Johann Andreas Schachtner

Zaide oder der Weg des Lichts

foto © Marco Borrelli

Zaide oder der Weg des Lichts (Zaide o la via della luce)

Salisburgo, Felsenreitschule, 17 agosto 2025

★★★★★

(video streaming)

Un altro pasticcio a Salisburgo: l’arte di ricominciare dall’incompiuto

Al Festival di Salisburgo Raphaël Pichon rielabora Zaide di Mozart in un pastiche che unisce brani da Davide penitente, Thamos e altri lavori. In scena l’Ensemble e il Coro Pygmalion animano una riflessione contemporanea su libertà e memoria. Sobria regia e interpreti eccellenti, con Sabine Devieilhe e Julian Prégardien protagonisti di rara intensità.

Questa volta utilizza la musica di Mozart il secondo pastiche che il Festival di Salisburgo propone al suo pubblico: dopo quello di Vivaldi viene rappresentata in forma semi-scenica una riscrittura di Zaide, il Singspiel incompiuto del 1780, ai cui numeri sono aggiunti brani tratti dall’oratorio Davide penitente, dalle musiche per Thamos, re d’Egitto e da altri pezzi vocali e strumentali degli anni 1779-1785, oltre a una registrazione dello spettrale Adagio in Do per glassharmonica del 1791, l’ultimo anno di vita di Mozart, con cui inizia e si conclude lo spettacolo (1).

Quello che viene fuori, nelle intenzioni di Raphaël Pichon, direttore e autore della concezione, è visivamente vicino a One Morning Turns into Eternity messo in scena da Peter Sellars nella stessa location, la Felsenreitschule: lo stesso sterminato palcoscenico qui ancora più vuoto perché non c’è alcuna struttura scenografica, solo il gioco di luci e ombre di Bertrand Couderc e i sobri movimenti coreografici di Evelin Facchini. Sul palcoscenico a sinistra l’Ensemble Pygmalion, a destra il coro omonimo e l’“azione”, con i solisti che talora appaiono tra le arcate scolpite nella roccia, come il Tiranno Solimano per la sua aria “Der stolze Löw” o Zaide, dietro a una stilizzata glasharmonica che a un certo punto cadrà a terra.

Nella drammaturgia di Eddy Garaudel basata sul testo di Wajdi Mouawad, la figlia di Zaide, Persada, torna nella prigione, ora trasformata in museo, alla ricerca di notizie su sua madre.

Prologo
Persada, una giovane donna, visita i resti di un’ex prigione ora diventata museo. Lì incontra un uomo che sembra essere lì da secoli. È l’uomo che sta cercando: Allazim, il guardiano di questo luogo della memoria. Persada è alla ricerca di tracce di sua madre, che non ha mai conosciuto: Zaide, chiamata anche “la donna che canta”, che un tempo era rinchiusa in una delle celle del luogo. L’unico indizio che Persada possiede. Questo viaggio attraverso lo spazio e il tempo è un ultimo disperato tentativo di scoprire la verità e guarire la ferita della sua storia familiare. Su insistenza della ragazza, Allazim raccoglie i suoi ricordi. Evoca un tempo non così lontano dal nostro, quando questo luogo era una tetra prigione politica in cui molti sogni andarono in frantumi.
Atto primo
Allora. L’arrivo di Zaide è un barlume di speranza per i prigionieri, uomini e donne distrutti da anni di prigionia. Ben presto Zaide viene soprannominata “la donna che canta”, perché è l’unica che riesce a tenere la testa alta di fronte alle umiliazioni quotidiane inflitte dal tiranno Soliman e rispondere al suo scagnozzo Allazim. I prigionieri si aggrappano al loro canto come a un’ancora di salvezza; è un conforto gradito dopo giorni di privazioni e reclusione. Zaide ama un altro prigioniero, Gomatz, ma vengono separati con la forza. Il loro amore sembra quasi ridicolo in questo luogo desolato, ma è autentico e conferisce loro una forza inaspettata. Un giorno Allazim si accorge che Zaide è incinta. È profondamente sconvolto da questa notizia. L’idea che il bambino nasca in quella terribile prigione e che il tiranno Soliman possa usarlo per torturare Zaide e Gomatz in modo ancora più crudele lo indigna. I bambini non devono pagare per i crimini dei loro genitori. Questa scoperta ha l’effetto di una scossa elettrica su Allazim. Decide di rischiare la vita per salvare i prigionieri e prepara la loro fuga.
Atto secondo
Incoraggiati dalla prospettiva di una felicità imminente, i prigionieri preparano la fuga con l’aiuto di Allazim. Ma il destino ha deciso diversamente e, proprio mentre stanno per salpare dalla riva, scoppia una tempesta che riporta la barca verso le gelide mura della prigione. Soliman esulta, invoca morte e vendetta e gli amanti vengono condannati a morte. Con un ultimo grido di disperazione, Zaide dà alla luce sua figlia, la bambina che crescerà con il nome di Persada. Dopo l’esecuzione dei due prigionieri, tutti sono presi dal panico. Come si è potuto permettere tutto questo? Fino a dove si spingerà l’orrore? Allazim si oppone a Soliman e lo supplica di risparmiare la neonata. Soliman, paralizzato dalla follia della sua arroganza e delle sue decisioni, acconsente.
Epilogo
Allazim conclude il suo racconto. Come sfuggire a ciò che ci distrugge? Persada, che ha appena scoperto la verità sulle sue origini, decide di rompere il circolo vizioso della vendetta, di perdonare e di cercare, se ancora possibile, di costruire un futuro diverso.

