Karl Haffner

Die Fledermaus

Johann Strauss figlio, Die Fledermaus

Monaco, Bayerische Staatsoper, 31 dicembre 2023

★★★★☆

(video streaming)

Uno scatenato Pipistrello

Tempo di feste, tempo di Die Fledermaus, l’operetta che festeggia i 150 anni, essendo stata eseguita la prima volta al Theater an der Wien nel 1874 diretta dallo stesso autore, Johann Strauss figlio. Almeno quattro sono le produzioni nei teatri europei in questo periodo: Bologna, Vienna (Staatsoper ovviamente), Zagabria (video disponibile su Operavision) e Monaco di Baviera (disponibile su Arte). Sulla carta quest’ultimo era il più promettente e si è rivelato tale anche nella realtà con Vladimir Jurovskij alla direzione d’orchestra, Barrie Kosky alla regia e un cast di rilievo.

Si tratta del terzo Pipistrello in tempi moderni alla Bayerische Staatsoper dopo quello di Leander Haußmann degli anni ’70 soppiantato da quello di Otto Schenk nel 1997 e ora da quello del regista australiano-tedesco che, dopo l’operetta tedesca e Offenbach, ha affrontato la regina delle operette viennesi con il suo teatralissimo e irriverente approccio che gioca con il travestimento: il principe Orlofski, il più delle volte interpretato da una cantante femminile in vesti maschili, qui è invece un controtenore in versione drag-queen sgargiante, drappi turchesi e sete smeraldo su crinoline esagerate mentre il coro del secondo atto è vestito nei colorati e genderfluid costumi di Klaus Bruns, con piume a profusione.

Lo spettacolo inizia con il sonno di Gabriel von Eisenstein infestato da pipistrelli ballerini nella sua camera da letto al centro di una piazza attorniata da facciate di vecchi palazzi viennesi, la Judenplatz – un’allusione all’ebraismo in qualche modo nascosto del compositore e a quello invece dichiarato del regista. Nella scenografia disegnata da Rebecca Ringst, dalle porte escono ed entrano a ritmo incalzante personaggi spesso ignari gli uni degli altri come in una pochade di Feydeau.

Il secondo atto con il ballo dal principe Orlofsky fonde coristi e ballerini in un’atmosfera dove l’identità di genere svanisce tra piume di struzzo, glitter e paillettes. La festa culmina con un balletto sulle irresistibili musiche di Unter Blitz und Donner, prima del trascinante finale in cui tutti intonano l’inno al piacere «Ha, welch ein Fest, welche Nacht voll Freud’! | Liebe und Wein gibt uns Seligkeit! | Ging’s durch das Leben so flott wie heut, | Dann wäre jede Stund’ der Lust geweiht! (Ah, che festa, che notte piena di gioia! L’amore e il vino ci danno la beatitudine! Se la vita andasse così veloce come oggi, allora ogni ora sarebbe dedicata al piacere!). Irriverenti quanto mai, e quindi esilaranti , le coreografie di Otto Pichler.

Il terzo atto, il più breve, è arricchito da Kosky di sorprese. Il carceriere non è uno: ci sono ben sei Frosch diversi. Uno che parla, quattro che danzano e un sesto che si rivela ballerino di tip tap sulle note del Pizzicato Polka. Ma è il direttore della prigione nel suo dopo sbornia a rivelare gli aspetti più sfrontati, con un Martin Winkler che spinge al limite la sua performance scenica presentandosi in tacchi a spillo, perizoma glitterato e copri capezzoli con nappe. Evidenti residui di una serata sopra le righe. Ma si sa, la colpa è tutta dello champagne!

Kosky si impegna al massimo nella direzione dei personaggi, li  ridefinisce e reinterpreta la trama satirica della società e dei costumi viennesi creando uno spettacolo a metà strada tra il burlesque e il vaudeville, ma con risvolti meno superficiali: mentre si dipana la storia di intrighi e mascherate, le facciate si trasformano per mostrare le tenui strutture metalliche che le sorreggono e poi si sgretolano, come il matrimonio borghese degli Eisenstein. Mentre l’atmosfera utopica di fraternizzazione del secondo atto lascia il posto a un finale sgargiante su cui scende una batteria di lampadari scintillanti da cui si appende Eisenstein.

