William Schwenck Gilbert

Trial by Jury

Arthur Sullivan, Trial by Jury 

Glasgow, Theatre Royal, 14 maggio 2025

(video streaming)

La giustizia come reality show

Prima della fortunata serie delle Savoy Operas, Trial by Jury è la seconda collaborazione di Wil­liam Schwenck Gilbert e Arthur Sullivan dopo Thespis. 

Rappresentata per la prima volta nel 1875, la vicenda tratta il classico caso di promesse matrimoniali non mantenute – l’imputato ha abbandonato la ricorrente all’altare – ed è ambientata un un’aula di tribunale dove si svolge un processo ricco di emozioni, assurdità e soprattutto in un caos totale. Si pensi anche solo alla stravagante proposta del giudice di far ubriacare l’imputato per vedere se quando è in preda ai fumi dell’alcol si comporta con violenza sulla sposa: «He says, when tipsy, he would thrash and kick her. | Let’s make him tipsy, gentlemen, and try!». Alla fine tutto si risolve con un’altra proposta del vulcanico giudice, ossia quella di sposare la ragazza, la quale si dimostra ben contenta di sposare un vecchio ricco in un finale tra il giubilo generale.

Anche se breve, il lavoro ha già le caratteristiche delle successive operette di G&S: cori che commentano con arguzia le situazioni, personaggi abilmente caratterizzati e il classico patter song per il protagonista comico (qui il giudice), ossia un brano caratterizzato da un ritmo veloce, parole pronunciate in rapida successione e le impagabili rime di Gilbert, dove otto fa rima con Watteau e usher (usciere) con Russia! In questo numero il giudice racconta come abbia fatto carriera sposando la figlia brutta di un famoso avvocato e una volta diventato ricco l’abbia abbandonata. L’uomo giusto per presenziare un processo come questo!

Musicalmente anche in questa breve farsa c’è posto per la parodia dell’opera seria, qui ne fanno le spese Donizetti e Verdi con il quartetto «A nice dilemma» con il Giudice, l’Avvocato difensore, l’Imputato e la Parte lesa, uno dei tanti divertenti numeri che il giovanissimo direttore Toby Hession dirige con verve alla guida dell’orchestra della Scottisch Opera. Nel cast vecchie glorie del teatro come Richard Stuart (Giudice) e giovani voci come quelle di Chloe Harris, avvocato difensore in gonnella, Kira Kaplan, la parte lesa, o Edward Jowle, l’usciere.

Il regista John Savournin Savournin reinventa Trial by Jury come un reality show degli anni ’80 dove le caustiche fantasie di Gilbert & Sullivan diventano una sorta di realtà, con la giuria estremamente parziale, il giudice esibizionista, le damigelle d’onore professioniste, la querelante che appare in abito da sposa, l’imputat, che sembra un giovane Trump e che viene odiato a prima vista ma che comunque si rivela un vero mascalzone. Il tribunale non è più un simbolo della probità britannica, ma uno spettacolo di intrattenimento distorto in cui il processo legale è teatro e la giustizia ha la battuta finale.

L’atto unico di G&S è giustamente completato in questo double bill da A Matter of Misconduct, un’operetta di Emma Jenkins e Toby Hession, questa ambientata nel mondo della politica – un mondo a suo modo strettamente correlato a quello dei tribunali…

The Gondoliers

Arthur Sullivan, The Gondoliers

Glasgow, Theatre Royal, 28 ottobre 2021

★★★★☆

(video streaming)

L’ultimo grande successo e capolavoro di G&S

Terz’ultima delle Savoy Operas, The Gondoliers or The King of Barataria fu anche l’ultimo grande successo di William Schwenck Gilbert e Arthur Sullivan, 553 repliche successive alla prima del 7 dicembre 1889, ed è forse il loro massimo capolavoro.

