Le nozze di Figaro

foto @ Mattia Gaido

Wolfgang Amadeus Mozart, Le nozze di Figaro

Torino, Teatro Regio, 23 novembre 2024

★★★★☆

Inaugurazione in controtendenza del Regio Torinese

Nel 1775 il geniale inventore Abraham-Louis Breguet apriva a Parigi la sua manifattura di orologi. Nello stesso periodo Pierre Jacquet-Droz e figli costruivano delle bambole che, sotto abiti preziosi, celavano complicati e ingegnosi meccanismi per riprodurre i movimenti di uno scrivano, di un disegnatore e di una suonatrice di clavicembalo. Automi che oggi si possono ammirare al museo di Neuchâtel. Nella seconda metà del Settecento è evidente una vera e propria infatuazione per i congegni meccanici precisi e complessi.

Un congegno altrettanto infallibile è quello del teatro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais – figlio lui stesso di un orologiaio – e in particolare de La folle journée, ou Le mariage de Figaro, che Lorenzo da Ponte tradusse in libretto dopo che la commedia, andata in scena a Parigi dopo innumerevoli ritardi e divieti, a Vienna era stata censurata. È dunque un testo di scottante attualità quello che Mozart mette in musica nel 1786 e anche se ridimensionano gli elementi di critica sociale presenti nell’originale francese, Da Ponte e Mozart inseriscono momenti in cui è evidente lo scontro tra classi: «Se vuol ballare, signor contino» è un esplicito dileggio, sulle note sarcastiche di un minuetto, di Figaro nei confronti del personaggio di casta superiore.

Il fatto che dietro Le nozze di Figaro ci siano tre tra i maggiori genii di teatro di tutti i tempi non poteva che rendere questo un capolavoro assoluto, il vertice massimo nel genere buffo settecentesco. Un titolo frequentemente inserito nei cartelloni dei teatri italiani, che però per la inaugurazione della loro stagione, dopo l’indigestione pucciniana, preferiscono puntare su Verdi – come fanno infatti quest’anno il Teatro alla Scala (La forza del destino), La Fenice (Otello), l’Opera di Roma (Simon Boccanegra), il Maggio Musicale Fiorentino (La traviata), il Regio di Parma (Giovanna d’Arco) – non il Regio di Torino però, che non solo preferisce Mozart, ma ne affida l’esecuzione a un direttore giovane e poco conosciuto, Leonardo Sini. Nato a Sassari 34 anni fa e con una carriera già consolidata, Sini affronta la partitura con passo spedito e trascina gli eventi in una corsa dal ritmo incalzante. Buono l’equilibrio tra buca e palcoscenico con solo un piccolo scollamento tra orchestra e cantanti nel terzo atto che verrà sicuramente risolto nelle repliche. Il tono brillante dell’orchestra si ritrova nel colore ispanico di alcune pagine come il fandango con le castagnette suonate dai ballerini nella coreografia di Nuria Castejon. Sono salve però le oasi liriche, quando sui personaggi scende per un momento una nebbia malinconica o nel finale quando il perdono della Contessa, dopo le traversie incontrate nel corso della folle journée, sembra elargito a tutta quanta l’umanità.

Il cast è abbastanza omogeneo senza punte di particolare eccellenza. Il Figaro di Giorgio Caoduro si fa ammirare sia nei recitativi sia nei momenti più cantabili, dove l’eleganza del fraseggio predomina sulla vivacità del personaggio che risulta delineato con sobrietà. Lo stesso si può dire per il Conte di Vito Priante, dalla recitazione asciutta e dalla espressione vocale precisa e nobile. Una sostituzione dell’ultimo momento è quella di Monica Conesa con Ruzan Mantashyan che acquista il portamento sontuoso della Contessa ma vocalmente il soprano armeno delude in parte per un legato non impeccabile nelle sue grandi arie e acuti non limpidissimi. Meglio lo stile della Susanna di Giulia Semenzato che, se non la sensualità del personaggio, regala delle belle variazioni. Delizioso il Cherubino di Josè Maria Lo Monaco, mezzosoprano catanese dal bel timbro e dai rapinosi passaggi a mezza voce. Ben definiti sono la Marcellina di Chiara Tirotta, il Bartolo di Andrea Concetti e il Basilio di Juan José Medina, allievo del Regio Ensemble. Un eccesso di caratterizzazione quello del Don Curzio di Cristiano Olivieri a cui la regia impone una balbuzie da avanspettacolo. Scenicamente più sviluppata del solito è la parte del giardiniere Antonio, qui il sostanzioso Janusz Nosek del Regio Ensemble. Magico come sempre il momento di Barbarina affidata a un’altra allieva del Regio Ensemble, l’incantevole Albina Tonkikh. Affidabile come sempre il coro istruito da Ulisse Trabacchin, dal quale si staccano le vivaci contadine di Eugenia Braynova e Daniela Valdenassi.

