La Belle Hélène

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La Belle Hélène (1864) segue di sei anni il successo dell’Orphée aux enfers e anche qui Jacques Offenbach si fa beffe della nota vicenda mitologica. Stavolta però il libretto è affidato alla collaudatissima impresa Meilhac & Halévy, la trama è meno schematica e la caricatura portata an­cora più in là. Anche le allusioni all’epoca di Offenbach, in particolare alla figura di Napoleone III, sono maggiormente pungenti. Dal punto di vista musicale il Mozart degli Champs-Élysées qui dà il meglio di sé per inven­zione melodica, trovate timbriche e gusto della parodia con la musica che attinge a piene mani in Meyerbeer e in Rossini (che ne fa le spese, tra l’altro, col suo Guillaume Tell: «Il chancelle, il chancelle. | À peine il respire. | J’expire»). La vicenda si svolge dopo che Paride ha offerto a Venere il trofeo di dea più bella ricevendo in cambio l’amore di Elena, regina di Sparta e moglie di Menelao.

Atto primo: Dopo aver invocato Venere, Elena interroga Calcante sull’affare del monte Ida di cui lei sa essere la ricompensa. Paride intanto arriva travestito da pastore con una lettera di Venere che ordina a Calcante di procurare al giovane l’amore di Elena. Partecipando ad uno degli stupidi giochi di società (che erano la passione della coppia imperiale) Paride vince facilmente e viene incoronato da Elena stessa dopo aver rivelato la sua identità. Invitato al banchetto da Menelao, Paride corrompe Calcante affinché profetizzi che gli dèi vogliono che il re parta immantinente per Creta.
Atto secondo: liberato il campo da re Menelao, Paride si presenta di notte da Elena che conosce il suo destino, ma resiste alla tentazione. Paride si allontana, ma ritorna quando la regina è addormentata e la convince trattarsi solo di un sogno. L’arrivo inaspettato del re di Sparta che li trova uno nelle braccia dell’altra costringe Paride alla fuga, ma il principe promette di tornare per completare il lavoro iniziato.
Atto terzo: i re e i loro seguiti sono sulla spiaggia di Nauplia per passare l’estate. Un sacerdote di Venere arriva dicendo che deve portare Elena a Citera perché deve soprintendere ai sacrifici per placare la collera della dea. Menelao la vuole accompagnare, ma Elena rifiuta: lei sola ha offeso Venere. Il sacerdote ed Elena salpano assieme e in quel momento si scopre che il sacerdote è Paride stesso in un suo travestimento.

Questa è la seconda collaborazione di Marc Minkowski con Laurent Pelly per Offenbach. Qui siamo al teatro Châtelet di Parigi nell’ottobre del 2000. La scelta felicissima di Pelly di ambientare la sto­ria ai tempi nostri consente di rendere ancora più frizzante la vicenda con argu­ti adattamenti alla modernità: Elena è una di quelle mogli che si sentono trascurate dal marito dopo tanti anni di matrimonio. Lamentando la sua situazione si assopi­sce accanto al consorte che già ronfa beato. Nel sonno sogna di esse­re ‘quella’ Elena, la mo­glie del re di Sparta, da cui le note vicende. La sua camera da letto ini­zia a popolarsi delle figure dell’antica Grecia con cui avrà a che fare nel corso dell’opera. La stessa came­ra da letto diventerà nei successivi atti il sito di uno scavo ar­cheologico e infine la spiaggia di Nauplia, località alla moda, oggi come allora, del Peloponneso.

Uno dei tanti punti forti di questo spettacolo è la presenza di Dame Felicity Lott che, smessi i panni delle Marschallin e delle Contesse straussiane, affronta questo ruolo con l’elegante ironia e l’irresistibile british humour di cui darà prova anche come Granduchessa di Gérolstein nella successiva produzione offenba­chiana. Al suo fianco il mitico tenore francese Michel Sénéchal, qui settantatreenne, nei panni dell’inetto e spassoso re Menelao, cornuto e beato. Un Paride fascinoso ed esuberante è quello di Yann Beuron, sempre vocalmente strepitoso, mentre tra i re della Grecia si fa notare l’Agamennone di Laurent Naouri. Nella piccola parte di Lena una Stéphanie D’Oustrac ancora non famosissima. La direzione di Minkowski ha qui una leggerezza e una verve incomparabili e la regia di Pelly ha trovate che vengono giustamente applaudite a scena aperta dal fortunato pubblico parigino.

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