Il matrimonio segreto

Domenico Cimarosa, Il matrimonio segreto

Parma, Teatro Regio, 17 febbraio 2023

★★★☆☆

(video streaming)

Matrimonio a Brooklyn

Ci sono opere che si avvantaggiano di una ambientazione scenica contemporanea. Una di queste è sicuramente Il matrimonio segreto, che perde quella vernice settecentesca che può risultare stucchevole quando non si tratta di Mozart, acquistando in sapidità e freschezza. Lo aveva già fatto Pier Luigi Pizzi con la sua produzione ipermodernista, ci riprova Roberto Catalano al Regio di Parma, teatro da cui il lavoro di Cimarosa mancava da oltre sessant’anni.

All’inizio una veduta classica di Napoli è ammirata con nostalgia su una grande tenda che però Fidalma strappa e dietro appare la New York stilizzata dei film americani degli anni ’50, quella di Singin’ in the Rain. Qui Carolina è la figlia minore di Geronimo, pasticcere napoletano proprietario di un locale di Brooklyn frequentato dalle celebrità del tempo. La ragazza sogna di diventare un giorno ballerina in un musical e danzare con il suo idolo e nume ispiratore, Gene Kelly. Nella scenografia di Emanuele Sinisi una specie di scatola di cioccolatini aperta diventa l’elegante pasticceria con la parete colma dei pacchetti griffati col logo della Geronimo & Co.: un babà, la punta di diamante della sua produzione. Come nei costumi di Ilaria Ariemme qui dominano le tinte pastello, il rosa, l’azzurro, ma lo skyline stilizzato della città è invece tricolore: il sogno americano di Geronimo che ambisce a creare un impero industriale con i soldi di un matrimonio fortunato per la figlia Carolina, la quale però ama Paolino, il ragazzo delle consegne, che ha sposato in segreto. 

La storia è coerentemente narrata da Catalano che dipinge con abilità il vivace ambiente e muove bene i personaggi. Nella movimentata schiera di mimi e ballerini in veste di camerieri, turisti, clienti c’è pure una vecchietta con cagnolino: è Gene Kelly travestito per sfuggire ai  paparazzi, mentre un povero wedding planner è vittima delle frustrazioni di una dispettosa Elisetta.

Il direttore Davide Lievi imposta un ritmo rilassato alla musica, che se da un lato ci fa gustare meglio la parola, dall’altra non riesce a sfuggire a quel vago senso di noia di fronte a questo lavoro tanto osannato. Poteva poi fare a meno di certe cadute nelle caccole dei cantanti, nei gridolini, nelle battutine non previste dal libretto, elementi espressivi da tempo fuori stile. L’orchestra Cupiditas (nome scelto per il “desiderio ardente” di suonare insieme), formata da settanta giovani diplomati e non dai 14 ai 25 anni, assieme a prevedibili acerbità arriva comunque a una esecuzione coordinata. 

Nella patria di Verdi, il teatro settecentesco è forse meno preso sul serio e si sceglie una compagnia di giovanissimi per un cast in cui il maggior pregio è il gioco di squadra, ma si rivelano anche piacevoli sorprese, come il bel timbro di Giulia Mazzola (Carolina), la chiara linea vocale di Antonio Mandrillo (Paolino), il fraseggio e la dizione di Francesco Leone (Geronimo), l’eleganza di Jan Antem (Conte, forse il migliore di tutti), la caratterizzazione di Veta Pilipenko (Fidalma), le agilità di Marilena Ruta (Elisetta).

 

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