Preußisches Märchen

★★★☆☆

Weill incontra Lehár a Broadway

Nato in Cina nel 1903 – il padre era un banchiere in trasferta di lavoro – Boris Blacher a 19 anni arriva a Berlino per studiare architettura e matematica, ma ben presto emerge la sua passione per la musica e già nel 1925 compone il suo primo lavoro, la colonna sonora per il film muto Bismarck di Ernst Wendt. Ben presto le sue composizioni sono considerata “musica degenerata” dal regime nazista: stile troppo moderno e un nonno ebreo…

Delle sue dodici opere, Preußisches Märchen (Una fiaba prussiana), opera-balletto in sei quadri su libretto di Heinz von Cramer, è la sesta. La vicenda deriva liberamente dalla figura di Wilhelm Voigt, un ciabattino diventato famoso per un’impresa portata a termine nel 1906 in cui, travestito da ufficiale prussiano, aveva preso il controllo del municipio di Köpenick per alcune ore, facendo imprigionare il tesoriere e il sindaco e allontanandosi con parte del tesoro cittadino. La storia aveva già ispirato Carl Zuckmayer per la sua “favola tedesca” Hauptmann Köpenick (Il capitano di Köpenick, 1931) e ispirerà film e spettacoli teatrali – nel 1973 Renato Rascel fu Voigt in una produzione dello Stabile del Friuli-Venezia Giulia mentre Paul Scofield lo fu due anni prima al National Theatre di Londra. Completato nel 1949 il lavoro di Blacher fu messo in scena il 23 settembre 1952 alla Städtischen Opernhaus di Berlino accolta dalle acclamazioni del pubblico e della critica.

Per la prima volta in 20 anni, l’impiegato Wilhelm Fadenkreutz arriva tardi al lavoro negli uffici della Cassa di Risparmio Municipale e viene convocato davanti al borgomastro che però gli conferisce una medaglia dal Kaiser perché ha recentemente portato alla luce un caso di appropriazione indebita, come scrivono i giornali. Poi però Fadenkreutz offende involontariamente Adelaide, la figlia del borgomastro, viene convocato di nuovo ma questa volta licenziato. La sorella di Wilhelm, Auguste, zitella aspetta il suo primo appuntamento con un uomo. Questa volta forse è la volta buona e sua madre e suo padre stanno facendo del loro meglio per assicurarsi che l’individuo interessato, un funzionario pubblico di nome Birkhahn, abbocchi. Wilhelm è determinato a fare bella figura in questo importante incontro per sua sorella e arriva a farsi passare per capitano dell’esercito. Mentre prova un’uniforme da capitano scovata da un rigattiere, nello specchio si confronta con il suo doppio, un ballerino. Nella sala da ballo della Compagnia d’Assicurazioni Antincendio Concordia è messo in scena un dramma di Birkhahn. L’evento sembra andare verso il fiasco quando il “Capitano” Wilhelm salva la situazione applaudendo con entusiasmo. Poi bevendo si lascia andare a considerazioni contro il borgomastro che infiammano gli astanti e quindi si impadronisce della prima pattuglia di soldati che trova per strada per marciare sul municipio e costringe il personale a consegnare la cassa e arrestare il borgomastro, ma all’ultimo momento viene riconosciuto e viene chiamata la polizia. Il borgomastro, su consiglio della moglie di mettere tutto a tacere, li rimanda via e spiega che tutta la faccenda è stata una mascherata: il capitano è un semplice impiegato e Fadenkreutz riprende il suo posto di scrivano. Un coro canta la morale finale: «Se l’occhio non vede, nessuno si duole. Soltanto ciò che la gente vede con i propri occhi è vero e certamente accaduto. […] L’uomo perbene deve pensare poco, guidare in silenzio i suoi passi. Chi si distoglie dalla retta via pensi solo a non finire sul giornale».

L’originale “capitano di Köpenick” ebbe l’opinione pubblica a sua favore e il Kaiser stesso (Guglielmo II), che gli concesse la grazia prima che avesse scontato la pena, fu divertito dall’incidente e definì Voigt un «amabile mascalzone». Voigt vide la sua effigie al Museo delle Cere di Berlino e una sua statua in bronzo veglia all’ingresso del municipio di Köpenick. Deciso a sfruttare la sua fama, interpretò sé stesso in una commedia rappresentata in piccoli teatri tedeschi, cabaret, ristoranti e parchi di divertimento a Vienna e a Budapest. Dopo la pubblicazione del suo libro Come diventai il Capitano di Köpenick, che ebbe un discreto successo, Voigt si imbarcò per un tour nel Nuovo Mondo. Una sua statua in cera è ancora  oggi esposta al Madame Tussaud di Londra.

La stampa inglese aveva trovato fin da subito motivi di divertimento nell’evento, vedendolo come una conferma degli stereotipi sul popolo tedesco e la sua reverenza per l’onnipotenza del militarismo, il cui simbolo più sacro è l’uniforme. Anche Blacher e von Cramer prendono spunto da questa vicenda da “operetta” per un lavoro ironico che diventa la versione comica di Hauptmann Köpenick e che ha i suoi tratti salienti nel testo arguto e nella musica irriverente. Mentre il libretto gioca con la lingua (dove “Formen” fa rima con “enormen”, riferito alle rotondità anatomiche della figlia del borgomastro), la partitura saccheggia temi popolari, marcette e arriva a utilizzare un accompagnamento di semplici scale tonali (un famigerato studio pianistico di  Czerny) per la scena del rigattiere. Che poi papà Fadenkreutz sia un soprano e la madre un basso conferma le intenzioni satiriche dell’autore. Ecco, forse nel 1950 siamo fuori tempo per prendere in giro la Prussia di fine secolo e la Germania ha ben altri problemi. Non è facile trovare molti spunti di attualità nel militarismo e nella venerazione all’uniforme in quei tempi o in quelli in cui viene registrata la messa in scena di Preußisches Märchen quale film-opera com’era usanza all’epoca, ossia nel 1974: dopo le recite alla Deutsche Oper ci si spostava negli studi televisivi della SFB (Sender Freies Berlin) per le riprese.

Winfried Bauernfeind si occupa dell’ironicamente realistica messa in scena e Caspar Richter interpreta una partitura che molto deve a Stravinskij, a Weill, all’operetta e al musical americano. L’efficace cast è capeggiato dal Fadenkreutz di Manfred Röhrl, mentre le coreografie sono firmate da Helmut Baumann.

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