Le relazioni tra librettista e compositore, anche a causa del tiepido successo della loro ultima collaborazione, The Yeomen of the Guard, erano diventate tese. Alle smanie di Sullivan per scrivere un’opera seria in cui la musica «doveva essere predominante» Gilbert aveva risposto: «Se voi avete la sorprendente impressione di essere stato negletto negli ultimi dodici anni, e se siete serio nella vostra intenzione di voler scrivere un’opera in cui “alla musica debba essere assegnato il riguardo primario” (dal che capisco trattarsi di un’opera in cui il libretto, e di conseguenza il librettista, devono occupare un posto subordinato), non c’è certo la possibilità di trovare un modus vivendi soddisfacente per entrambi. Voi siete un esperto nella vostra professione, e io nella mia. Se ci vogliamo rimettere insieme deve essere come maestro e maestro, non come maestro e servo». Essi si riappacificarono, ma rimase sotterranea una vena di rancore fra i due che alla fine sarebbe uscita allo scoperto.

Nell’aprile del 1890 Gilbert scoprì che le spese di manutenzione del teatro, tra cui un nuovo tappeto per l’atrio anteriore del teatro, erano state addebitate alla partnership invece che a carico di Carte. Gilbert affrontò Carte, ma il produttore si rifiutò di riconsiderare i conti, cosa che fece infuriare Gilbert. Le cose degenerarono presto, Gilbert perse le staffe con i suoi soci e intentò una causa contro Carte. Sullivan sostenne Carte rilasciando una dichiarazione giurata in cui affermava erroneamente che c’erano delle piccole spese legali in sospeso a causa di una battaglia che Gilbert aveva avuto nel 1884 con Lillian Russell, mentre in realtà quelle spese erano già state pagate. Quando Gilbert lo scoprì, chiese la ritrattazione della dichiarazione giurata; Sullivan rifiutò e Gilbert si sentì tradito. Sullivan sentiva che Gilbert stava mettendo in dubbio la sua buona fede, e Sullivan aveva altri motivi per rimanere nelle grazie di Carte: Carte stava costruendo un nuovo teatro, la Royal English Opera House (oggi Palace Theatre), per produrre l’unica grande opera di Sullivan, Ivanhoe. Dopo la chiusura di The Gondoliers nel 1891, Gilbert ritirò i diritti di rappresentazione dei suoi libretti, giurando di non scrivere più opere per il Savoy. L’aggressiva azione legale di Gilbert, anche se coronata da successo, aveva amareggiato Sullivan e Carte. Dopo molti tentativi falliti da parte di Carte e di sua moglie, Gilbert e Sullivan si riunirono grazie agli sforzi del loro editore musicale, Tom Chappell. Nel 1893 produssero la loro penultima collaborazione, Utopia, Limited, ma The Gondoliers si sarebbe rivelato l’ultimo grande successo di Gilbert e Sullivan. Utopia fu solo un modesto successo e la loro ultima collaborazione, The Grand Duke, nel 1896, fu un fallimento. Dopo di allora, i due non collaborarono mai più.

Il tempo trascorso su The Gondoliers fu più lungo che per le altre opere, Sullivan dimostrò tutta la sua maestria in cori e concertati complessi dal punto di vista del contrappunto delle voci e trascinanti ritmi di danze di gusto spagnolo. I loro sforzi non furono inutili e i risultati non delusero le aspettative: i critici furono estremamente favorevoli e il pubblico in delirio. Come era successo con The Mikado l’ambientazione esotica, qui una Venezia di fantasia nel primo atto e il palazzo del regno di Barataria nel secondo, aveva spinto Gilbert a premere sul pedale della satira sociale. Il libretto è un’incantevole presa in giro delle attrattive e delle insidie del potere, del privilegio e del clientelismo.