La vivacità della messa in scena trova il corrispettivo sonoro della direzione di Vladimir Jurovskij, un miracolo di verve, rubati, temi seducenti realizzati da quel meraviglioso strumento che è l’orchestra del teatro e da un cast di livello. Georg Nigl è un Gabriel von Eisenstein di collaudata presenza scenica e indiscusse doti vocali, del Frank di Martin Winkler si è già detto, così come del Principe Orlofsky di Andrew Watts che si sarebbe preferito un po’ più sfrontato. Breve ma succulenta la parte di Sean Panikkar, il galante Alfred punto debole di Rosalinde, qui una Diana Damrau, ex splendida Adele, con qualche stanchezza negli acuti. Quasi perfetta invece l’Adele di Katharina Konradi, bel talento di attrice e cantante dotata di grande tecnica vocale. Markus Brück (Dr. Falke) e Kevin Conners (Dr. Blind) completano il cast.

Il prossimo appuntamento è a Zurigo, dove a marzo Kosky metterà in scena La vedova allegra con Michael Volle, Marlis Petersen e ancora Katherina Konradi. Tempi felici per l’operetta.

Die Fledermaus

Johann Strauss figlio, Die Fledermaus

★★★☆☆

bandieraitaliana1.gif   Qui la versione in italiano

Milan, Teatro alla Scala, 21 January 2018

Fledermaus debuts at La Scala but misses some sparkle

The Temple of Opera has opened its doors to operetta. For the first time the Teatro alla Scala is staging Johann Strauss’ Die Fledermaus, a work which launched a successful sequence of stageworks.

German language operetta was a genre that adjusted Offenbach’s and Suppé’s French works to the tastes of the Austro-Hungarian Empire. The perfect balance of panache and glamour, the melodic easiness, the stylish parody of opera seria models, the use of dances and popular themes were appreciated by Mahler himself who wanted to insert the work in the playbills of German theaters and personally directed it in Hamburg in 1894...

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Die Fledermaus

Johann Strauss figlio, Die Fledermaus

★★★☆☆

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Milano, Teatro alla Scala, 21 gennaio 2018

Lo champagne di Strauss perde la sua effervescenza passando dal Danubio ai Navigli

Il Tempio dell’opera lirica apre le porte all’operetta: per la prima volta il Teatro alla Scala mette in scena il lavoro con cui il 5 aprile 1874 al Theater an der Wien Johann Strauss figlio dava inizio ai suoi successi sulle scene.

Con Die Fledermaus (Il pipistrello) nasceva il genere dell’operetta danubiana che adattava ai gusti del pubblico dell’Impero Austro-Ungarico il successo parigino delle opere di Offenbach e Suppé, ben conosciuti nei teatri viennesi dove venivano messe in scena in lingua tedesca. Il perfetto equilibrio di brio e malizia, la facilità inventiva delle melodie, l’elegante parodia dei modelli dell’opera seria, l’utilizzo delle danze e dei temi popolari furono apprezzati dallo stesso Mahler che volle inserire l’opera nella programmazione dei teatri tedeschi e la diresse personalmente ad Amburgo nel 1894.

Con molto ritardo arriva dunque a Milano Die Fledermaus, l’operetta più rappresentata al mondo, con un nuovo allestimento affidato a Cornelius Obonya, ultimo germoglio di una stirpe di attori viennesi passato alla regia d’opera, e a Carolin Pienkos. Obonya ambienta la nota vicenda a Kitzbühel, località turistica tirolese alla moda. La crisi politico-economica della Vienna di allora ha suggerito l’ambientazione ai tempi d’oggi con riferimenti alla analoga frenetica attenzione al denaro e all’immagine della società globalizzata. L’internazionalità poliglotta dei miliardari annoiati dei nostri giorni si riflette nei dialoghi parlati in italiano e tedesco, quando non in francese, mentre i numeri musicali sono cantati nell’originale tedesco. Il principe russo è qui un’oligarca tediata dai suoi miliardi e nella folla del suo party non è difficile scorgere i nuovi arricchiti di oggi.