Zaide, ovvero: quando un’opera incompiuta del giovane Mozart si trasforma in uno specchio lucidissimo del nostro tempo, grazie a un’operazione di teatro musicale che ha la grazia dell’intelligenza e il coraggio della libertà. «Una Zaide dei nostri tempi», la chiama Raphaël Pichon, anima e demiurgo del progetto. E già questo basterebbe a far drizzare le orecchie: non la solita riesumazione da archeologi della partitura, ma un gesto teatrale che prende Mozart sul serio. Talmente sul serio da osare guardarlo negli occhi, invece di imbalsamarlo in teche filologiche.

L’idea, infatti, non è quella di completare Zaide come se si fosse Mozart (mission impossible, oltre che un tantino presuntuosa), ma di compiere un petit pas de côté, un piccolo passo laterale, e riscriverne il libretto restando fedeli non alla lettera ma allo spirito. Lo spirito, appunto, di un’epoca che sognava l’Illuminismo e si trovava davanti al dispotismo. Di un’eroina che canta per resistere e di un amore che sfida la tirannia. E dunque, ecco Zaide o La via della luce, metafora neanche troppo velata di un’umanità che ha perso la strada e prova a ritrovarla. Attraverso la memoria, il dolore, la speranza.

Il personaggio nuovo, Persada, non è un orpello moderno incollato per far scena. È il nostro tramite, la nostra lente: deve conoscere il proprio passato per poterlo accettare. Nel frattempo, il coro – magnificamente integrato scenicamente – diventa uno specchio frantumato, riflesso di un’umanità in pezzi. Ma in mezzo a questi cocci resta una voce, quella di Zaide, “la donna che canta”: simbolo radioso di resistenza, bellezza, e testardaggine emotiva.

Ma veniamo alla musica – che è poi quello che conta, sempre. Il tessuto sonoro è un patchwork mozartiano di altissimo artigianato. Si prendono 11 dei 15 numeri superstiti di Zaide e li si intrecciano con sette brani della Messa in do minore K. 427 (che per inciso è diventata Davide penitente), più un cameo del Misericordias Domini K. 222. Sì, il testo è in tedesco, italiano e latino: trilinguismo che potrebbe spaventare, ma che in realtà dà respiro, stratifica il discorso, amplia lo spettro.

Pichon, con il suo sempre eccellente Ensemble Pygmalion, fa un lavoro di ricamo sonoro di rara coerenza: tutto, dalle cuciture barocche agli sbuffi classici, torna perfettamente. E il coro, ripetiamolo, è protagonista: canta benissimo e recita altrettanto bene. Già questo sarebbe un miracolo.

