Il Sant’Alessio

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«Roma 1632. È un’epoca splendida per la capitale del cattolicesimo, dopo un allarme che ha seminato il panico. Sotto l’assalto dei riformatori protestanti che denunciavano la corruzione che regnava in Vaticano e predicavano il ritorno alla Bibbia, alla preghiera, alla vera fede, la Chiesa Romana era in crisi in tutta l’Europa. Se non avesse rapidamente reagito avrebbe ceduto davanti agli emuli di Lutero e Calvino, si sarebbe estinta, soffocata negli scandali e nei nepotismi del papa, nella distribuzione di prebende, nella consacrazione di imberbi cardinali quindicenni. La reazione fu una grande operazione strategica da parte dei gesuiti: la creazione di un’arte così ricca, sfarzosa ed eloquente per ridare lustro a una religione svilita, meravigliare il popolo polverizzandone le resistenze, e ristabilire il prestigio della Santa Sede».

Ecco, secondo le parole di Dominique Fernandez, il ruolo dell’arte barocca nel non far perdere terreno al Cattolicesimo – assieme a torture e roghi di eretici in piazza per riuscire più convincenti. Se i protestanti del nord facevano propria l’austerità, la mancanza di decorazione delle chiese e il silenzio, la cattolicità romana all’opposto riempiva i luoghi di culto di una vertigine decorativa inedita: statue e tele di una bellezza sorprendente, lussureggiante, di una sensualità carica di erotismo, di angeli di un’androginia conturbante, di movimenti di gambe e di drappeggi su nudità provocanti. Lo stupire con il fasto di curve e controcurve, di linee instabili, di un edonismo che prende non con la ragione, bensì con i sensi, stordisce col piacere. Questo è anche il programma della musica della Controriforma che nell’oratorio, l’“opera religiosa” per eccellenza, trova il suo massimo punto di espressione fin dalla prima Rappresentazione di Anima e di Corpo (1600) del Cavalieri.

Compositore, arpista e cantore al servizio di Sua Santità, Stefano Landi è, assieme al Bernini, uno degli artisti preposti a ridare lustro alla Chiesa di Roma. Il dramma musicale in tre atti Il Sant’Alessio su libretto di Giulio Rospigliosi (futuro papa Clemente IX) entra a pieno titolo in questa visione. L’opera fece il suo debutto prima l’8 marzo 1631 nel teatro del palazzo ai Giubbonari messo a disposizione dal Barberini, papa Urbano VIII, e ripreso poi l’anno successivo per l’inaugurazione del palazzo Barberini alle Quattro Fontane e in onore del principe di Eggenberg alleato del papa nella guerra dei Trent’Anni. La ripresa del 1634 fu invece in onore del fratello del re di Polonia, altro alleato del papa. È in questa occasione che furono pubblicati la partitura e il libretto.

La distribuzione vocale completamente maschile ottemperava ai decreti papali che non ammettevano le donne a cantare in chiesa e in teatro. Alla prima esecuzione metà dei cantanti provenivano dal coro papale e le parti femminili erano cantate da castrati.

Il Sant’Alessio è tra le prime opere scritte su un soggetto storico e non mitologico e nel descrivere minuziosamente la vita interiore del santo il Rospigliosi tenta una caratterizzazione psicologica di tipo nuovo nell’ambito del teatro d’opera. Molte delle scene comiche sono anacronisticamente tratte dalla vita romana del XVII secolo, pur trattando di una vicenda del V secolo nella Roma che passa dal culto pagano a quello cristiano.

Figlio di un senatore e rampollo di una nobile famiglia romana, Alessio il giorno del suo matrimonio si congeda dalla sposa dicendo di volersi mettere al servizio di Dio. Dopo anni ritorna e vive in incognito come l’ultimo dei servi per altri anni, nemmeno la famiglia lo riconosce. Solo in punto di morte si svela, lasciando una lettera che racconta la storia della sua vita.