Nel primo atto siamo nella villa dei coniugi von Eisenstein con vetrata panoramica sulle Alpi. La dimora è piena di opere d’arte moderna tra cui un enorme “Uomo che cammina” di Giacometti che verrà maldestramente fatta a pezzi dalla guardia Frosch – e non era neanche ancora brillo! Nel secondo atto ci si sposta nell’appariscente villa dell’Orlovskaja le cui pareti espongono trofei di caccia le cui corna alludono ai tentati adulteri dei personaggi che vengono regolarmente mandati a monte. Il terzo è la prigione “per ricchi”, con ingresso girevole da albergo di lusso e celle con vista sulle cime innevate. Né le scene né i costumi, di Heike Scheele, sono tutt’altro che memorabili mentre l’inutile e banale coreografia di Heinz Spoerli dà un tono da dozzinale programma televisivo allo spettacolo durante la bellissima ouverture, che richiama i temi dell’opera in un pot-pourri di valzer e polke. Le cose non migliorano nel secondo atto, quello dedicato alla festa in cui spesso viene inserito un gala con ospiti, qui risolto con un balletto sulle note di Unter Donner und Blitz, la polka-schnell dello stesso autore. Peggio ancora è l’inserimento di una coppia di acrobati appesi a una corda durante l’estatico «Brüderlein und Schwesterlein» in cui l’ebrezza alcolica fa dimenticare ogni differenza sociale e rende tutti “fratelli e sorelle”.

Zubin Mehta, che aveva tanto voluto il progetto, ha dovuto rinunciare per un piccolo incidente e il suo posto è stato affidato a Cornelius Meister. Il direttore, tedesco ma con radici viennesi, aveva eseguito quest’opera a 21 anni e ancora poche settimane fa come recita di fine anno alla Wiener Staatsoper. Qui con l’orchestra del Teatro alla Scala ha cercato di realizzare quella magia di leggerezza e di brio, di sensualità e di nostalgia che è l’operetta, ma non sempre ci è riuscito, soprattutto nei momenti più lirici e struggenti.

Il nutrito cast affianca a interpreti italiani cantanti di lingua tedesca. Nel reparto femminile la prova migliore la dà, ma c’era da aspettarselo, l’austriaca Daniela Fally per agilità vocale e virtuosismo canoro uniti a una spigliata e maliziosa presenza scenica. Anche la nostra Eva Mei, voce dal timbro più scuro, è a suo agio sia nella vocalità sia nei dialoghi in tedesco quando tira fuori un ironico accento ungherese nel duetto dell’orologio col marito. Elena Maximova, “zarina” della festa che predica la sua filosofia di «à chacun son gout», perde l’ambiguità del ruolo en travesti dell’originale che dava più gusto al personaggio e ha talora qualche incertezza di intonazione. Tra i cantanti maschili si fanno notare il sicuro Markus Werba, il Dr. Falke motore della vicenda, e Peter Sonn, sua vittima come Eisenstein, anche bravo attore. Blind è il divertente Krešimir Špicer, presenza consueta del teatro milanese. Anche il direttore della prigione Frank trova in Michael Kraus un interprete efficace. Giorgio Berrugi si cala nella caricatutura del cantante narcisista Alfred divertendosi a intonare molti degli incipit delle arie più famose del repertorio tenorile con divertimento del pubblico. Lo stesso divertimento lo suscita l’attore Paolo Rossi che si ritaglia il tradizionale siparietto comico aggiornato all’attualità come carceriere Frosch, ma da lui ci si aspetta qualcosa di più graffiante e come il resto risulta un po’ deludente. Con molte gag, talune inutili, lo spettacolo non riesce a ricreare quell’atmosfera unica fatta di eleganza, umorismo e bonomìa tipica dell’operetta viennese. È come se passando dal Danubio ai Navigli lo champagne avesse perso un po’ della sua effervescenza.

Die Fledermaus (Il pipistrello)

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★★★★★

La più bella operetta di tutti i tempi. Punto.