Di Emilio Sagi, direttore che ha spesso frequentato il genere spagnolo per eccellenza, ossia la zarzuela, ricordo il suo vivacissimo Barbiere di Siviglia rossiniano, dove alla fine i due innamorati volavano via in mongolfiera. Ora ne Le nozze di Figaro il Conte e Rosina sono scesi da tempo dalla mongolfiera, sono più maturi, in parte disillusi, soprattutto la ragazza diventata Contessa, che deve fare i conti con l’età e con le intemperanze del marito. Nella sua lettura Sagi stempera i motivi di critica sociale per esaltare invece l’aspetto ludico ed erotico da commedia di equivoci e intrighi amorosi. Il regista, che è stato Direttore Artistico del Teatro de la Zarzuela e poi del Teatro Real di Madrid (ed è da qui che arriva questa produzione de Le nozze) sottolinea l’elemento “Siviglia” nel suo allestimento: non solo le sue architetture tipiche nelle scenografie di Daniel Bianco e nei costumi di Renata Schussheim, ma anche il sole della città andalusa, che inonda il patio del palazzo del Conte, in cui avvengono le controscene in secondo piano, o che risveglia la Contessa quando Susanna scosta le tende delle due grandi finestre. A questo proposito, nella sua accurata regia Sagi si lascia andare a qualche errore drammaturgico: non è infatti pensabile che la Contessa appena risvegliata intoni «Porgi, amor, qualche ristoro al mio duolo, a’ miei sospir» come prima cosa. Altro errore nel primo atto, proprio all’inizio, quando Figaro misura non la stanza bensì il letto già posizionato in un ambiente di per sé vastissimo. Non un errore ma un momento che poteva essere meglio rappresentato quello della tirata di Figaro contro le donne: il testo di Da Ponte compensa l’attenuata carica sociale con una misoginia tipica del suo tempo ma che suona fastidiosa alle nostre orecchie. Non dico eliminarla in omaggio a un imperversante atteggiamento politically correct, ma c’era modo di “virgolettarlo” senza renderlo ancora più palese con Figaro al proscenio e le luci accese in sala.

Un sipario dipinto a drappi rossi bordati d’oro separa e mostra in trasparenza i diversi quadri dell’opera. Le scenografie vagamente strehleriane nelle dimensioni e nei colori sono illuminate dalle belle luci di Eduardo Bravo mentre particolarmente riuscito è l’allestimento del terzo atto, con il salone scandito da archi e colonne, e del patio del finale, ricco di vasi, piante, fiori e una fontana. Un suggestivo panorama notturno su cui si alza una grande luna piena. Attento è il gioco registico, ma sempre sobrio e affidato alle competenze attoriali degli interpreti.

Molto felice l’esito della serata con applausi intensi e prolungati soprattutto per Susanna, Cherubino e il direttore. Con questo spettacolo, dopo il felice progetto delle tre Manon, parte ufficialmente la stagione del Regio, intitolata “La meglio gioventù”, come il film di Giordana, dedicata ai diversi aspetti della gioventù che fanno da fil rouge nella scelta dei titoli. Infatti dopo la parentesi ballettistica, di prammatica nel periodo natalizio, il cartellone riprenderà a fine gennaio con L’elisir d’amore, un’altra vicenda di amori giovanili.