Sul fronte solisti, una cinquina di livello olimpico. Lea Desandre (Persada) è pura intensità incarnata; Johannes Martin Kränzle dà ad Allazim il peso giusto, senza sbavature. Daniel Behle riesce persino a farci empatizzare con il tiranno Soliman (e questo è già teatro, non solo canto). Ma i fuochi d’artificio veri arrivano da Sabine Devieilhe (Zaide) e Julian Prégardien (Gomatz): lei, un miracolo di luce e dolcezza in “Ruhe sanft” – una delle più belle arie scritte da Mozart, punto –; lui, tutto bellezza timbrica e fraseggio innamorato. Perfetti.

E infine, una domanda – un po’ provocatoria, ma necessaria: e se il futuro dell’opera fosse… non nell’opera? Se il teatro musicale del XXI secolo passasse da queste operazioni ibride, rigeneranti, che rimettono in circolo il passato per raccontare il presente? Dopo Bastarda su Donizetti, dopo le reinvenzioni su Verdi de La Monnaie di Bruxelles, ecco che anche Mozart diventa materia viva da plasmare, non santino da incensare. Forse l’opera è davvero uscita dal museo. E forse, finalmente, ha ricominciato a vivere.

(1) Ecco la struttura musicale:
Prologo
Adagio in Do per glassharmonica KV 356 (ora KV 617a)
“Ma tu sì fiero scempio” (Persada) recitativo dall’aria per concerto Ah, lo previdi KV 272
Atto primo
Scena I
“Alzai le flebil voci al Signor” (Coro, Zaide) coro da Davide penitente KV 469/1
Scena II
“Brüder, lasst uns lustig sein” (Allazim) coro da Zaide KV 344/1
“Im Garten der Unschuld” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/9
“Der stolze Löw” (Soliman) aria da Zaide KV 344/9
Scena III
“Sii pur sempre benigno” (Coro) coro da Davide penitente KV 469/4
“Sorgi, o Signore” (Zaide, Persada) duetto da Davide penitente KV 469/5
Scena IV
“Ein einziges Glühwürmchen reicht aus” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/2
“Ruhe sanft, mein holdes Leben” (Zaide) aria da Zaide KV 344/3
“Einsam bin ich, meine Liebe” (Gomatz) Lied KV Anh. 26
“Nascoso è il mio sol” (Zaide, Persada, Gomatz, Soliman) Canone KV 557
Scena V
“Nicht alle Wahrheiten sind gut zu wissen” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/2
“Meine Seele hüpft vor Freuden” (Zaide, Gomatz) duetto da Zaide KV 344/5
“Chi in Dio sol spera” (Zaide, Persada, Gomatz, Coro) coro da Davide penitente KV 469/10
Atto secondo
Scena I
“Misero! O sogno” (Soliman) recitativo dall’aria per concerto Aura che intorno spiri KV 431
“In Mächtigen seht ungerührt” (Allazim) aria da Zaide KV 344/14
“A te fra tanti affanni! (Soliman) aria da Davide penitente KV 469/6
Scena II
“O selige Wonne” (Zaide, Gomatz, Allazim) terzetto da Zaide KV 344/8
“Misericordias Domini” (Coro) Offertorium KV 222
Scena III
Allegro molto da Thamos, König in Ägypten KV 345/7a
“Tiger! wetze nur die Klauen” (Zaide) aria da Zaide KV 344/13
“Se vuoi, puniscimi” (Coro) da Davide penitente KV 469/7
“Freundin! stille deine Tränen” (Gomatz, Allazim, Soliman, Zaide) quartetto da Zaide KV 344/15
“Trostlos schluchzet Philomele” (Gomatz, Zaide) aria da Zaide KV 344/12
Epilogo
“Tra l’oscure ombre funeste” (Persada) aria da Davide penitente KV 469/8
Adagio in Do per glassharmonica KV 356 (ora KV 617a)

Il barbiere di Siviglia

Gioachino Rossini, Il barbiere di Siviglia

★★★★★

Rome, Teatro dell’Opera, 5 décembre 2020

(video streaming)

 Ici la version italienne

Le Barbier de Séville à Rome : faire de nécessité vertu, et même excellence !