Il pipistrello non è solo la più famosa delle operette di Johann Strauss, ma un miracolo di quella felicità melodica che molti compositori (fra cui Brahms) invidiavano al re del valzer viennese. Assieme alla Vedova allegra di Lehár è la più rappresentata di quel genere nato a metà ottocento e soppiantato dalla commedia musicale del XX secolo. Terminato in soli 42 giorni dalla stesura dello spassoso libretto di Karl Haffner e Richard Genée tratto dalla fortunata commedia Le réveillon della premiata ditta Meilhac & Halévy, debuttò il giorno di Pasqua del 1874 in un Theater an der Wien oberato dai debiti e sull’orlo della banca­rotta, ma che le successive oltre cento repliche dell’operetta contribuirono a salvare. Anche se a monte di tutto stava un lavoro del tedesco Roderich Benedix, Das Gefängnis (La prigione, 1851), era lo spirito brillante dei commediografi francesi a prevalere.

Falke, a seguito di uno scherzo fattogli da Gabriel von Eisenstein, viene soprannominato “pipistrello” e decide di restituire lo scherzo. Organizza una festa al palazzo Orlowsky invitando Gabriel e tutti gli amici e familiari, compresa la cameriera Adele. Gabriel però è stato condannato ad 8 giorni di carcere e presto verranno a prenderlo a casa, così decide di uscire annunciando alla moglie Rosalinde che andrà in prigione. In realtà andrà alla festa dove presenterà come Marchese de Renard e solo alla fine della festa si recherà in carcere. Rosalinde resta in casa da sola, ma giunge Alfred, suo eterno spasimante. I due stanno per cedere alla passione, quando arriva Frank, il direttore del carcere, che cerca Gabriel per condurlo in prigione. Rosalinde, fa passare Alfred per suo marito e sarà lui ad essere arrestato. Alla festa giunge una misteriosa contessa ungherese mascherata, che viene corteggiata da Gabriel, il quale le dona il suo orologio d’oro. A mezzanotte Frank accompagna Gabriel in carcere. Quando quest’ultimo viene a sapere della visita notturna di Alfred, chiede spiegazioni a Rosalinde, la quale gli fa vedere il suo orologio d’oro. Era lei la misteriosa dama ungherese che Gabriel corteggiava. Rosalinde lo perdonerà. Ma il vero colpevole chi è ? Lo champagne naturalmente!

Anche se neanche questo lavoro è scampato agli stravolgimenti di certo Regietheater – uno fra tutti quello di Hans Neuenfels che nel 2001 riuscì a provocare le rabbiose contestazioni del compassato pubblico del festival di Salisburgo – questa è un’edizione di tradizione viennese pura al 100%. Diretta da Karl Böhm a capo dei Wiener Philharmoniker ha un cast stellare: Gundula Janowitz, Eberhard Wäch­ter, Renate Holm, Wolfgang Windgassen, Erich Kunz, Waldemarr Kmentt… Il meglio della scena lirica del tempo, siamo nel 1972.

Otto Schenk, grandissimo attore comico qui regista, riserva per sé lo spassoso ruolo del carceriere Frosch, un classico della tradizione teatrale viennese con il momento dei riferimenti all’attualità. (Ricordo ancora lo scandalo che fecero i riferimenti a Craxi e ai socialisti del carceriere Heinz Holecek dell’edizione al Regio di Torino del 1993 in piena tangentopoli!)

Questa è una registrazione cinematografica dello spettacolo teatrale trasportato in uno studio televisivo in cui sono stati minuziosamente ricostruiti gli ambienti in cui si svolge l’ilare vicenda – l’appartamento alto-borghese degli Eisenstein, la sontuosa villa del principe Orlofski, le pri­gioni di stato.

Gli interpreti si dimostrano magnifici attori negli arguti dia­loghi speziati di dialetto viennese (aggiornati da Schenk e Peter Weiser) e cantano le loro arie in playback, ma ciò non toglie nulla alla spontaneità della loro interpretazione, anche se il metodo oggi risulta datato. È una vera sorpresa scoprire cantanti come Wächter (lo sfrenato e gaudente marito che invece che in prigione va al ballo) o Windgassen (l’anno­iato e rozzo principe russo), celeberrimi nei ruoli più drammatici del reperto­rio operistico, recitare qui con un’irresistibile e insospettabile verve comi­ca.

Immagine ragionevolmente accettabile in 4:3 e due tracce audio.