foto © Marco Borrelli
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Zaide oder der Weg des Lichts (Zaide o la via della luce)
Salisburgo, Felsenreitschule, 17 agosto 2025
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(video streaming)
Un altro pasticcio a Salisburgo: l’arte di ricominciare dall’incompiuto
Al Festival di Salisburgo Raphaël Pichon rielabora Zaide di Mozart in un pastiche che unisce brani da Davide penitente, Thamos e altri lavori. In scena l’Ensemble e il Coro Pygmalion animano una riflessione contemporanea su libertà e memoria. Sobria regia e interpreti eccellenti, con Sabine Devieilhe e Julian Prégardien protagonisti di rara intensità.
Questa volta utilizza la musica di Mozart il secondo pastiche che il Festival di Salisburgo propone al suo pubblico: dopo quello di Vivaldi viene rappresentata in forma semi-scenica una riscrittura di Zaide, il Singspiel incompiuto del 1780, ai cui numeri sono aggiunti brani tratti dall’oratorio Davide penitente, dalle musiche per Thamos, re d’Egitto e da altri pezzi vocali e strumentali degli anni 1779-1785, oltre a una registrazione dello spettrale Adagio in Do per glassharmonica del 1791, l’ultimo anno di vita di Mozart, con cui inizia e si conclude lo spettacolo (1).
Quello che viene fuori, nelle intenzioni di Raphaël Pichon, direttore e autore della concezione, è visivamente vicino a One Morning Turns into Eternity messo in scena da Peter Sellars nella stessa location, la Felsenreitschule: lo stesso sterminato palcoscenico qui ancora più vuoto perché non c’è alcuna struttura scenografica, solo il gioco di luci e ombre di Bertrand Couderc e i sobri movimenti coreografici di Evelin Facchini. Sul palcoscenico a sinistra l’Ensemble Pygmalion, a destra il coro omonimo e l’“azione”, con i solisti che talora appaiono tra le arcate scolpite nella roccia, come il Tiranno Solimano per la sua aria “Der stolze Löw” o Zaide, dietro a una stilizzata glasharmonica che a un certo punto cadrà a terra.
Nella drammaturgia di Eddy Garaudel basata sul testo di Wajdi Mouawad, la figlia di Zaide, Persada, torna nella prigione, ora trasformata in museo, alla ricerca di notizie su sua madre.
Prologo
Persada, una giovane donna, visita i resti di un’ex prigione ora diventata museo. Lì incontra un uomo che sembra essere lì da secoli. È l’uomo che sta cercando: Allazim, il guardiano di questo luogo della memoria. Persada è alla ricerca di tracce di sua madre, che non ha mai conosciuto: Zaide, chiamata anche “la donna che canta”, che un tempo era rinchiusa in una delle celle del luogo. L’unico indizio che Persada possiede. Questo viaggio attraverso lo spazio e il tempo è un ultimo disperato tentativo di scoprire la verità e guarire la ferita della sua storia familiare. Su insistenza della ragazza, Allazim raccoglie i suoi ricordi. Evoca un tempo non così lontano dal nostro, quando questo luogo era una tetra prigione politica in cui molti sogni andarono in frantumi.
Atto primo
Allora. L’arrivo di Zaide è un barlume di speranza per i prigionieri, uomini e donne distrutti da anni di prigionia. Ben presto Zaide viene soprannominata “la donna che canta”, perché è l’unica che riesce a tenere la testa alta di fronte alle umiliazioni quotidiane inflitte dal tiranno Soliman e rispondere al suo scagnozzo Allazim. I prigionieri si aggrappano al loro canto come a un’ancora di salvezza; è un conforto gradito dopo giorni di privazioni e reclusione. Zaide ama un altro prigioniero, Gomatz, ma vengono separati con la forza. Il loro amore sembra quasi ridicolo in questo luogo desolato, ma è autentico e conferisce loro una forza inaspettata. Un giorno Allazim si accorge che Zaide è incinta. È profondamente sconvolto da questa notizia. L’idea che il bambino nasca in quella terribile prigione e che il tiranno Soliman possa usarlo per torturare Zaide e Gomatz in modo ancora più crudele lo indigna. I bambini non devono pagare per i crimini dei loro genitori. Questa scoperta ha l’effetto di una scossa elettrica su Allazim. Decide di rischiare la vita per salvare i prigionieri e prepara la loro fuga.