Rome a inauguré sa saison d’opéra deux jours avant Milan, dans une période terriblement défavorable pour les théâtres. Mais contrairement à la Scala, l’opéra de Rome ne renonce pas à la mise en scène d’un opéra, et même de son opéra, celui qui, il y a 204 ans, au théâtre Torre Argentina a déchaîné le public (ou peut-être seulement une partie, mais extrêmement excitée !) avec ce qui dans les années à venir deviendrait une œuvre particulièrement  populaire. Le Barbier de Séville est donc programmé au Costanzi dans une version sans public qui, disons-le d’emblée, s’est avérée être une excellente surprise, le metteur en scène Mario Martone faisant de nécessité vertu en proposant une solution théâtralement brillante…

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Zaide

foto © Yasuko Kageyama

Wolfgang Amadeus Mozart, Zaide

★★★★☆

Rome, Teatro dell’Opera, 22 octobre 2020

 Qui la versione italiana

La turquerie inachevée de Mozart au prisme des hypothèses d’Italo Calvino

C’est l’opéra de Mozart le plus problématique à mettre en scène qui inaugure la nouvelle saison de l’opéra romain. Resté inachevé, il a été mis de côté par le compositeur et ce n’est qu’en 1799, huit ans après sa mort, que sa femme Constance en a trouvé les pages et les a offertes à un éditeur. Mais elles ont été publiées en 1838 et ce n’est qu’en 1866 qu’elles firent  l’objet d’une adaptation comprenant une ouverture et un finale composé par Johann Anton André, lequel avait édité les fragments. Peut-on reconstituer exactement la genèse de l’œuvre ?

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Zaide

foto © Yasuko Kageyama

Wolfgang Amadeus Mozart, Zaide

★★★★☆

Roma, Teatro dell’Opera, 22 ottobre 2020

bandiera francese.jpg Ici la version française

La turcheria incompiuta di Mozart e le molte ipotesi di Italo Calvino

L’opera di Mozart più problematica da mettere in scena inaugura la stagione lirica romana. Rimasta incompiuta, fu messa da parte dall’autore e solo nel 1799, otto anni dopo la sua morte, la moglie Constanze ne trovò le pagine e le offrì a un editore. Ma queste furono pubblicate nel 1838 e si dovette aspettare il 1866 per ascoltarle in un adattamento che includeva un’ouverture e un finale composti da Johann Anton André, colui che aveva curato la pubblicazione dei frammenti. Ma che cosa era successo?

Nel 1779 durante la ripresa del suo Thamos, König in Ägypten Mozart aveva deciso di mettere in musica per i Böhm, una compagnia teatrale destinata all’esecuzione di opere in tedesco, un libretto propostogli dall’amico Johann Andreas Schachtner, lo stesso che aveva collaborato al Bastien und Batienne dieci anni prima. Il soggetto, l’ambiente turco e il titolo Das Serail (Il serraglio) anticipano il futuro Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio).

La contemporanea commissione dell’Idomeneo da parte del principe elettore di Monaco rallentò molto la scrittura di Zaide, come venne poi conosciuta essendo questo il titolo scelto dall’André. La morte dell’arciduchessa Maria Teresa e la conseguente chiusura per lutto dei teatri austriaci bloccarono definitivamente il progetto di cui rimangono quindici numeri musicali di cui non siamo sicuri quale sia l’effettivo ordine, mancano l’ouverture, il finale e i testi recitati. Non è chiara quindi la vicenda, né si sa sa quanti atti dovrebbero essere – tre secondo la consuetudine per un Singspiel, o due? – quindi neppure quanti numeri siano mancanti o che potrebbero essere confluiti nel Ratto.

