Josef Wenzig

Libuše

Bedřich Smetana, Libuše

★★★☆☆

Praga, Národní Divadlo, 27 ottobre 2018

(video streaming)

L’opera che celebra l’identità boema

Le fanfare che sentiamo in Vyšehrad, il primo dei sei poemi sinfonici che costituiscono il ciclo Má vlast (La mia patria), annunciano le entrate in scena della principessa veggente e di Přemisl, le due figure mitiche su cui si basa l’opera celebrativa Libuše che Bedřich Smetana scrisse nel 1872 in occasione della prevista incoronazione di Franz Joseph I, imperatore d’Austria e di Ungheria, a re di Boemia – che però non ebbe luogo.

Il compositore preservò per ben nove anni quello che riteneva il suo capolavoro teatrale, non un’opera nazionale, ma “l’opera nazionale”. Una delle prime rappresentazioni di Libuše inaugurò il Národní Divadlo (Teatro Nazionale) di Praga il 18 novembre 1883. Da allora è quella che gli inglesi chiamano ‘festival opera’ e la sua esecuzione è riservata ai giorni di festa nazionale per celebrare l’autonomia del popolo ceco. Quando inizia la rappresentazione le ultime luci a spegnersi in sala sono quelle che illuminano il frontone del proscenio con l’iscrizione NÁROD SOBĚ che compare anche nel finale in scena.

L’epoca è quella pagana e siamo a Vyšehrad, l’antica fortezza nei pressi di Praga. Libuše è la giovane principessa che il popolo vorrebbe vedere unita in matrimonio a un uomo che sappia guidare il destino della Boemia e che le dia un erede per assicurare la continuazione della dinastia reale.

Atto I. La sentenza di Libuše. I fratelli Chrudoš e Sťáhlav si disputano l’eredità del padre. Il maggiore, Chrudoš, non vuole dividere i possedimenti col minore Sťáhlav come prescrive la legge. La principessa Libuše decide in favore dell’equa distribuzione, ma l’orgoglioso primogenito non ne accetta il giudizio in quanto donna. Libuše allora decide di scegliere un marito che assuma le decisioni della sua sposa e sceglie il contadino Přemysl.
Atto II. Il matrimonio di Libuše. Scena prima. Chrudoš ama Krasava, ma la ragazza lo considera poco romantico e allora per ingelosirlo finge interesse per il fratello Sťáhlav. Il padre di Krasava si impone inutilmente affinché il giovane si riconcili col fratello. Krasava a questo punta sfida l’amato a cedere o a ucciderla. Chrudoš si commuove a questo atto d’amore e si riconcilia col fratello. Scena seconda. Mentre Přemysl ammira le messi del suo campo arriva il corteggio di Libuše per condurlo a corte e sposare la principessa.
Atto III. La profezia. Si celebrano le doppie nozze di Libuše con Přemysl e di Krasava con Chrudoš, che chiede perdono dell’offesa arrecata alla principessa. Libuše, rivelando doti profetiche, ha una visione: sul palco scorrono le figure dei più grandi re boemi, sino all’ultima immagine riguardante un futuro molto lontano, l’epoca del compositore.

La patria dei Přemyslidi vivrà a lungo felicemente: «Český národ neskoná, | on pekla hrůzy slavně překoná! | Sláva! Sláva!» (Il popolo ceco non perirà, supererà gloriosamente tutti gli orrori! Gloria! Gloria!).

Concettualmente Libuše si può accostare a Les Troyens di Berlioz (che Smetana ammirava molto) o a Die Meistersinger di Wagner: Libuše ritorna alle origini della dinastia ceca raccontando gli avvenimenti che portarono alla nascita della stirpe dei Přemyslidi. In realtà, le fonti storiche da cui Josef Wenzig trasse il libretto (tradotto dal tedesco in lingua ceca a opera di Ervín Špindler e dello stesso Wenzig) risultano oggi di dubbia autenticità.

Il personaggio titolare è stato appannaggio delle più grandi voci liriche ceche: dalla Marie Sittová del debutto a Naděžda Kniplová, da Gabriela Beňačková a Eva Urbanová. Qui abbiamo Iveta Jiřiková che non cerca di emulare le interpreti che l’hanno preceduta. Ma il lavoro di Smetana non è solo fatto di cori solenni e profezie, ci sono anche momenti lirici e bei duetti, come quello del primo atto tra Lutobor e Krasava, padre e figlia – e non è difficile pensare a quello fra Wotan e Brünnhilde – in cui si mettono in luce il notevole basso Jiři Sulženko e il temperamento del soprano Petra Alvarez Šimková. Přemysl è l’autorevole baritono Svatopluk Sem che come contadino dà un nobile addio alla sua terra per assurgere al trono come principe consorte. L’orchestra del teatro è diretta con competenza da Jaroslav Kyzlink che evidenzia i bei colori strumentali di una partitura che tanto deve a Wagner ma riesce nel contempo ad avere una sua grande originalità.

In questa nuova produzione l’allestimento di Jan Burian, con le scene di Daniel Dvořák e i costumi da Asterix di Kateřina Štefková, è formato da una successione di tableaux vivants inseriti in una cornice dorata. L’impianto è tradizionalissimo, ma si avvale di tecniche moderne quali video, schermi a led nella scena delle profezie e tapis roulants su cui scorrono i personaggi delle innumerevoli processioni, figurine atteggiate in pose plastiche come in un diorama o in un teatrino di marionette – i quattro contadini del secondo atto sono appesi ai fili!