Atto I. A Venezia, ventiquattro contadine dichiarano la loro passione per i bei fratelli gondolieri Marco e Giuseppe Palmieri, che si bendano per scegliere equamente le loro spose. Alla fine, Giuseppe sceglie Tessa e Marco sceglie Gianetta, e tutti e quattro si recano in chiesa per un doppio matrimonio. Il Duca e la Duchessa di Plaza-Toro, insieme alla figlia Casilda, arrivano dalla Spagna per incontrare Don Alhambra del Bolero, il Grande Inquisitore. Mentre il loro tamburino Luiz parte per annunciare l’arrivo del Duca, il Duca e la Duchessa rivelano alla figlia un segreto che hanno custodito per vent’anni: quando lei aveva solo sei mesi, è stata data in sposa al figlio neonato del Re di Barataria, che è stato portato a Venezia da Don Alhambra e ora è lui stesso Re dopo la morte del padre in un’insurrezione. Casilda è quindi diventata regina di Barataria e i suoi genitori l’hanno portata a Venezia per farle conoscere il marito. Segretamente innamorata di Luiz, Casilda si rassegna a una vita separata da lui. Don Alhambra arriva e spiega che il piccolo Principe di Barataria è stato allevato dal gondoliere veneziano Baptisto Palmieri, che aveva un figlio della stessa età e che ha dimenticato quale dei due fosse. I due ragazzi – Marco e Giuseppe Palmieri – crebbero e divennero a loro volta gondolieri. Solo la balia Inez, che li ha accuditi (e che è anche la madre di Luiz), sa chi è il primo, ma ora vive con un brigante in montagna. Il Grande Inquisitore invia Luiz a cercarla. Quando Marco e Giuseppe arrivano con le loro mogli, Don Alhambra spiega che uno di loro è il Re di Barataria, ma nessuno sa quale. Nonostante le loro convinzioni repubblicane, i “fratelli” sono entusiasti e accettano di recarsi subito a Barataria, regnando insieme fino a quando non sarà possibile identificare il vero Re. Don Alhambra avvisa le mogli che non possono essere ammesse a Barataria fino a quando il Re non sarà stato dichiarato, trascurando di dire che il vero Re è già sposato con Casilda.
Atto II. A Barataria, Marco e Giuseppe, fedeli alle loro radici repubblicane (d’adozione), insieme governano in uno stile idealista, anche se un po’ caotico. Vivono una vita splendida, ma sentono la mancanza delle mogli. Ma ben presto, faticando a sopportare la separazione, le signore arrivano da Venezia e tutti festeggiano con un gran ballo. Don Alhambra arriva a palazzo e scopre che Marco e Giuseppe hanno promosso tutti alla nobiltà, e comunica che il vero Re è stato sposato con Casilda da bambino ed è quindi un bigamo involontario. Le mogli dei gondolieri sono sconvolte nello scoprire che nessuna di loro sarà regina. Il Duca e la Duchessa di Plaza-Toro arrivano con Casilda e, sconvolti dalla mancanza di sfarzo e di cerimonie di benvenuto, si impegnano a educare Marco e Giuseppe a un corretto comportamento regale. I due ex gondolieri rimangono soli con Casilda, che promette di essere una moglie fedele per uno di loro, e quando arrivano le altre mogli, tutti e cinque cantano della loro strana situazione. Don Alhambra arriva con la nutrice Inez, che conosce la vera identità del Re. La donna confessa che quando il Grande Inquisitore è arrivato per portare via il Principe bambino, ha sostituito il proprio figlio piccolo, tenendo il vero Principe sotto la propria guardia. Così il Re non è né Marco né Giuseppe, ma Luiz, e Casilda scopre di essere già sposata con l’uomo che ama. I due gondolieri, sebbene delusi per non essere diventati Re, tornano a Venezia felici con le loro mogli.

La produzione della Scottish Opera, realizzata in collaborazione con la D’Oyly Carte Opera Company e la State Opera South Australia, è diretta con brio da Derek Clark che dà vita alla più solare e gioiosa delle Savoy Operas. Sotto la sua guida la Schottish Opera Orchestra si dimostra un duttile strumento per realizzare la non facile partitura ricca di invenzioni musicali argute e sapienti allo stesso modo. Frizzante è il est di interpreti efficacissimi nel tratteggiare i sapidi personaggi di questa storia surreale: i fratelli Palmieri, i gondolieri del titolo, Marco (William Morgan) e Giuseppe (Mark Nathan); le spose Gianetta (Ellie Laugharne) e Tessa (Sioned Gwen Davies); gli spiantati e altezzosi aristocratici spagnoli The Duke of Plaza-Toro (l’esilarante Richard Suart) e The Duchess of Plaza-Toro (Yvonne Howard); il Grande Inquisitore Don Alhambra del Bolero (Ben McAteer); Casilda (Catriona Hewiston), Luiz (Dan Shelvey) e tutti gli altri.