Nelle produzioni moderne il problema di dare un senso compiuto ai frammenti manoscritti della Staatsbibliotek Preussicher Kulturbesitz di Berlino è stato variamente risolto. Qui a Roma si riprende il testo che Italo Calvino (1) aveva scritto per la produzione del festival di Batignano del 1981 (2). Lo scrittore non vuole creare l’illusione di un’opera compiuta, ma cerca di «mettere in valore quello stato d’animo di sospensione che ogni opera incompiuta comunica»: nella sua “ricostruzione” i personaggi dicono o cantano solo le parole accompagnate dalla musica, mentre un attore recitante avanza ipotesi su come collegare i vari numeri ed esprime possibili ipotesi narrative che i personaggi in scena mimano a loro volta.

Come si vede siamo nel mondo de Il castello dei destini incrociati, una struttura combinatoria per raccontare storie diverse con gli stessi elementi diversamente composti, là affidata alle carte dei tarocchi, qui ai pezzi originali di Mozart. La morale di Calvino è che i numeri musicali lasciati da Mozart sono come gioielli incastonati in un mosaico che è stato distrutto ma sono riutilizzati nella cupola di una moschea che viene a sua volta distrutta, ma le gemme no e serviranno ancora una volta ad abbellire «altri mosaici, lungo le scale di un bazar, nel cortile di un caravanserraglio, nella reggia di un califfo, in una fortezza sul deserto, in cima alla cuspide di un minareto, nel fondo di una vasca dove le odalische fanno il bagno…».

Il tutto rimarrebbe un divertimento puramente letterario se in scena non entrasse in gioco il senso teatrale di Graham Vick che fa di questo espediente la chiave del suo intelligente e divertente spettacolo grazie anche alla scenografia di Italo Grassi che trasforma il palcoscenico del Costanzi in un cantiere edile (qui si costruisce un’opera!) con ironici riferimenti alla storia narrata e all’ambiente orientale. Così le reti di plastica diventano le persiane traforate dell’harem, il tubo per calare le macerie il tronco di una svettante palma, il getto di una pompa lo zampillo di una fontana del giardino, le scintille di un saldatore la coda della cometa di cui parla Zaide, la sabbia da costruzione quella di una duna del deserto.

All’inizio tutta fila liscio: al coro degli schiavi che si consolano del loro destino «Jeder Mensch hat seine Pein» (Ogni uomo ha la sua pena), praticamente un quartetto per tenori, segue il melologo di Gomatz «Unerforschlische Fügung!» (Destino imperscrutabile), un lungo monologo con musica che non può non ricordare il Fidelio beethoveniano, e quindi la “soave ninna nanna” «Ruhe sanft, mein holdes Leben» (Riposa sereno, dolce vita mia) di Zaide. Si continua con il duettino tra i due innamorati, seguono gli interventi di Gomatz e Allazim e quindi il terzetto, che però viene interrotto dal narratore, insoddisfatto di come sono andate le cose, che si immagina altre possibilità. E l’orchestra riprende il tema musicale delle varie scene che vengono riassunte e ricombinate offrendo ogni volta una trama differente. Succederà nuovamente nella seconda parte, dove all’agognato quartetto “finale” si arriva dopo che tre diversi snodi narrativi sono stati presi in considerazione e sviluppati.

L’ironia del gioco viene affidata a interpreti non solo scenicamente convincenti ma vocalmente eccellenti quali il soprano Chen Reiss, tenera Zaide dal timbro d’argento che sa però dar prova di temperamento nella sua invettiva contro Solimano «Tiger! Wetze nur die Klauen» (Tigre, affila i tuoi artigli). Collaudati ed infallibili sono Juan Francisco Gatell (Gomatz) e Markus Werba (Allazim), due mozartiani di lunga data. Soliman qui ha la voce di un tenore, quella non strabordante di Paul Nilon. Voce da vendere invece, e di grande qualità espressiva, è quella dell’Osmin di Davide Giangregorio, che si conferma ottimo baritono dopo la bella prova nel suo debutto come il Ferrando del Trovatore di Macerata. La sua parte, e non solo per il nome del personaggio, è quella che più anticipa la buffoneria del Ratto, mentre Zaide è una Contessa in fieri e Gomatz, come si è detto, un Florestan avanti lettera. Soliman non ha la statura e complessità di Selim, ma qui nessuno riesce a sviluppare una psicologia convincente e su questo devono fare i conti Calvino col suo testo e Vick con la sua messa in scena.

