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Jacques Offenbach, La Périchole
Parigi, Théâtre des Champs Élysées, 15 novembre 2022
Dopo un quarto di secolo si ricostituisce il team Minkowski/Pelly per Offenbach
Recensendo il DVD del 2004 de La Grande-duchesse de Gérolstein scrivevo: «Terza produzione offenbachiana della premiata ditta Minkowski & Pelly dopo Orphée aux enfers e La Belle Hélène, ci aspettiamo ora almeno La Périchole fra le tante operette del Mozart degli Champs-Élysées che ancora mancano all’appello».
Molto tempo dopo, sulle tavole del Théâtre des Champs-Élysées si realizza quell’auspicio e si rinnova quel glorioso sodalizio – delle vere “nozze d’argento”, essendo passati 25 anni dal 1997 dell’Orphée – che ha visto Marc Minkowski alla direzione, Laurent Pelly alla regia e ai costumi, Agathe Mélinand ai dialoghi e Chantal Thomas alle scenografie.
Nel 1829 Prosper Mérimée aveva pubblicato su “La Revue de Paris” la pièce in un atto Le Carrosse du Saint-Sacrement ispirata a un personaggio reale, Micaela Villegas, un’attrice del XVIII secolo divenuta amante del viceré del Perù Don Maluel da cui si era fatta regalare una carrozza con cui andare in chiesa con grande scandalo dei benpensanti. Chiamata dal suo spasimante perra chola (cagna di meticcia), da cui il nome Périchole, divenne la protagonista dell’opéra-bouffe su testo di Ludovic Halévy e Henri Meilhac che Jacques Offenbach presentò il 6 ottobre del 1868 al Théâtre des Variétés di Parigi in una versione in due atti che divennero tre nella nuova versione del 25 aprile 1874. In entrambe le edizioni la protagonista fu Hortense Schneider.
Atto I. A Lima, il Viceré del Perù (Don Andrès) esce per intrattenersi in incognito, o per lo meno lo crede, con i suoi uomini che sono stati pagati per adularlo. Due cantanti di strada, La Périchole e il suo amante Piquillo, cercano invano di guadagnare il denaro necessario per sposarsi. Mentre Piquillo si allontana, La Périchole si addormenta per alleviare la fame. Il Viceré, affascinato dalla sua bellezza, le offre di essere la sua damigella d’onore. La Périchole non vulle farsi ingannare, ma in preda alla fame, accetta e scrive una lettera di addio a Piquillo. La lettera lo getta nella disperazione e vuole impiccarsi. Fortunatamente, viene salvato dal primo gentiluomo di corte che sta cercando un marito per la futura favorita del Viceré per mantenere le apparenze. Dopo essersi saziati e notevolmente ubriacati, Piquillo e La Périchole si sposano, senza che il giovane cantante si renda conto dell’identità della moglie.
Atto II. Il giorno dopo il matrimonio, smaltita la sbornia, Piquillo fa sapere alla “moglie” di amare un’altra donna, ma il galateo esige che prima presenti ufficialmente la sua sposa al Viceré. Quando scopre che La Périchole è diventata la sua amante e la sua favorita, scoppia in un’esplosione di rabbia, insulta il monarca e viene immediatamente mandato nella prigione per i mariti recalcitranti.
Atto III. Prima scena. La Périchole viene a visitare Piquillo in prigione. Dopo una scenata da parte di lui, la donna lo informa di non aver ceduto alle avance del Viceré. Il suo piano di fuga è semplice: corrompere il carceriere. Il carceriere si presenta, ma non è altro che il Viceré travestito, che fa rinchiudere insieme i due colpevoli. Ma un vecchio prigioniero permette loro di fuggire attraverso un tunnel che ha scavato. Nella seconda scena Piquillo e La Périchole si trovano in città, ma vengono individuati da una pattuglia. Al Viceré la Périchole e Piquillo cantano le loro disgrazie, commuovendo il monarca che, magnanimo, permette loro di vivere liberi e felici.

Con La Périchole Offenbach si allontana dal solco dell’opéra-bouffe fino a quel momento tracciato per affrontare il cammino che lo porterà ai Contes d’Hoffmann. Il compositore, che si era specializzato nel mettere la musica in burla, sa anche avvicinarsi alle rive del lirismo con una storia di amori contrastati dalla miseria e dal potere tiranno dove la malinconia tinge le inquietudini e i tormenti della Périchole e del suo amante Piquillo. Questo è il motivo per cui il pubblico dell’epoca rimase perplesso davanti a un lavoro che si avvicinava più all’opéra-comique che al turbine satirico de La Belle Hélène o de La vie parisienne. Quello del 1868 fu un mezzo fiasco: una donna ubriaca in scena e un matrimonio con entrambi gli sposi ubriachi furono gli elementi che indispettirono parte del pubblico e il successo di alcune pagine – furono particolarmente apprezzati i couplet «On sait aimer quand on est espagnol!» e la lettera firmata «La Périchole | qui t’aime mais qui n’en peut plus!…» – non bastarono a mantenere il lavoro in repertorio. Il contesto politico poi si era fatto particolarmente critico col conflitto franco-prussiano e solo dopo il 1870 Offenbach potè riprendere la sua operetta. La versione del 1874 si arricchiva di un atto, dei 19 numeri del 1868 cinque venivano eliminati, il primo atto rimaneva immutato, il secondo atto si concludeva con l’ensemble dei “maris récalcitrants”, il terzo comprendeva la scena della prigione che richiamava ironicamente l’analoga scena de L’Africaine di Meyerbeer qui arricchita dallo spassoso duetto di Miguel de Panatellas e Pedro de Hinoyosa e della lunga aria del tenore «Voilà donc le lit de l’honnête homme».