Fedele alla tradizione della d’Oyly Carte ma con un pizzico di modernità è l’arguto allestimento di Stuart Maunder, direttore artistico della State Opera South Australia di cui si ricorda il delizioso Mikado. Assieme alle scene di Dick Bird, al gioco luci di Paul Keogan e alle fluide coreografie di Isabel Baquero il risulato è uno spettacolo visivamente godibilissimo che il culmine nei costumi dello stesso Bird, uno per tutti quello della Duchessa: una gonna di due metri e mezzo di larghezza, sbrindellata e sbiadita nel primo atto, riportata allo splendore di sete dorate nel secondo assieme alla parrucca in cui è infilzata una lunga gondola. Il costumista si diverte non solo con la profusione di fiori e nastri degli abiti settecenteschi delle contadine, ma con il costume dei fratelli gondolieri che devono condividere il ruolo di re. Per non parlare dell’abito da fenica spagnola di Casilda che sfoggia anche una benda nera su un occhio – non sempre lo stesso… – a mo’ di principessa Eboli!

La recita è stata filmata e trasmessa dalla rete BBC4 ed è attualmente disponibile su Operavision oltre che su YouTube.

The Mikado

 


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Arthur Sullivan, The Mikado

National Broadcasting Company, 29 aprile 1960

(registrazione televisiva)

Groucho boia giapponese

Quando il 14 marzo 1885 The Mikado fu presentato al Savoy Theatre, l'”Esposizione del Giappone” era da pochi mesi a Kensington e Gilbert l’aveva visitata durante le prove dello spettacolo. Da decenni era florido il commercio europeo con l’estremo oriente e la mania per tutto quello che era giapponese aveva infettato la società vittoriana. Questo aveva reso i tempi maturi per un’opera ambientata in quel paese.

Gilbert aveva detto in un’intervista al New York Daily Tribune: «Non posso spiegare perché il nostro lavoro sia stato ambientato in Giappone. L’ambientazione ha offerto spazio per trattamenti, scenari e costumi pittoreschi, e penso che l’idea di un magistrato che è allo stesso tempo giudice e carnefice, ma che non farebbe male a un verme, forse sarebbe piaciuta al pubblico». In realtà ambientando l’opera in una terra straniera, il librettista era stato in grado di criticare più aspramente la società e le istituzioni britanniche. Quella del Mikado era una comicità che G. K. Chesterton aveva paragonato alla satira di Jonathan Swift nei Viaggi di Gulliver: «Gilbert perseguì e perseguitò i mali dell’Inghilterra moderna finché non ebbero letteralmente una gamba su cui stare, esattamente come fece Swift. […[ Dubito che ci sia una sola battuta nell’intera opera che si adatti ai giapponesi, ma tutte le battute nella commedia si adattano agli inglesi». La comicità della nona opera della premiata ditta Gilbert & Sullivan iniziava fin dalla scelta dei nomi dei personaggi: Nanki-Poo, Poo-Bah (e sappiamo cosa vuol dire poo in inglese…), Pish-Tush, Yum-Yum, Go-To, Pitti-Sing, Peep-Bo…

Abbondantemente tagliata per farla stare nell’ora concessa alla Bell Telephone Hour, un programma televisivo americano del 1960, questa produzione di The Mikado ha il suo punto di interesse nella presenza di Groucho Marx. Il surreale nonsense del libretto sembra il testo ideale per la comicità del terzo e più longevo dei cinque Fratelli Marx, settantenne al momento della registrazione. Ma più che nella “little list”, qui non sfruttata appieno nella sua irriverente comicità (siamo alla televisione dopo tutto…), l’umorismo beffardo di Groucho si sfoga negli altri numeri destinati al suo personaggio Ko-Ko, il “comic baritone” Lord High Executioner: «Taken from the county jail», «The criminal cried, as he dropped him down» (il surreale racconto della finta esecuzione) e soprattutto il tragicomico «On a tree by a river a little tom-tit» con quell’irresistibile ritornello «Oh, willow, titwillow, titwillow».

Il cast di supporto comprende illustri veterani come Helen Traubel, Stanley Holloway, Robert Rounseville e Dennis King, oltre a giovani artisti come Barbara Meister nel ruolo di Yum-Yum o la figlia tredicenne di Groucho, Melinda, nel ruolo di Peep-Bo. La regia è di Norman Campbell, l’orchestra è diretta da Donald Voorhees e le scene sono disegnate da Paul Barnes.