Atto secondo
Incoraggiati dalla prospettiva di una felicità imminente, i prigionieri preparano la fuga con l’aiuto di Allazim. Ma il destino ha deciso diversamente e, proprio mentre stanno per salpare dalla riva, scoppia una tempesta che riporta la barca verso le gelide mura della prigione. Soliman esulta, invoca morte e vendetta e gli amanti vengono condannati a morte. Con un ultimo grido di disperazione, Zaide dà alla luce sua figlia, la bambina che crescerà con il nome di Persada. Dopo l’esecuzione dei due prigionieri, tutti sono presi dal panico. Come si è potuto permettere tutto questo? Fino a dove si spingerà l’orrore? Allazim si oppone a Soliman e lo supplica di risparmiare la neonata. Soliman, paralizzato dalla follia della sua arroganza e delle sue decisioni, acconsente.
Epilogo
Allazim conclude il suo racconto. Come sfuggire a ciò che ci distrugge? Persada, che ha appena scoperto la verità sulle sue origini, decide di rompere il circolo vizioso della vendetta, di perdonare e di cercare, se ancora possibile, di costruire un futuro diverso.
Zaide, ovvero: quando un’opera incompiuta del giovane Mozart si trasforma in uno specchio lucidissimo del nostro tempo, grazie a un’operazione di teatro musicale che ha la grazia dell’intelligenza e il coraggio della libertà. «Una Zaide dei nostri tempi», la chiama Raphaël Pichon, anima e demiurgo del progetto. E già questo basterebbe a far drizzare le orecchie: non la solita riesumazione da archeologi della partitura, ma un gesto teatrale che prende Mozart sul serio. Talmente sul serio da osare guardarlo negli occhi, invece di imbalsamarlo in teche filologiche.
L’idea, infatti, non è quella di completare Zaide come se si fosse Mozart (mission impossible, oltre che un tantino presuntuosa), ma di compiere un petit pas de côté, un piccolo passo laterale, e riscriverne il libretto restando fedeli non alla lettera ma allo spirito. Lo spirito, appunto, di un’epoca che sognava l’Illuminismo e si trovava davanti al dispotismo. Di un’eroina che canta per resistere e di un amore che sfida la tirannia. E dunque, ecco Zaide o La via della luce, metafora neanche troppo velata di un’umanità che ha perso la strada e prova a ritrovarla. Attraverso la memoria, il dolore, la speranza.
Il personaggio nuovo, Persada, non è un orpello moderno incollato per far scena. È il nostro tramite, la nostra lente: deve conoscere il proprio passato per poterlo accettare. Nel frattempo, il coro – magnificamente integrato scenicamente – diventa uno specchio frantumato, riflesso di un’umanità in pezzi. Ma in mezzo a questi cocci resta una voce, quella di Zaide, “la donna che canta”: simbolo radioso di resistenza, bellezza, e testardaggine emotiva.
Ma veniamo alla musica – che è poi quello che conta, sempre. Il tessuto sonoro è un patchwork mozartiano di altissimo artigianato. Si prendono 11 dei 15 numeri superstiti di Zaide e li si intrecciano con sette brani della Messa in do minore K. 427 (che per inciso è diventata Davide penitente), più un cameo del Misericordias Domini K. 222. Sì, il testo è in tedesco, italiano e latino: trilinguismo che potrebbe spaventare, ma che in realtà dà respiro, stratifica il discorso, amplia lo spettro.
Pichon, con il suo sempre eccellente Ensemble Pygmalion, fa un lavoro di ricamo sonoro di rara coerenza: tutto, dalle cuciture barocche agli sbuffi classici, torna perfettamente. E il coro, ripetiamolo, è protagonista: canta benissimo e recita altrettanto bene. Già questo sarebbe un miracolo.
