Il palazzo incantato

Luigi Rossi, Il palazzo incantato

★★★★☆

Digione, Grand Théâtre, 5 dicembre 2020

bandiera francese.jpg Ici la version française

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La pandemia non ferma la riproposizione di rari capolavori del passato. In Francia.

Roma, Teatro delle Quattro Fontane, Palazzo Barberini, 22 febbraio 1642. Il “virtuoso da camera” Luigi Rossi, già al soldo per un ventennio del principe Marco Antonio Borghese e autore di centinaia di cantate da chiesa, presenta la sua prima opera, una sontuosa “attione in musica”: Il palazzo incantato o vero La guerriera amante in un prologo e tre atti.

Nel cast, rigorosamente tutto maschile, domina il famoso castrato Marc’Antonio Pasqualini. Domina talmente che gli spettatori lamentano che «non si sentiva mai altri che il Signor Marc’Antonio, il popolo non ne poteva più, ben che sia superiore a tutti nell’arte». Per di più le costosissime macchine dello spettacolare apparato scenografico ideato da Andrea Sacchi e dipinto da Filippo Gagliardi – Astolfo che entra in scena a cavallo dell’ippogrifo; Angelica che scompare in virtù dell’anello magico; Atlante che si trasforma prima in un gigante, poi nel falso Ruggiero, e il palazzo che svanisce al termine dell’opera – non funzionarono come era previsto e l’opera fu giudicata «longa e lacrimevole». Ma fu comunque un successo di cui si parlò in tutta Europa. Ed è sulla fama de Il palazzo incantato che Rossi ebbe l’incarico da Mazzarino dell’Orfeo, l’altra sua opera.

Ispirato al canto XII dell’Orlando furioso, il libretto di Giulio Rospigliosi, il librettista de Il Sant’Alessio del Landi e futuro papa Clemente IX, narra della vicenda di Angelica imprigionata nel palazzo di Atlante, un labirinto dove i cavalieri rimangono intrappolati in un meccanismo di specchi e immagini inafferrabili.

Nel prologo la Pittura, la Poesia, la Musica e la Magia si interrogano su quale delle quattro arti sia la più valida. La risposta viene affidata alle vicende che narrano il valore di Ruggiero.
Atto I. Il mago Atlante ha edificato un palazzo incantato in cui, tra ampie stanze, lunghi scaloni e deliziosi loggiati, si aggirano le dame e i cavalieri, qui attirati per effetto di uno strano sortilegio, alla ricerca di amici e amori perduti. Giungono Orlando, Ferraù e Sacripante, tutti all’inseguimento di Angelica. Giungono anche Marfisa e l’ardimentosa Bradamante, la quale spera di incontrare e di liberare l’amato Ruggiero. Questi, con l’intento di incontrare Bradamante, si imbatte invece in Angelica. Mentre i personaggi perseguono nella loro sospirosa ricerca e Bradamante, sentendosi tradita, si infuria contro l’amato, un coro di fantasmi commenta i giochi ingannevoli dell’amore.
Atto II. Bradamante sta meditando di uccidere Ruggiero quando, grazie a un intervento di Atlante che fa pervenire ad Angelica un ritratto di Medoro, la gelosia dell’eroina si placa. L’arrivo inaspettato e inopportuno di Astolfo costringe il mago a modificare i suoi piani. Atlante neutralizza Astolfo facendo in modo che tutti lo considerino come un pericoloso avversario da eliminare.
Atto III. Tuttavia non la presenza di Astolfo, ma il valore di Ruggiero riuscirà a rompere l’incantesimo. Infatti, per ostacolare l’unione fra i due amanti finalmente ricongiunti, Atlante si trasforma in un falso Ruggiero; di fronte alla proposta di battersi in duello con il vero Ruggiero, il mago è però costretto ad arrendersi. Il potere dell’amore ha vinto sulle arti magiche; dame e cavalieri si ritrovano e il palazzo svanisce.

Negli ultimi anni non sono mancate rappresentazioni de Il palazzo incantato: Teatro comunale di Foggia (1998), Théâtre de Poissy (2008); Ludwigsburger Schlossfestspiele (2011, con l’Arpeggiata e la messa in scena di Mimmo Cuticchio). Ora è la volta dell’Opéra de Dijon che con le sue scelte artistiche innovative è diventato uno dei grandi teatri d’opera francesi, tanto da essere considerato Théâtre Lyrique d’Intérêt National.

Esattamente vent’anni dopo aver scoperto il manoscritto alla Biblioteca Vaticana, quando fu folgorato dalla ricchezza della sua musica, alla guida della Cappella Mediterranea il direttore argentino affronta la non semplice impresa di presentare a un pubblico moderno la più grande opera di corte mai vista in Italia, un’opera che originariamente durava sette ore, con un testo di quasi ottocento versi. Nonostante i tagli, si superano le tre ore e mezza di un recitar cantando in cui non mancano certo pagine magistrali di grande bellezza e intensità espressiva, ma in cui in generale la musica evita i contrasti violenti delle opposte passioni determinando una certa uniformità di tono che rimane pervaso da un unico sentimento di soffusa e languida malinconia.

