina dopo averla cantata nella produzione del marito al Teatro Nazionale Lituano e riesce a dare significato a un personaggio così complesso con la sua magnetica presenza scenica e il nervoso fraseggio; il Marchese di Juan Gatell è giustamente caratterizzato così come il Mr.Astley di Michael Arivony e il Barone Wurmerhelm di Ilia Kazakov, mentre Nicole Chirka delinea efficacemente l’arrivista Blanche. Menzione a parte per Violeta Urmana, che calamita l’attenzione fin dalla sua prima apparizione come la Babulenka che sperpera al tavolo da gioco il suo ricco patrimonio. Il palcoscenico si affolla all’inverosimile con l’arrivo dei tanti giocatori al quarto atto e qui la Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor preparata da Pawel Markowicz si dimostra perfettamente all’altezza della situazione nel frenetico bailamme degli interventi solistici.
Grande è il successo dello spettacolo con particolari ovazioni per Grigorian, Urmana, Panikker e il direttore Zangiev.
(1) Due anni fa l’opportunità di conoscere questa versione è stata data dal Festival di Martina Franca.
⸪