La voce narrante è quella di un Remo Girone con qualche piccola amnesia mentre Daniele Gatti offre di questi frammenti una lettura di olimpica serenità (l’accompagnamento della sublime «Ruhe saft» che magari avremmo preferito in un tempo più lento, ma solo per goderne maggiormente) ma anche percorsa da brividi preromantici (il Melodram di Gomatz). Gli risponde un’orchestra del teatro in gran forma con alcuni godibili assoli strumentali. Dopo l’anteprima giovani sei sono le repliche romane, ma lo spettacolo verrà ripreso nel Circuito Lirico Lombardo. Un’occasione da non perdere.

(1) Zaide – Trame per l’incompiuto Singspiel… ora in “Testi per musica” (Romanzi e racconti, vol III, Milano, 2004). Si tratta di uno dei pochi interventi di Calvino nell’opera dopo le collaborazioni con Liberovici negli anni ’50 e prima de La vera storia (1982) e Un re in ascolto (1984) di Luciano Berio. Nel programma di sala Luca Badini Confalonieri ricorda poi la sua amicizia col mozartiano Massimo Mila.

(2) Lì la regia fu affidata ad Adam Pollock, mentre fu lo stesso Graham Vick ad allestirla a Venezia nel 1985.

 

Bastien und Bastienne

Wolfgang Amadeus Mozart, Bastien und Bastienne

Parigi, Amphitéâtre Bastille, 15 maggio 2017

(registrazione video)

«Una comica coincidenza»

Molti sono i teatri che iniziano i giovanissimi all’arte lirica, il pubblico del futuro che soppianterà quello agé di oggi.

Non fa eccezione l’Opéra di Parigi, che con gli allievi della sua accademia allestisce spettacoli come questo Bastien et Bastienne, Singspiel scritto da un dodicenne Mozart. Al tempo non esisteva il genere “opera per bambini”, ma la semplicità dell’impianto e la durata sono adatti a un pubblico non particolarmente abituato ai modi e ai tempi dell’opera.

Con il numero d’opus K 50, Bastien und Bastienne fu composto nel 1768, l’anno trascorso dai Mozart a Vienna attirati dalle nozze di Maria Josepha, figlia dell’imperatrice Maria Teresa, la grande protettrice di Wolfgang bambino. Ma qui dovettero aver a che fare con le ostilità nei confronti del fanciullo e con avversità quali l’epidemia di vaiolo che spinse la famiglia a rifugiarsi a Olmütz. L’unica oasi di serenità è offerta dalla committenza di un Singspiel da parte di Franz Anton Mesmer, medico e pioniere del magnetismo (sì quello parodiato da Despina nel Così fan tutte) da rappresentare nel suo teatro all’aperto sulla Landstraße. Il libretto di Friedrich Wilhelm Weiskern si rifà a Le devin du village di Rousseau di sedici anni prima. Al testo collaborò anche Johann Andreas Schachtner, suonatore di tromba e amico dei Mozart.

L’amore tra i pastori Bastien e Bastienne si sta incrinando per le lusinghe che il mondo esterno esercita sul ragazzo, strappandolo all’idilliaca felicità campestre. Per riconquistarlo, Bastienne si rivolge al mago Colas che, esperto di malizie mondane, le suggerisce di ostentare indifferenza; pentito, il ragazzo ritornerà infatti dalla fedele compagna.

Dai musicologi il breve Singspiel è apprezzato più della successiva La finta Semplice (opera buffa in tre atti K 51): «Alcuni brani rivelano il liederista nato, che sa fondere insieme l’arte colta e quella popolare […] per queste ragioni è molto superiore a La finta Semplice, esteriormente tanto più impegnata» (Hermann Abert); «A Bastien und Bastienne Mozart seppe dare quella candida compiutezza stilistica, quel tono cordiale e popolaresco, per cui l’operina senza pretese si mantiene ancora vitale» (Bernardt Paumgartner); «Anche allora, un critico dotato di intuito avrebbe potuto osservare due tratti diversi che già preannunciano il futuro: la sicurezza con cui viene trattata la piccola orchestra e l’istinto drammatico dimostrato, ad esempio, nel gioviale inizio del terzetto finale» (Alfred Einstein); «Pur nella sua ingenuità, è molto più matura e poetica di una composizione come La finta semplice» (Eric Blom).