È questa la versione scelta da Minkowski e Pelly i quali separatamente hanno già affrontato il capolavoro offenbachiano: Minkowski nel 2018 in una registrazione a Bordeaux per Palazzetto Bru Zane e Pelly nel 2003 all’opera di Marsiglia. Ed è la terza produzione de La Périchole a Parigi quest’anno (!) dopo quella al Théâtre du Gymnase (Gossaert/Coudray) a gennaio e quella all’Opéra-Comique (Leroy/Lesort) a maggio.
Per questa nuova produzione Pelly ha sottolineato i due aspetti complementari di questo lavoro, quello comico/satirico e quello serio/drammatico: qui c’è una donna che si prostituisce per fame mentre un uomo abusa del suo potere. Il personaggio del viceré è sì burlesco, ma è pur sempre un predatore e l’ambientazione è ai giorni nostri poiché la figura del dittatore libidinoso non ha mai smesso di essere attuale. Nettamente distinte sono le ambientazioni dei vari quadri: la piazza della città, con la facciata di un condominio proletario e un immenso poster del faccione del viceré, c’è un chiosco di fast food e tavoli per la mescita di alcolici a buon mercato; il palazzo è tutto specchiere dorate, divani di velluto, donne in crinoline d’argento e uomini in polpe argentate; la prigione è una grande gabbia metallica che prende tutto il palcoscenico; nella scena finale il poster del viceré è danneggiato e coperto di scritte. La regia di Pelly è come sempre attentissima alla musica, con i movimenti che seguono i suoni con grande fluidità e una cura attoriale maniacale, dove ogni singolo personaggio in scena ha il suo ruolo in un meccanismo preciso. I dialoghi attualizzati dalla Mélinand rendono ancora più vivace e piccante la vicenda.
Alla testa dell’agile compagine dei Musiciens du Louvre formata da 37 eccellenti strumentisti, Marc Minkowski riprende la lettura leggera e trasparente che ha consegnato su disco. Cesellati sono i preludi strumentali, le dinamiche sono varie, i tempi lenti languorosi, quelli vivaci briosi ma senza eccesso, il volume sonoro quello previsto da Offenbach per le orchestre che aveva a disposizione mentre il diapason a 440 Hz fornisce un suono brillante. Le migliori condizioni per una compagnia di canto perfetta nei personaggi secondari, se secondario si può considerare il ruolo di Don Andrès de Ribeira, uno strepitoso e vocalmente autorevole Laurent Naouri che del viceré offre un ritratto completo, dai fremiti libidinosi, ai moti di dispetto per la sconfitta alla versione clemente del monarca che dona la libertà ai due giovani evasi – ma non al vecchio prigioniero il quale neanche più si ricorda perché è in galera ma è contento di ritornarci per continuare il suo decennale lavoro di scavo per evadere. Efficaci caratteristi sono Rodolphe Briand e Lionel Lhote, Comte Miguel de Panatellas e Don Pedro de Hinoyosas rispettivamente, così come le scatenate «trois cousines», e poi altezzose cortigiane, Chloé Briot, Alix Le Saux, Éléonore Pancrazi. Nei ruoli parlati del Marquis de Tarapote e del vecchio prigioniero si distingue l’attore Eddy Letexier. Salvatore Caputo dirige il sempre vivace e preciso coro dell’opera di Bordeaux.
Nella parte della Périchole si avvicendano Antoinette Dennefeld e Marina Viotti. Alla seconda recita è il turno della cantante francese. Il mezzosoprano strasburghese ha bella voce, anche se non grandissima, ottima presenza scenica ed elegante fraseggio, ma manca di quella verve che ci si aspetta da un personaggio talmente caratterizzato, così che sono i momenti lirici che convincono maggiormente rispetto a quelli più ironici. Lo stesso si può dire per il Piquillo di Stanislas de Barbeyrac, che per di più accusa qualche leggera difficoltà nel registro acuto e nelle agilità pur in una linea vocale di grande eleganza e simpatica presenza scenica. Il pubblico ha apprezzato e ha risposto con calorosi applausi. Ancora una volta, evviva Offenbach!
⸪