Simon Boccanegra

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Giuseppe Verdi, Simon Boccanegra

★★★★☆

Parigi, Opéra Bastille, 13 dicembre 2018

(diretta streaming)

Il vascello fantasma di Simon

Vicenda truce e senza speranza quella narrata dal Piave e messa in musica da un Verdi che ritornava a Venezia dopo l’esperienza parigina del suo grand opéra, Les Vêpres siciliennes.

Alla Fenice Simon Boccanegra fu un fiasco «quasi altrettanto grande di quello della Traviata», scrive il compositore. Il pubblico non era preparato a un dramma politico di tono scuro e uniforme, «triste e di affetto monotono» – stavolta le parole sono di Giulio Ricordi – quasi senza risvolti sentimentali. Occorrerà un quarto di secolo e una profonda revisione del libretto da parte di Arrigo Boito perché il lavoro si potesse affermare definitivamente nei teatri.

È la versione del 1881, andata in scena alla Scala il 24 marzo diretta da Franco Faccio, quella che comunemente si ascolta oggi. E quindi è quella concertata da Fabio Luisi per l’Opéra Bastille. La sua lettura è giustamente tenebrosa, ma il maestro non manca di sottolineare, con i fremiti degli archi, gli squarci atmosferici e marini di interludi che, se non si trattasse di quasi un secolo prima, sembrerebbero anticipare quelli del Peter Grimes di Britten.

Eccezionale il cast di interpreti: Ludovic Tézier debutta come Simon in scena dopo averne data una versione memorabile in concerto. Timbro, fraseggio, legati sono magistralmente esibiti dal baritono francese che dimostra ogni volta una maturità espressiva supriore a quella della volta precedente. Autorevole e nobile il Fiesco di Mika Kares, con il suo duetto finale con Tézier uno dei momenti più emozionanti della serata. Parte molto bene nel Prologo Nicola Alaimo, il perfido Paolo, per perdere poi un po’ di incisività. Francesco Demuro non conosce altro che il tono forte e stentoreo ed è un peccato perché col suo bel timbro potrebbe essere un magnifico Adorno e invece finisce per essere insopportabile. Unica donna in tanta maschilità, Amelia trova in Maria Agresta la sensibilità e la vocalità sicura del soprano lucano. Mikhail Timoshenko è un Pietro di lusso.

Maria, la madre di Amelia e la moglie di Simon Boccanegra, è il personaggio chiave dello spettacolo allestito da Calixto Bieito: trascinata in scena ancora viva da Jacopo Fiesco su un telo di plastica, è una delle tante donne che ogni giorno soffrono la violenza dei maschi. Da morta il suo spirito vagherà tra i vivi fino a riprendesi alla fine il Simon avvelenato per invidie e brame di potere. Bieito sfronda la vicenda del contesto storico, concentrando tutto sulla psicologia dei personaggi con un particolare gioco attoriale in cui viene tolta quasi ogni interazione personale. Le figure sono chiuse in sé stesse, monadi in balia del destino, nonostante questa sia un’opera di duetti. Proiezioni video del viso di Simon fanno talora da sfondo, mentre nell’intervallo, che separa le due parti in cui è stata divisa l’opera, un video un po’ macabro se non truculento, di cui non si sentiva il bisogno, dimostra la sotterranea propensione alla provocazione del regista spagnolo, che invece qui questa volta propone uno spettacolo coerente con la psicologia del dramma verdiano.

Unico elemento scenografico è uno scheletro di battello, in demolizione più che in costruzione, il “Vascello fantasma” del corsaro Simon su cui egli salirà un’ultima volta alla morte. Ruotando di 360° la struttura mostra lati diversi del suo interno suggerendo i vari ambienti. Ma non è l’ambientazione che interessa il regista, che fa agire i personaggio sempre al proscenio, con grande vantaggio delle voci.

Momento molto toccante il duetto finale dei vecchi Simon e Fiesco, con il secondo che sostiene tra le braccia il doge morente e come atto d’affetto gli deterge la fronte col suo fazzoletto.

Simon Boccanegra / Verdi / Calixto Bieito