foto © Clarissa Lapolla
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Sergej Prokof’ev, Le joueur
Martina Franca, Cortile Palazzo Ducale, 24 luglio 2022
Inaugurazione del Festival della Valle d’Itria con la versione francese de Il giocatore
Quasi 450 anni sono passati da quel 14 gennaio 1573 in cui per la prima volta a Firenze si riuniva la Camerata de’ Bardi per sperimentare una nuova forma d’arte che riuniva musica e scena. Nasceva così l’opera come la conosciamo noi oggi.
E una carrellata di quatto secoli d’opera è quella approntata da Sebastian Schwarz, nuovo direttore del Festival della Valle d’Itria giunto quest’anno alla sua 48esima edizione. Inaugura la manifestazione un’opera del Novecento, Le joueur (Il giocatore) di Sergej Prokof’ev, presentata qui nella versione in francese con cui il lavoro aveva visto la luce alla Monnaie di Bruxelles il 29 aprile 1929, ben tredici anni dopo la sua composizione: il previsto debutto al Mariinskij di San Pietroburgo nel ’17 era infatti saltato e poco dopo il compositore avrebbe abbandonato il suo paese. Questa seconda versione de Il giocatore non poteva non risentire delle esperienze compiute da Prokof’ev con L’amore delle tre melarance e soprattutto con L’angelo di fuoco che nel frattempo aveva composto. «L’esperienza dell’Angelo di fuoco ebbe anche una benefica influenza sull’andamento delle parti vocali, che divennero nella seconda versione del Giocatore più liriche, flessibili, agili, spontanee, nel momento in cui prendevano le distanze dalle asperità del modernismo gratuito e alla moda», scrive Franco Pulcini sul programma di sala, «la coscienza dello stile e dell’espressione drammatica portarono Prokof’ev ad attenuare il peso dell’orchestra e a disegnare con maggior precisione lirica i profili di un canto sempre più protagonistico».
Un’umanità disperata – amanti non riamati, solitudini, cambiali incombenti, debiti di gioco, carriere interrotte – pone tutte le sue speranze sulla fortuna al gioco, ma non nelle carte com’è nella Dama di Picche di Puškin/Čajkovskij, bensì nell’ancora più aleatorio movimento della pallina della roulette che però non salva dal fallimento amoroso con un’inaspettata enorme vincita, mentre produce il tracollo finanziario della vecchia nonnetta che si è lasciata tentare dal gioco, ne è rimasta prigioniera e ha definitivamente deluso le aspettative di chi contava sulla eredità che avrebbe lasciato alla sua morte per risolvere i propri problemi finanziari.
Il racconto di Dostoevskij da cui è tratto il libretto si sarebbe potuto intitolare “La giocatrice”, essendo la figura della vecchia al centro della vicenda. Ed è anche la figura di svolta nell’opera: è infatti con il suo ingresso che cambia anche la musica, fino ad allora sviluppata sull’accompagnamento di un generico declamato. È come se Prokof’ev avesse bisogno di uno stimolo per rinnovare il tono del suo lavoro e da quel momento è tutta un’altra musica, un crescendo inarrestabile fino alla fragorosa fanfara che accompagna l’apparizione in scena della fantomatica roulette, fino a quel momento evocata ma sempre assente dalla nostra vista. Il motivo del gioco diventa puro vitalismo ritmico che tocca qui un vertice di pura follia musicale, scandito dal movimento inesorabile della pallina, dai richiami del croupier, dal nervoso commento dei giocatori.
Tutto è reso con efficacia da Jan Latham-Koenig alla guida dell’ottima orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari. Le linee febbrili e talora dissonanti scaturiscono con sicurezza e fluidità, i momenti grotteschi si alternano felicemente a quelli lirici, i colori acidi e gli spigoli della complessa partitura sono resi con maestria e la non facile concertazione dei cantanti in scena non ha intoppi. La voce migliore di tutti è quella del soprano Maritina Tampakopoulos, una Pauline di bel timbro, bella proiezione vocale e sicura presenza scenica. L’interprete più in tono con l’aspetto satirico e caricaturale dell’opera è invece il tenore Paul Curievici, un Marquis che sembra uscito da una farsa di Labiche. Ottima anche la Grande-Mère di Silvia Beltrami, poi anche la donna che sospetta frodi al tavolo da gioco. Sergej Radčenko, l’Agrippa dell’L’angelo di fuoco della Dante a Roma, qui è un Alexis talora in difficoltà vocali, ma bisogna dire che la parte è veramente impegnativa. Manca di sonorità nel registro grave il Général/Directeur di Andrew Greenan e incomprensibile è la Blanche di Xenia Chubunova, ma in generale la dizione del francese non si può certo dire sia il punto di forza di questa produzione. Tra i tanti altri personaggi ricordiamo almeno il Mr. Astley di Alexander Ilvakhin e il Croupier di Joan Folqué.
Come rendere visivamente l’ossessione del gioco che domina quest’opera? Sir David Pountney e la scenografa Leila Fteita costruiscono un ambiente a cuneo le cui pareti convergenti riportano la gigantografia di una roulette. Uno specchio a 45° riflette la scena e i personaggi che si muovono nervosamente, come burattini, tutti vittime della ludopatia. Belli i costumi e i tessuti delle sedie disegnati dalla stessa Fteita che gioca con motivi del futurismo russo mentre le luci di Alessandro Carletti che inonda la scena di colori primari – rosso, blu, verde. Il successo della serata, oltre che dalla parte musicale, è stato garantito anche dall’aspetto visivo dello spettacolo.


⸪