Sul fronte solisti, una cinquina di livello olimpico. Lea Desandre (Persada) è pura intensità incarnata; Johannes Martin Kränzle dà ad Allazim il peso giusto, senza sbavature. Daniel Behle riesce persino a farci empatizzare con il tiranno Soliman (e questo è già teatro, non solo canto). Ma i fuochi d’artificio veri arrivano da Sabine Devieilhe (Zaide) e Julian Prégardien (Gomatz): lei, un miracolo di luce e dolcezza in “Ruhe sanft” – una delle più belle arie scritte da Mozart, punto –; lui, tutto bellezza timbrica e fraseggio innamorato. Perfetti.
E infine, una domanda – un po’ provocatoria, ma necessaria: e se il futuro dell’opera fosse… non nell’opera? Se il teatro musicale del XXI secolo passasse da queste operazioni ibride, rigeneranti, che rimettono in circolo il passato per raccontare il presente? Dopo Bastarda su Donizetti, dopo le reinvenzioni su Verdi de La Monnaie di Bruxelles, ecco che anche Mozart diventa materia viva da plasmare, non santino da incensare. Forse l’opera è davvero uscita dal museo. E forse, finalmente, ha ricominciato a vivere.
(1) Ecco la struttura musicale:
Prologo
Adagio in Do per glassharmonica KV 356 (ora KV 617a)
“Ma tu sì fiero scempio” (Persada) recitativo dall’aria per concerto Ah, lo previdi KV 272
Atto primo
Scena I
“Alzai le flebil voci al Signor” (Coro, Zaide) coro da Davide penitente KV 469/1
Scena II
“Brüder, lasst uns lustig sein” (Allazim) coro da Zaide KV 344/1
“Im Garten der Unschuld” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/9
“Der stolze Löw” (Soliman) aria da Zaide KV 344/9
Scena III
“Sii pur sempre benigno” (Coro) coro da Davide penitente KV 469/4
“Sorgi, o Signore” (Zaide, Persada) duetto da Davide penitente KV 469/5
Scena IV
“Ein einziges Glühwürmchen reicht aus” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/2
“Ruhe sanft, mein holdes Leben” (Zaide) aria da Zaide KV 344/3
“Einsam bin ich, meine Liebe” (Gomatz) Lied KV Anh. 26
“Nascoso è il mio sol” (Zaide, Persada, Gomatz, Soliman) Canone KV 557
Scena V
“Nicht alle Wahrheiten sind gut zu wissen” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/2
“Meine Seele hüpft vor Freuden” (Zaide, Gomatz) duetto da Zaide KV 344/5
“Chi in Dio sol spera” (Zaide, Persada, Gomatz, Coro) coro da Davide penitente KV 469/10
Atto secondo
Scena I
“Misero! O sogno” (Soliman) recitativo dall’aria per concerto Aura che intorno spiri KV 431
“In Mächtigen seht ungerührt” (Allazim) aria da Zaide KV 344/14
“A te fra tanti affanni! (Soliman) aria da Davide penitente KV 469/6
Scena II
“O selige Wonne” (Zaide, Gomatz, Allazim) terzetto da Zaide KV 344/8
“Misericordias Domini” (Coro) Offertorium KV 222
Scena III
Allegro molto da Thamos, König in Ägypten KV 345/7a
“Tiger! wetze nur die Klauen” (Zaide) aria da Zaide KV 344/13
“Se vuoi, puniscimi” (Coro) da Davide penitente KV 469/7
“Freundin! stille deine Tränen” (Gomatz, Allazim, Soliman, Zaide) quartetto da Zaide KV 344/15
“Trostlos schluchzet Philomele” (Gomatz, Zaide) aria da Zaide KV 344/12
Epilogo
“Tra l’oscure ombre funeste” (Persada) aria da Davide penitente KV 469/8
Adagio in Do per glassharmonica KV 356 (ora KV 617a)
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