The Mikado

Arthur Sullivan, The Mikado

Melbourne, Arts Centre State Theatre, 17 maggio 2011

 ★★★★★

(registrazione video)

Nuova vita all’operetta inglese in Australia

Dal più lontano avamposto del mondo di lingua anglosassone che possa deliziarsi degli spassosi versi di Sir William Schwenk Gilbert, arriva questa esilarante edizione del più bel frutto della ditta G&S. Il Giappone c’è tutto in questa edizione dell’opera di Melbourne del 2011, anche se è un Giappone coloratissimo (l’impianto scenico di Tim Goodchild ricorda le illustrazioni delle esotiche avventure di Tintin, compresi i vasi giapponesi oversize che fungono anche da mezzo di trasporto o vasca da bagno). Per non farci dimenticare che The Mikado non è altro che un travestimento esotico dell’epoca vittoriana i kimono dei «Gentlemen of Japan» sono in tessuto gessato e Yum-Yum sfoggia un esagerato accento british. 

Le coreografie di Carole Todd e la regia di Stuart Maunder ci restituiscono uno spettacolo che non dà tregua né all’udito né alla vista e mette in evidenza la bravura degli interpreti, cantanti-attori nella migliore tradizione dello show business in lingua inglese .

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E secondo tradizione in questa versione di The Mikado il ruolo di Ko-Ko è affidato a un attore, lo spassoso Mitchell Butel, che si dimostra anche brillante cantante e due anni dopo sarà John Styx in una travolgente produzione di Orphée aux Enfers sempre dell’Opera Australia. La sua interminabile “little list” è il punto culminante di questa messa in scena: oltre cinque minuti di salaci battute aggiornate alla più stringente attualità. Nell’immancabile bis la lista continua su iPad.

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L’orchestra impiegata in questa produzione è volutamente alleggerita e la direzione di Brian Castles-Onion mantiene l’effervescenza della partitura senza stanchezza dall’inizio alla fine. Di ottimo livello gli interpreti, i cui nomi sono però poco noti alle nostre latitudini. In Australia sembra che l’operetta di G&S abbia trovato una nuova vita con divertenti produzioni. In questi anni ci sono stati tra gli altri dei Pirates of Penzance che fanno il verso ai Pirati dei Caraibi disneyani.

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The Grand Duke

 

Arthur Sullivan, The Grand Duke


Altri tre anni sarebbero passati da Utopia, Limited perché il duo G&S si ricomponesse, ma questa sarà l’ultima volta.

Il quasi insuccesso della loro ultima fatica, The Grand Duke or The Statutory Duel, che debuttò al Savoy il 7 marzo 1896, pose termine definitivamente al loro sodalizio: Gilbert si ritirò come gentleman in campagna e Sullivan continuò a comporre balletti, opere comiche e drammi. Si ritrovarono insieme, ma senza scambiarsi una parola, solo alla fine del 1898 quando salirono sul palcoscenico di una ripresa di The Sorcerer per salutare il pubblico. Un ultimo tentativo di incontro fatto da Gilbert non ebbe esito per la cattiva salute di Sullivan che morì il 22 novembre 1900 mentre Gilbert era in Egitto per curare le sue febbri reumatiche. Il librettista visse ancora fino al 29 maggio 1911.

Curiosamente la vicenda di The Grand Duke riprendeva quella della loro prima esperienza, Thespis con gli attori di una compagnia teatrale che si trovano a recitare ruoli diversi da quelli previsti. La troupe di Ernest Dummkopf sta per debuttare nella tragedia greca Troilo e Cressida e per festeggiare, quella sera stessa, il matrimonio dei due commedianti Ludwig e Lisa. La mancanza di un prete non permette però la celebrazione: tutti i religiosi sono stati convocati dal Granduca Rodolfo per discutere del suo futuro matrimonio con la Baronessa von Krakenfeldt. L’odiato Granduca però non sa che c’è una cospirazione in atto per assassinarlo e mettere un altro sul trono. La trama si basa inoltre sull’erronea interpretazione di una legge di cento anni prima sui duelli decisa dalla sorte di un mazzo di carte. Prima che la vicenda sia risolta ben quatto donne donne aspireranno a diventare Granduchesse, quasi un’iperbolica parodia dell’opera di Offenbach, La Grande-duchesse de Gérolstein.

Il tema del teatro che rispecchia la vita e il ruolo sociale che mette in ombra la propria identità ritornava così per l’ultima volta in un lavoro di G&S.

In rete è disponibile la produzione del 1996 dei Washington Savoyards.