«L’ideale di semplicità naturale, propugnato dagli illuministi in musica, viene assunto dal giovane Mozart nell’apparente immediatezza dei sedici numeri di questa partitura. Melodie di incantevole dolcezza e trasparenza si susseguono, nascondendo una maturità di scrittura già notevole, capace di coniugare magistralmente l’arte con la natura; raggiunti a dodici anni, senza apparente sforzo, questi risultati corrispondono al progetto estetico dell’Illuminismo maturo, cui Mozart terrà fede sino alle ultime opere. Tra gli aspetti più rilevanti della partitura si considerino l’invenzione melodica originale e pregnante, l’economia tematica già notevole, la vivacità ritmica e l’eufonia nella scrittura orchestrale (prossima alle sinfonie giovanili), la costruzione di arie ‘in miniatura’ perfettamente chiaroscurate, tramite l’inserimento di una sezione contrastante. Globalmente questo Singspiel rappresenta quanto di più originale il giovane compositore andasse componendo per il teatro in quegli anni, attingendo – nonostante l’apparente semplicità e immediatezza dell’espressione – a un grado di complessità di scrittura già del tutto personale; vi si trovano gesti vocali di carattere buffo degni dei capolavori della maturità, come quello che segnala lo scatto d’orgoglio di Bastienne, quando Colas osa supporre che anche lei possa essere infedele. A un altro luogo della maturità mozartiana, al Flauto magico, rimanda invece la decisione di Bastien di uccidersi, se non potrà avere l’amore di Bastienne: sembra di sentire i propositi di Papageno, e infatti anche in questo caso il suicidio è solo annunciato. Viene quindi descritto l’incedere un po’ vacuo dell’incostante Bastien, mentre poco dopo il mago Colas esibisce i suoi poteri tra le formule esoteriche di un’aria memorabile (“Diggi, Daggi, schurry, murry”), ambientata, in perfetta maniera Sturm und Drang, nell’atmosfera cupa del do minore, e felicemente controbilanciata dal brano seguente, l’intenso, sereno minuetto di Bastien, creando così un dittico inferi/campi elisi omologo all’Orfeo ed Euridice gluckiano». (Raffaele Mellace)

Una curiosità dell’ouverture di Bastien und Bastienne è la sua somiglianza della sua idea musicale con uno dei temi principali della sinfonia “Eroica” di Beethoven. «Una comica coincidenza» la definisce Edward J. Dent.

Nella traduzione francese di Mirabelle Ordinare, che cura anche la messa in scena, il Singspiel è presentato dunque a un pubblico prevalentemente di giovanissimi che all’ingresso nella sala ricavata nell’edificio dell’Opéra Bastille si trova davanti un coloratissimo Luna Park con il gazebo dell’orchestra, il tiro a segno gestito da Bastiana –  e i suoi suoi agnelli sono i peluche che si possono vincere – la baracca dell’indovino Colas e il carrello dello zucchero filato. Una scenografia, quella di Philippine Ordinaire, accattivante per il particolare pubblico (ma contemporaneamente nella sala grande il Wozzeck di Marthaler è anch’esso ambientato in un luna park…) ma la regia non fa molto per animarla. Ancora una stranezza: i primi recitativi sono cantati, gli ultimi parlati. Sotto la precisa direzione musicale di Iñaki Encina Oyón, i cantanti dell’Academie de l’Opéra danno voce ai tre personaggi. Particolarmente efficace è la giovane interprete di Bastienne Pauline Texier. Bastien è Juan de Dios Mateos, Andriy Gnatiuk è Colas.

Il pubblico gradisce. Anche a Parigi si spera che si siano seminati buoni frutti per il futuro dell’opera.