Alarcón non si lascia scoraggiare dalla difficoltà e tiene con entusiasmo le redini di questa mastodontica impresa riuscendo a mettere insieme un cast sterminato e di qualità. L’estremamente complesso apparato musicale, con diciotto cantanti in 24 ruoli diversi, doppi cori a sei, otto e dieci voci e un triplo coro conclusivo a dodici voci, è presentato con una grande ricchezza di colori strumentali. Il flusso di recitar cantando su un robusto basso continuo è suddiviso in ben 40 diverse scene ed è punteggiato da momenti di più florida vocalità su vivaci ritmi di danza. Sinfonie strumentali e tre grandiosi finali con cori completano la musica di questo proto-grand’opéra. Ne Il palazzo incantato si trova poi il primo duetto d’amore del melodramma, quello che apre il terzo atto, «Se spiegando Amore i vanni» tra Bradamante e Ruggiero, e che anticipa di otto mesi il celebrato «Pur ti miro» dell’Incoronazione di Poppea. Francesco Barberini, egli stesso cardinale, avrebbe voluto che fosse una coppia formata da un uomo e una donna a cantare questo pezzo, ma non fu assolutamente possibile permettere che una donna calcasse la scena di un teatro romano e così furono un castrato e un tenore. Il duetto fece comunque stupore e scandalo.

L’allestimento di Digione porta la firma di Fabrice Murgia, attore e regista belga trentasettenne. Questa è la sua prima vera produzione operistica, la più impegnativa di certo. Murgia riesce a portare sulla scena lirica la sua grande sensibilità di attore di teatro nella recitazione di cantanti non sempre ricettivi alle esigenze teatrali. Qui invece riesce nel miracolo grazie anche a un cast di giovani interpreti.

Complessa la scenografia ideata da Vincent Lemaire per il lungo primo atto. Il palcoscenico è diviso in altezza in due livelli: al piano inferiore sezioni che ruotano per creare in continuazione nuovi ambienti – le stanze di un albergo, le celle di un carcere, l’interno di un ascensore, la lounge di un aeroporto… –– con un effetto molto cinematografico; al piano superiore una serie di porte numerate, come quelle di un albergo/bordello, ma più spesso uno schermo su cui vengono proiettate le immagine riprese dalle telecamere mobili, non una novità nel mondo dell’opera moderna, ma comunque efficaci. L’aspetto labirintico del palazzo d’Atlante è molto ben reso dal continuo mutare degli ambienti, addirittura vorticoso nel finale del primo atto con tutti i personaggi che si cercano l’un l’altro mentre il coro intona solenne e doloroso «Oh, quanto è duro il non trovar, chi s’ama!». Minimale invece il secondo atto, un vuoto nero che inghiotte i personaggi, e luminoso il terzo, con una tenda a fili che scende dall’alto. A questo punto l’impianto scenografico è un po’ deludente rispetto a quanto visto prima: la scomparsa del castello nel finale, che era stata lo spettacolare punto di forza della prima a Palazzo Barberini, qui neppure avviene. Due ballerini si incaricano dei moderni movimenti di krump – già visti nel memorabile Les Indes galantes all’Opéra Bastille anche quello diretto da Alarcón – per contrappuntare il bellissimo «Di cupido entro alla reggia» delle Ninfe, e poi nel finale.

Nella lettura di Fabrice Murgia manca del tutto l’elemento fantastico, gli ambienti sono crudemente realisticie manca pure la finzione data dai ruoli en travesti dei castrati: qui gli uomini sono cantanti maschi e i personaggi femminili tutti soprani. Le lunghe prove hanno portato alla naturalezza degli interpreti quasi tutti stranieri ma con dizione mediamente accettabile. A livello di eccellenza sono i cinque soprani: Adriana Vendittelli, intensa Angelica; Deanna Breiwick, la Pittura del Prologo e l’“amante guerriera” Bradamante; Lucía Martín-Cartón, la Musica e Olimpia; Mariana Flores, la Magia, Marfisa e Doralice; Gwendoline Blondeel, la Poesia e Fiordiligi. Ottimi anche i tenori Victor Sicard, Orlando; Fabio Trümpy, Ruggiero; Valerio Contaldo, Ferraù e Astolfo; Mark Milhofer, autorevole Atlante. Poco controllato vocalmente invece l’Alceste di André Lacerda. Non sempre a loro agio nella tessitura richiesta i bassi Grigory Soloviov (Gigante, Sacripante e Gradasso) e Alexander Miminoshvili (Mandricardo). Un controtenore, Kacper Szelążek, copre le parti del Nano e di Prasildo. Il coro è in platea, debitamente distanziato e con la mascherina.

Le repliche previste sono state cancellate a causa delle restrizioni sanitarie, ma una recita è stata fortunatamente registrata e messa a disposizione da OperaVision.