Utopia, Limited

Arthur Sullivan, Utopia, Limited

Gli attriti che avevano preceduto la composizione di The Gondoliers ritornarono a turbare la relazione tra G & S per una questione di spese che avevano urtato Gilbert al suo ritorno da un viaggio in India con la moglie. Per quasi tre anni compositore e librettista andarono per la propria strada. Il primo riuscì a soddisfare il suo desiderio di scrivere un’opera sera – e fu Ivanhoe su un libretto di Julian Sturgis basato sul romanzo di Sir Walter Scott – mentre il secondo scopriva le gioie della campagna dopo aver acquistato una grande casa nel Middlesex o collaborava a un musical (The Mountebanks) per il Lyric Theatre. In mancanza di lavori di Gilbert e Sullivan il Savoy dovette mettere in scena delle operette di Dance e Desprez (The Nautch Girl or The Rajah of Chutneypore) e di Grundy e Solomon (The Vicar of Bray).

Le pressioni di Richard D’Oyly Carte alla fine vinsero le resistenze dei due che si riconciliarono per un’opera ambientata su un’isola del sud e così Utopia, Limited or The Flowers of Progress poté andare in scena al Savoy il 7 ottobre 1893 dove fu replicata 244 volte. Satira delle istituzioni britanniche, il nuovo lavoro echeggiava opere precedenti come il personaggio del capitano (di H.M.S. Pinafore), la politica (Iolanthe) o l’educazione femminile (Princess Ida), ma aveva comunque una sua originalità e una trama ben congegnata.

Sull’isola immaginaria di Utopia King Paramount è un fervente ammiratore dei costumi britannici tanto da aver inviato la figlia Zara in un college in Inghilterra. Quando questa ritorna porta con sé sei gentlemen, i “fiori del progresso”, per migliorare il paese di Utopia. Tra i loro consigli c’è quello di trasformare l’isola in una “società a responsabilità limitata” e re Paramount accetta con entusiasmo. Ma presto si fa strada il malumore tra i sudditi: l’assenza di guerre ha reso inutili la marina e l’esercito, il sistema sanitario è così efficiente che i dottori si trovano disoccupati e li leggi così perfette che il crimine non esiste più e tribunali e avvocati sono senza lavoro. Ma nella creazione di questa società si erano dimenticati un elemento: il governo dei partiti. Nel sistema britannico ogni partito contraddice gli sforzi fatti dall’altro in modo che non ci sia progresso così da raggiungere il risultato propugnato da ognuno. Il popolo entusiasta canta le lodi di un piccolo gruppo di isole al di là del mare: la Gran Bretagna!

In rete è disponibile l’edizione del 2015 dei Durham Savoyards.

The Yeomen of the Guard

Arthur Sullivan, The Yeomen of the Guard

Quasi un grand opéra può essere considerato The Yeomen of the Guard or The Merryman and his Maid della ditta Gilbert & Sullivan. Il librettista la reputava «the best thing we have done», il musicista la sua preferita. Il maggior impegno si vede nell’ouverture scritta in forma sonata, il primo atto contenente un insolito numero di pezzi sentimentali, l’orchestra allargata a un secondo fagotto e a un terzo trombone e i dialoghi in inglese antico. Il tono più serio e scuro fu apprezzato dal recensore del Times: «Si deve riconoscere al Signor Gilbert di essere riuscito ad abbandonare i solchi abituali per innalzarsi a livelli più elevati».

Il poster di un beefeater (i guardiani della Torre di Londra) nella metropolitana aveva ispirato la vena di Gilbert che decise che quella figura «would make a good picturesque central figure for another Savoy opera», che sarebbe stata la numero dieci. L’ondata di patriottismo accesa dal giubileo di Queen Victoria ben si collegava all’ambientazione Tudor di questa vicenda tratta da un lavoro francese (Don César de Bazan) in cui si narrava di un cavaliere in prigione e condannato a morte che sposava una zingara e dopo essere fuggito e ferito ritornava travestito da monaco. Il titolo ebbe numerose varianti: inizialmente The Tower of London, poi The Tower Warder, poi ancora The Beefeater e infine quello definitivamente adottato. Scritta in gran fretta, con l’ouverture composta durante le ultime prove e le parti ancora fresche d’inchiostro gettate nella buca dell’orchestra all’ultimo momento, la sera del 3 ottobre 1888 segnò comunque un caloroso successo che rinfrancò il duo dopo la fredda accoglienza del precedente Ruddigore. Sarebbero seguite altre 422 repliche.

