La Belle Hélène

Jacques Offenbach, La Belle Hélène

★★☆☆☆

Amburgo, Staatsoper, 13 settembre 2014

(registrazione video)

Sesso, droga e rock ‘n’ roll sulla nave da crociera

La Belle Hélène registrata nel 2014 alla Staatsoper di Amburgo nell’allestimento Barbe & Doucet – Renaud Doucet regia e coreografie, André Barbe scene e costumi – è ambientata negli anni ’60 sulla nave da crociera “Jupiter Stator”. La trasposizione un secolo dopo rispetta comunque lo spirito satirico del lavoro di Offenbach che metteva alla berlina l’attualità del suo tempo, quello di Napoleone III, utilizzando il mito greco. Qui di greco c’è il mare su cui si avventura questa nave che promette scappatelle con vigorosi marinai alle matrone di Atene, dove i crocieristi si avventano sul buffet (le offerte dei sacrifici) sotto lo sguardo del capitano (Calcante, l’augure di Giove). Déi ed eroi ammiccano a personaggi di quegli anni (Achille sembra Elvis Presley nel suo outfit più dorato) mentre altre incursioni nella “nostra” modernità danno un tocco ancora più surreale alla vicenda: a un certo momento scenderà dal cielo Steve Jobs con le ali a immortalare una scena col suo iphone e nel finale Angela Merkel arriverà con una carriola piena di euro per ripianare i debiti della Grecia! Nel frattempo avremo visto in scena, a completare la famiglia degli Atridi, anche una temibile Elettra armata di ascia, ma nel coro si individuano tra gli altri Ifigenia, Clitennestra e Penelope con il figlio Tele Macho…

 

I costumi hanno le fogge e i colori sgargianti di quegli anni così spesso rimpianti e richiamati sulle scene teatrali di oggi e non mancheranno gli hippy a portare qualche spinello ai gaudenti crocieristi. Non tutte le scene sono convincenti, soprattutto quella del sogno non ha il carattere sognante e sensuale che aveva nella regia di Pelly e che qui fa ricorso a gag inutili come quella del bondage.

Tutti si divertono e divertono in questo bailamme condotto a passo di carica da Gerrit Prießnitz che non sembra perdere tempo in raffinatezze strumentali, nonostante la scelta di un’orchestra ridotta, ma si dimostra comunque efficace.

I cantanti hanno tutti buone qualità attoriali, mentre non si può dire lo stesso delle qualità vocali. Elena è Jennifer Larmore che non fa dimenticare il suo passato belcantistico, ma i mezzi sono un po’ usurati, i passaggi di registro bruschi e gli acuti sembrano provenire da un’altra gola. Tutto però è ampiamente compensato dalla sua presenza scenica. Paride è Jun-Sang Han, che sembra utilizzare un sistema di intonazione che non appartiene al nostro con effetti talora raccapriccianti. Il parlato è ampiamente utilizzato da Peter Galliard (Menelao) e Viktor Rud (Agamennone) per fuggire a evidenti difficoltà. Molto meglio Otto Katzameier (Calcante) e Rebecca Jo Loeb (Oreste). Nessun cantante è di lingua madre francese, e si sente.

La produzione è stata ripresa molto recentemente ancora con la Larmore, ma con un Paride diverso e un Oreste particolare: Max Emanuel Cenčić.

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