foto © Mattia Gaido
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Gaetano Donizetti, L’elisir d’amore
Torino, Teatro Regio, 5 febbraio 2025
(cast alternativo)
Sul palcoscenico del Teatro Regio un cast diverso si alterna nell’Elisir d’amore, ma all’ultima recita due ulteriori sostituzioni salvano lo spettacolo per le indisposizioni delle interpreti femminili.
Daniela Cappiello veste i panni di Adina e convince nella trasformazione del personaggio sia di Felice Romani, che da giovinetta superficiale diventa tenera amante, sia del regista Daniele Menghini, che da marionetta di legno la fa diventare persona umana. Il momento clou della trasformazione è l’aria del secondo atto quando Adina restituisce a Nemorino il contratto con cui si è arruolato soldato e che lei ha riscattato: «Prendi; per me sei libero» canta su una melodia non distante dalla belliniana «Prendi: l’anel ti dono» de La sonnambula. Puro bel canto nella nitidissima linea musicale che la cantante esegue con legati e pianissimi di grande bellezza. Prima però nei duetti aveva sfoggiato precise agilità già sperimentate nelle sue passate Gilde, Amine, Regine della notte e Susanne. L’altra sostituzione è quella di Yuliya Tkachenko che delinea una Giannetta vivace sia vocalmente che scenicamente nei suoi pochi ma ben calibrati interventi.
Confermati invece i ruoli maschili con Valerio Borgioni che incarna un Nemorino di bella presenza, timbro gradevole e generosi mezzi vocali non sempre però controllati e sfogati in acuti che sporcano la linea di canto. I suoni sono generalmente troppo aperti e il fraseggio un po’ disordinato, ma il momento migliore della sua performance è comunque quello della «Furtiva lagrima» in cui, accompagnato dai tempi comodissimi del Maestro Carminati, riesce a sfoggiare pianissimi e indugi che scatenano l’entusiasmo del pubblico. Simone Alberghini è un Dulcamara tutt’altro che caricaturale, quasi composto nel bailamme in scena. La voce mantiene una proiezione e un giusto colore per affrontare un carattere esuberante e con doti sicure dote attoriali. Con Lodovico Filippo Ravizza il personaggio di Belcore si conferma il più riuscito della serata, come era successo alla prima. La grande musicalità e la bellezza del timbro caratterizzano il giovane baritono ascoltato come Renato nel Ballo in maschera dello stesso Menghini a Busseto. L’atteggiamento guascone del personaggio non eccede mai una linea di eleganza che comunque non rende mai meno sapido il personaggio.
L’occasione di ascoltare il cast alternativo di questa produzione ha permesso di ammirare ancora una volta l’attenta concertazione di Fabrizio Maria Carminati in una partitura che oltre alla sublime vena melodica cela tesori nascosti di strumentazione. Un esempio per tutti la scena del coro delle Paesane del secondo atto «Sarà possibile?», punteggiata in orchestra dagli ineffabili interventi di flauto e clarinetto, poi fagotto e corno, e poi, inattesi e misteriosi, i timpani, il tutto reso con grande sensibilità dalla bacchetta del Maestro, come gustose sono le improvvisazioni al fortepiano di Paolo Grosa quando accenna all’accordo del Tristano se Dulcamara cita Isotta…
Questa seconda visione permette di scoprire qualche altro dettaglio nella regia di Daniele Menghini, una messa in scena zeppa di idee efficacemente realizzate, ma con gag spesso estemporanee per compiacere il pubblico – il chiodo, il fallo, l’estintore… – , pubblico numeroso e giovanile che infatti risponde con applausi travolgenti alla fine della recita.
Questa di Donizetti è opera spesso presente nei cartelloni del Regio di Torino, molto meno le sue opere serie. Sarà bene rimediare: il bergamasco è compositore quantitativamente più fecondo nel dramma che nel genere buffo, come sanno bene all’estero dove grande successo hanno ad esempio le sue regine…
⸪