Chissà se si potrà mai rappresentare diversamente questo rito della liturgia nazionale ceca. Questo è un timido tentativo. Forse non si può fare di più nella sua patria.

Dalibor

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Bedřich Smetana, Dalibor

direzione di František Vajnar

regia di Václav Kašlík

scene di Josef Svodoba

1985, Národní Divadlo, Praga

Ancora una volta è stato il benemerito Teatro Lirico di Cagliari a mettere in scena un titolo poco conosciuto nel nostro paese: nel 1999 viene infatti presentata in prima nazionale la terza opera di Smetana, Dalibor. Con l’ingenuo libretto in tedesco di Josef Wenzig il lavoro aveva debuttato a Praga il 16 maggio 1868 diretto dallo stesso autore ottenendo però un successo modesto. Neanche nel 1870, con la traduzione in ceco di Ervín Špindler e in una nuova revisione, non ebbe grande successo, che arrivò invece due anni dopo la morte dell’autore e soprattutto nel 1892 sotto la direzione di Gustav Mahler.

L’opera è ispirata alla vicenda di Dalibor di Kozojed, un eroe leggendario boemo che guidò una rivolta contadina a sostegno del popolo oppresso e fu condannato a morte nel 1498 durante il regno di Ladislao II di Boemia e rinchiuso nel sinistro torrione del Castello di Praga che ancora oggi porta il suo nome, “Daliborka” . Secondo la leggenda, durante la prigionia, Dalibor imparò a suonare il violino riuscendo a commuovere con la sua musica chiunque si avvicinasse alla torre.

La vicenda assomiglia a quella dell’opera Fidelio di Ludwig van Beethoven, in quanto il personaggio femminile centrale dell’opera si traveste in abiti maschili e cerca la fiducia di un carceriere per salvare l’amato.

Atto I. Dalibor, un cavaliere ceco, è sotto processo davanti al re per aver ucciso il burgravio di Ploskovice per vendicare l’esecuzione del suo amico, il musicista Zdeněk. Durante il processo, il re chiama la sorella del burgravio, Milada, che chiede la sua esecuzione. Quando Dalibor viene portato dentro, la folla si alza in piedi per sostenerlo. Quando Dalibor racconta della cattura e dell’omicidio del suo amico, la corte riduce la sua condanna da morte a ergastolo. Milada si rende dolorosamente conto di essersi innamorata di Dalibor e, in combutta con Jitka, un’orfana che ha fatto amicizia con il cavaliere, decide di liberarlo.
Atto II. Dopo una scena in un campo di mercenari, in cui Jitka e il suo amante Vítek complottano per liberare Dalibor, Milada entra nella prigione travestita da ragazzo e trova lavoro presso il carceriere di Dalibor, Beneš. Con il suo fascino, il carceriere la fa entrare nella prigione dove è rinchiuso Dalibor, per dargli il violino del suo amico. Il cavaliere sta sognando e inizialmente pensa che Milada sia una reincarnazione del suo amato Zdeněk. Poi, in un appassionato duetto, i due cantano la gioia di essersi ritrovati.
Atto III. Nella prigione, Dalibor attende con ansia la fuga (cantando la sua famosa Canzone alla libertà), ma sente che è un cattivo presagio quando una delle corde del violino di Zdeněk si rompe. Il piano per corrompere Beneš fallisce e il carceriere informa il re del loro tentativo di fuga. Il re ordina la morte di Dalibor. Milada, in attesa fuori dalla prigione, sente il rintocco della campana che segnala l’esecuzione di Dalibor. Accompagnata dai suoi seguaci, irrompe nel castello dove, dopo aver salvato Dalibor, viene ferita e muore tra le sue braccia. Dalibor si pugnala e si unisce alla morte della sua amata. In un finale alternativo Dalibor viene giustiziato prima che Milada possa salvarlo.

Dal punto di vista musicale in Dalibor sono presenti elementi stilistici nazionalisti cechi, come i ritmi delle danze o l’impiego in funzione solistica del violino, considerato in Boemia lo strumento nazionale, ma all’epoca Smetana non sfuggì alle solite critiche di wagnerismo. Nelle pagine di massa e corali non è lontano il modello tedesco, ma dal punto vista vocale si può invece avvertire una certa influenza del belcanto italiano, come nell’impervio ruolo di Jitka o nell’aria di Dalibor «Slyšels to příteli, tam v nebes kůru?» (Lo senti, amico, lassù in cielo?) uno dei pezzi più estatici dell’opera slava. Non è da meno la sua seconda aria in prigione. «Ó Zdenku, jedno jen obejmutí, a žalář bude rájem mi» (Oh, Zdenek, solo un abbraccio e la prigione diventerà il Paradiso).

Con Dalibor Smetana riesce a trasformare una storia d’amore ambientata in epoca medievale in un inno all’orgoglio nazionale e alla libertà e grazie a una musica di altissimo livello ricca di raffinatezze liriche riesce a mantenere fino alla fine una grande tensione emotiva. Questo lavoro non trova confronti in nessun’altra opera ceca coeva, ponendosi all’avanguardia e contribuendo così a formare uno stile fortemente innovativo.

Unico documento video dell’opera è questa registrazione della televisione ceca dell’allestimento del 1985 del Teatro Nazionale di Praga con le scene ferrigne di Josef Svoboda, il Dalibor di Leo Marian Vodička, la Milada di Eva Děpoltová, il Vladislav di Václav Zítek, il carceriere di Karel Průša e la Jitka di Dana Šounová-Brouková.