Giorgio Pestelli, L’anello di Wagner
2018 Donzelli editore, 272 pagine
Il 1848 è un anno fatale per l’Europa: con i ribaltamenti politici «l’idea stessa di civiltà culturale era stata compromessa in modo irreparabile». Per Wagner a Dresda in quel periodo sembra esserci la condizione per far nascere uno dei maggiori monumenti artistici del secolo: Der Ring des Nibelungen, una saga musicale che occuperà il compositore per quasi trent’anni.
In Francia il mondo teatrale era monopolizzato dal grand opéra, in Italia Rossini aveva chiuso la parabola del belcanto col suo Tell, nei paesi tedeschi prendeva piede l’opera romantica nella forma di Singspiel e qui il mito nibelungico non era una novità: la vicenda di Sigfrido e Brunilde era stata raccontata da Friedrich de La Motte Fouqué in una trilogia del 1808-1810 e da Ernest Raupach in una tragedia del 1834. Nel 1844 poi Friedrich Theodor Vischer in un saggio aveva raccomandato la saga nibelungica come soggetto per una grande opera.
Come sappiamo Wagner inizia allora da La morte di Sigfrido per poi procedere a ritroso nel completare la sua tetralogia.
Il «racconto musicale» de L’anello del Nibelungo è narrato con grande sapienza da Giorgio Pestelli in questo agile volumetto. L’insigne musicologo assume il ruolo di un piacevole divulgatore – ruolo raro nel mondo letterario nostrano essendo più frequente in quello anglosassone – per fornire una guida alla complessità delle quattro opere. Opere che hanno superato il tempo e le mode per la «infallibilità di musicista teatrale, miracolosa capacità di suscitare immagini di natura e spaccati dell’animo umano con la forza dell’invenzione musicale» del suo autore.
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