In rete sono disponibili le produzioni della Connecticut G&S Society del 2103 e della Rowan Opera Company del 2011.

Ruddigore

Arthur Sullivan, Ruddigore

Con Ruddigore or The Witch’s Curse Gilbert & Sullivan firmano la nona delle Savoy Operas. Alla fine della rappresentazione del 22 gennaio 1887 però agli applausi si mescolarono alcuni fischi: dopo l’immenso successo di The Mikado era difficile mantenere quello stesso livello e la nuova opera aveva comunque qualche debolezza, a iniziare dal titolo originale Ruddygore che aveva urtato la sensibilità vittoriana essendo simile a “Bloodygore”, un’espressione considerata troppo volgare per un pubblico rispettabile. Come pure la vicenda, in cui l’eroe buono diventa il cattivo, il gaglioffo diventa il buono e la ragazza virtuosa cambia fidanzato ogni momento. La modifica della lettera nel titolo avrebbe solo in parte risolto il problema e Ruddigore si dovette accontentare di 288 rappresentazioni (rispetto alle 672 dell’opera precedente) e fu ripresa solo nel 1920 e in una nuova versione.

L’opera è basata sulla parodia dei melodrama vittoriani popolati da malvagi baronetti e innocenti fanciulle. Infatti qui ci sono: un briccone che porta via la fanciulla come obbligatorio crimine quotidiano; la pedante povera ma virtuosa eroina; l’eroe mascherato e il suo vecchio fedele seguace che sogna i vecchi giorni di gloria; il marinaio che dice di star seguendo il suo cuore; la ragazza selvaggia e arrabbiata; la vanteria e il patriottismo del mangiatore di fuoco; i fantasmi che tornano in vita a rafforzare una maledizione; un manipolo di damigelle professionali in servizio dalle dieci alle quattordici ogni giorno che però da mesi sono in ozio perché nel villaggio della Cornovaglia di Rederring nessuno si sposa più.

Dal punto di vista musicale Sullivan non rinuncia a parodiare l’amata opera seria, come quando il lamentoso flauto che accompagna l’entrata di Margaret la Pazza non può fare a meno di ricordare la Lucia di Lammermoor.

In rete si trovano numerose produzioni amatoriali: Durham Savoyards (2014), Stanford Savoyards (2013), Hull University Gilbert & Sullivan Society (2015), Halifax Gilbert & Sullivan Society (2015).

Princess Ida

Arthur Sullivan, Princess Ida

Settima delle Savoy Operas, l’unica in tre atti e con i dialoghi in versi, Princess Ida or Castle Adamant debutta al Savoy Theatre il 5 gennaio 1884 e vi viene rappresentata per 246 recite, sotto la media quindi.

Il soggetto è tratto da The Princess di Alfred Tennyson, un narrative poem semiserio. Gilbert ne aveva già fatto una parodia in decasillabi nel 1870 e molte parti del dialogo furono inserite nell’opera che mette in burla il femminismo, l’educazione delle donne e l’evoluzionismo darwiniano, temi in grande discussione nell’Inghilterra vittoriana, in un’ilare variazione su un soggetto medievale (si pensi alla vicenda del Comte Ory).

La principessa Ida sfugge ai suoi obblighi matrimoniali, stabiliti fin dalla sua nascita col principe di un regno vicino, per fondare e gestire un’università femminile in un castello. Il principe Hilarion ha aspettato il giorno delle sue nozze per vent’anni e non intende rinunciarci, perciò si traveste da fanciulla e si introduce nel castello portandosi dietro gli amici Cyril e Florian, anche loro in abiti muliebri. Diverse ragazze scoprono il segreto delle “fanciulle”, segreto che cercano di mantenere celato anche perché si sono innamorate dei giovani, ma Ida scopre l’inganno e fa arrestare gli intrusi. I rapporti fra i due regni allora diventano tesi e si minaccia la guerra. Alla fine ovviamente Ida ammorbidirà le sue pretese e tutti festeggeranno il suo matrimonio con Hilarion.

