Il turco in Italia

Gioachino Rossini, Il turco in Italia

Rimini, Teatro Amintore Galli, 15 novembre 2024

★★★★☆

(video streaming)

Giallo gelosia

Prima di Amazon c’era Postal Market che esaudiva i bisogni consumistici dell’Italia del boom: bastava scegliere da un poderoso catalogo e per posta arrivavano a casa i prodotti tanto ambiti.

È appunto nell’epoca del Carosello che il regista Roberto Catalano ambienta la vicenda di Fiorilla e Geronio, coppia in crisi per la routine del rapporto matrimoniale. Routine interrotta solo dall’arrivo di caffettiere ed elettrodomestici, per riempire il vuoto esistenziale della moglie, e dei dolci che soddisfano invece il marito, qui più goloso che geloso. Uno scossone a questa relazione coniugale è dato dall’arrivo di Selim, fascinoso turco sfuggito dal suo harem per trovare un frisson erotico qui in Italia, dove «l’aria, il suolo, i fiori e l’onde, | tutto ride e parla al cor».

Nella coproduzione de Il turco in Italia dei teatri di Rovigo, Ravenna, Jesi, Pisa, Rimini e Novara, ora all’Amintore Galli, le scene di Guido Buganza e i costumi, azzeccatissimi, di Ilaria Ariemme hanno come nota cromatica predominante il giallo acido negli abiti dei coniugi, negli arredi e nelle suppellettili immersi in un involucro blu che, come nel blue screen cinematografico dell’effetto chroma-key, quasi sparisce evidenziando solo gli oggetti gialli. In blu sono Zaida e gli zingari, fattorini in tuta da metalmeccanico. In nero sono invece Prosdocimo, il trascrittore degli avvenimenti, e il Turco. Quattro gemelle Kessler in piume e lustrini danno al tutto il tono da varietà televisivo di prima serata dell’epoca.

I sentimenti sono inconsistenti, vuole dirci Catalano: anche l’“amore vero” ha la volatilità di un profumo e lo scambio di merci del frenetico via vai di fattorini è ispirato dallo scambio di mogli suggerito dal libretto. La chiave di lettura del regista, col suo tocco vivace e leggero, si adatta bene alla vicenda che sembra voler ribaltare quella dell’opera precedente di Rossini, L’italiana in Algeri.

Nelle due recite riminesi si alternano due Fiorille: Giuliana Gianfaldoni ed Elena Galitskaya. Il 15 novembre è la volta del soprano russo, che ora vive tra Francia e Italia, di dar prova di vivacità ben centrando la fatuità del personaggio. Qualche acuto è un po’ stridulo, ma il fraseggio è variegato, perfetta la dizione ed efficace la presenza scenica. Il marito Geronio trova in Fabio Capitanucci un interprete di solida vocalità esibita anche nell’aria spesso sacrificata del secondo atto «Se ho da dirla, avrei molto piacere» in cui il baritono mostra l’aspetto meno remissivo del personaggio. Elegante, senza alcuna punta di caricatura, il Selim di Nahuel Di Pierro, forse fin troppo trattenuto ma di gran bella voce. Non convince vocalmente invece Bruno Taddia che punta principalmente sulle sue doti attoriali, trasformando il poeta Prosdocimo in una figura espressionista, quasi il Pegleg di The Black Rider. Efficace il Don Narciso di Francesco Brito, ma certo non per le doti vocali, mentre apprezzabili sono la Zaida di Francesca Cucuzza e l’Albazar di Antonio Garés, privato comunque dell’aria di sorbetto apocrifa del secondo atto. Non sempre preciso il Coro Lirico Veneto istruito da Alberto Pelosin mentre Hossein Pishkar a capo di un’orchestra, la Luigi Cherubini, volenterosa più che virtuosa, riesce comunque a tenere saldamente le redini e a rendere felicemente la partitura.