«Il testo di Rospigliosi si allontana dall’aura di serena e rarefatta classicità della maggior parte dei precedenti libretti mitologico-pastorali e riassume la commistione di stili propria del teatro sacro. […] Ai lamenti patetici, ai racconti, ai cori sentenziosi, che definiscono il livello alto e sublime, si affiancano le facezie dei paggi e i cori infernali, come livello umile, grottesco e le effusioni liriche di Alessio come livello medio. […] Per una funzione di contrasto o di contrappunto ironico, anche nei momenti di maggior drammaticità, sono introdotti personaggi di rango inferiore: al paggio Marzio si era aggiunto Curzio nella versione del 1634, segno del successo riscosso da quello. Anche il demonio si concede una scena comica, ma sono i due paggi a potere essere considerati a pieno titolo i primi personaggi buffi in un libretto d’opera. […] Di gran lusso è la parte corale infarcita di ritornelli strumentali ed episodi solistici. Oltre alla sinfonia iniziale, due sinfonie particolarmente accurate nella scrittura introducono il secondo e il terzo [atto]. Sontuosa è l’organizzazione della scena finale con i cori d’angeli (prima a quattro, poi a otto voci) intercalato dai ritornelli funzionali al ballo delle virtù». (Marco Emanuele)

Nel Sant’Alessio Landi impiega la forma della canzona con funzione di sinfonia, mentre danze e sezioni comiche si alternano ad arie serie, recitativi e ad un lamento in forma di madrigale, ciò che conferisce all’opera quella varietà drammatica che contribuì a suo tempo al successo, come testimoniano le frequenti esecuzioni negli anni successivi alla prima. Fu anche la prima opera drammatica a mescolare con successo gli stili monodici e polifonici.

La proposizione di un’opera come questa sarebbe stata un’operazione impensabile anche solo venti anni fa, ma ora lo permette la qualità e quantità attualmente a disposizione di interpreti della nuova scuola di falsettisti specializzati nella prassi della musica antica. Si tratta comunque di un’operazione realizzabile comunque soltanto oltralpe: l’Italia è quel paese in cui non si fa la musica italiana del XVII e XVIII secolo perché le parole controtenore o falsettista qui provocano un sorrisetto di imbarazzo se non addirittura una smorfia di disgusto.

Questa è un’altra delle riscoperte di quell’infaticabile giovane ultrasettantenne che è William Christie. Con la sua sapienza, sagacia ed entusiasmo il maestro franco-statunitense porta alla luce un’importante pietra miliare della storia del teatro in musica.

Registrato nell’ottobre 2007 al teatro di Caen con l’Orchestre des Arts Florissants e la messa in scena di Benjamin Lazar e Louise Moaty, questo Sant’Alessio dispone di interpreti d’eccezione. Jaroussky nel breve ruolo del santo (compare cantando solo alla fine della prima parte e nel terzo atto è già morto) e Cenčić (la sposa abbandonata) fanno a gara per purezza di emissione e sensibilità interpretativa, ma anche gli altri si distinguono per proprietà vocale e musicalità. Assieme rappresentano le varie scuole di falsettisti: Xavier Sabata (la madre, Spagna), Damien Guillon, Pascal Bertin, Jean-Paul Bonnevalle (Francia), José Lemos (Brasile), Terry Wey (Svizzera), Ryland Angel (Gran Bretagna). In questo elenco spicca la mancanza di un italiano, quello che avrebbe la dizione più adatta tra tante più o meno storpiate. Ruoli importanti sono qui quello del padre e del demonio, affidati a due ottimi interpreti, i bassi Alain Buet e Luigi de Donato, finalmente un italiano. Grandioso il coro de la Maîtrise de Caen con le sue disciplinate voci bianche, efficaci anche scenicamente.

I meravigliosi costumi da ricco presepe napoletano (anche i gesti delle mani ripropongono quelli delle statuine settecentesche) di Alain Blanchot e l’illuminazione affidata alle sole candele (la tecnica di ripresa video ha fatto miracoli in questo caso) assieme ai tre elementi scenografici rinascimentali semoventi in legno (che si rifanno all’incisione che accompagnava la ripresa dell’opera a Bologna nel 1647) ricreano immagini di grande suggestione attinte da secoli di pittura italiana: da quella gotica, con i suoi fondi oro, a quella rinascimentale al barocco di Pietro da Cortona.

Le quasi tre ore di spettacolo sono ripartite su due DVD che contengono come extra varie interviste di cui quella con Christie è particolarmente illuminante.

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