Princess Ida aveva di fatto rappacificato Sullivan e Gilbert, che nell’estate 1883 avevano rischiato di sciogliere la loro collaborazione per divergenze sui soggetti – sarà solo il primo di una serie di litigi. Il libretto di Princess Ida dava modo a Gilbert di mostrare le sue qualità letterarie e Sullivan lo servì con musiche particolamente raffinate che avvicinano il lavoro al grand opéra per ricchezza armonica e per complessità e quantità dei numeri musicali.

Tra le meno frequentemente allestite, in rete è disponibile la registrazione della produzione della Ocean State Lyric Opera Company, 1997.

The Sorcerer

Arthur Sullivan, The Sorcerer

Gran parte dell’immutabile fascino delle operette di Gilbert e Sullivan è dovuta al fatto che sono datate e che sembrano portare con sé l’innocenza, la freschezza e il divertimento di un’era passata. Ora che è trascorso ben oltre un secolo dalla loro creazione, i manierati dialoghi, con riferimenti a temi e persone che da tempo sono usciti dalla storia, danno loro un valore aggiunto di oggetto d’epoca.

Non sfugge a questa considerazione questo terzo frutto della collaborazione di William Shenk Gilbert e Arthur Sullivan, secondo delle Savoy Operas. The Sorcerer (Lo stregone) debutta sullo Strand di Londra al teatro Opera Comique il 17 novembre 1877, cui seguono 178 repliche, poche se confrontate a quelle dei lavori più fortunati. Per la ripresa del 1884 è approntata una nuova versione, che è quella comunemente messa in scena, come nell’allestimento della University of Michigan G&S Society del 2016 disponibile in rete.

Ampliamento di un suo precedente testo, The Elixir of Love, il libretto mette in scena una pozione magica che però fa innamorare la persona sbagliata, come succede nel Midsummer Night’s Dream scespiriano, per non parlare del Tristan und Isolde. È poi sempre presente la satira sulle classi sociali dell’epoca vittoriana.

Gli abitanti di Ploverleigh festeggiano la festa di fidanzamento di Alexis, figlio ed erede di Sir Marmaduke Pointdextre, con Aline, l’unica ragazza di lignaggio del paese in quanto figlia di Lady Sangazure. Alexis e Aline firmano il contratto di matrimonio, ma Alexis, che comunque ama la sua promessa sposa, non condivide gli antiquati principi di suo padre che solo uomini e donne di rango equivalente dovrebbero sposarsi, senza riguardo a sciocchezze quali i sentimenti. Alexis assume un mago, John Wellington Wells, per provare la sua teoria. Wells crea una magica pozione d’amore che viene somministrata a tutti gli abitanti del villaggio attraverso il tè versato da una grande teiera durante il banchetto. Tutti quelli che lo bevono si addormentano subito, proprio come ha previsto Wells. Quando si svegliano, prevede che ognuno si innamorerà della prima persona che vede. Coloro che sono già sposati ne sono convenientemente immuni. Quando gli abitanti a mezzanotte si risvegliano, si verifica il caos. Il signor Marmaduke si innamora dell’anziana e modesta signora Partlett, sagrestana della chiesa locale; Lady Sangazure si innamora del mago stregone, che spende la maggior parte del secondo atto cercando di eluderne la cattura; anche la fidanzata di Alexis, la bella Aline, beve la pozione e si innamora del vicario del villaggio. L’ordine può essere ripristinato solo dal sacrificio di Alexis o di Mr Wells. Quest’ultimo, scelto per voto popolare, scompare nella terra al suono di un gong e tutto ritorna alla normalità. La gioia generale è accresciuta dal fidanzamento di Sir Marmaduke con Lady Sangazure.

The Sorcerer contiene due tra i migliori personaggi di Gilbert: il sentimentale Dr Daly, che tra l’altro è l’unico religioso presente nelle Savoy Operas, e la stravagante ma alla fine tragica figura di John Wellington Wells.

Con questo lavoro Gilbert e Sullivan smisero di lavorare con grandi attori su cui costruire le parti: da allora preferirono selezionare attori meno conosciuti, ma più malleabili. Gilbert supervisionava l’allestimento delle scene e dei costumi e si occupava anche della regia; Sullivan si occupava direttamente della orchestrazione dei lavori e il risultato finì col portare una ventata di novità nel teatro inglese dell’epoca vittoriana.