Invisible Man (2001)
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Jeff Wall, Photographs
Torino, Gallerie d’Italia, 26 novembre 2025
Il brivido del dettaglio: dentro le “poesie in prosa” di Jeff Wall
La fotografia di Jeff Wall è stata definita in molti modi – “letteraria”, “pittorica”, “cinematografica” – e non a torto. L’ampia esposizione alle Gallerie d’Italia di Torino, dedicata all’artista canadese nato nel 1946, mostra con chiarezza le molte anime del suo lavoro attraverso ventisette opere, alcune in formato così vasto da diventare quasi ambienti. La figura umana, spesso a grandezza naturale, è la protagonista incontestata del suo universo visivo, il centro fisso attorno a cui ruotano costruzioni narrative, osservazioni sociologiche e riflessioni sulla rappresentazione.
Informant (2023)
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La componente letteraria, in particolare, si rivela nel carattere descrittivo della fotografia: un medium che, come la scrittura, racconta. Lo si avverte in Informant (2023), dove una giovane in camice bianco chiama la polizia. Il titolo, quasi una didascalia espansa, chiarisce che la scena cita il «sesto capitolo, parte terza» di Últimas tardes con Teresa di Juan Marsé, momento in cui la farmacista Hortensia denuncia un furto. Wall inserisce anche una piccola immagine del poliziotto all’altro capo del telefono: un espediente inusuale nella fotografia ma familiare al cinema o al fumetto per rappresentare luoghi e tempi differenti in parallelo. Questo piccolo scarto formale introduce nell’immagine una tensione appena percettibile, la sensazione di un racconto che potrebbe dilatarsi oltre i margini della cornice.
Altri “incidenti di lettura”, come li definisce David Campany nel saggio in catalogo, animano opere quali After Spring Snow (2005), derivata da Yukio Mishima, Invisible Man (2001) da Ralph Ellison, o Odradek (1994) da Kafka. In particolare Invisible Man mette in risalto ciò che distingue letteratura e fotografia: la quantità di dettagli, quasi un eccesso di realtà, che nessuna descrizione, per quanto meticolosa, riuscirebbe a pareggiare. È l’“effetto realtà” della fotografia, la sua inclinazione a far sembrare un resoconto oggettivo spesso più ricco del necessario. Non sorprende che la mostra accompagni le opere monumentali – Invisible Man misura 174 × 250 cm – con ingrandimenti di dettagli altrettanto eloquenti, a sottolineare la natura costruita e stratificata della sua staged photography.
The Thinker (1986)
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Sul fronte pittorico, Wall dialoga con una tradizione antica quanto la fotografia stessa, nata anche come rivale della pittura nei ritratti e nei paesaggi. Ma il suo approccio è personale, ironico, talvolta sovversivo. Emblematico Picture for Women (1979), ispirato a Manet, o The Thinker (1986), presente in mostra: una messa in scena ai limiti della caricatura in cui un uomo dagli abiti consunti, seduto su un tronco poggiato su blocchi di cemento in una landa industriale, imita la posa del Pensatore di Rodin. Osservando meglio, si scopre una spada conficcata nella sua schiena: un riferimento diretto, e sarcastico, al Monumento in commemorazione della vittoria dei contadini di Dürer (1525). L’eco pittorica diventa così un dispositivo di interrogazione critica, un modo per rinegoziare gli stilemi della storia dell’arte.
The Listener (2015)
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Non meno importante è la dimensione cinematografica del lavoro di Wall, evidente in molte immagini singole o multiple. Qui gli scatti sembrano frammenti di film di cui ignoriamo la trama: proprio l’incertezza narrativa crea una risonanza più profonda. In The Listener (2015), un uomo pallido e biondo, a torso nudo, è inginocchiato a terra, circondato da alcuni uomini non apertamente minacciosi. La scena non mostra violenza, ma la tensione è palpabile, quasi più feroce di un gesto esplicito. Wall costruisce situazioni che “stanno per accadere”: l’energia sospesa è la vera protagonista.
Tra le opere più sorprendenti in mostra vi è The Gardens (2017), ambientata sulla collina torinese, a Villa Silvio Pellico. Tre pannelli giganteschi – ciascuno misura 250 × 380 cm – compongono il lavoro più monumentale di Wall. In questo trittico si dispiega una disputa silenziosa e tesa fra padroni e servitori, interpretati dagli stessi attori. L’apparente quiete del parco cela dinamiche sociali intrise di risentimento, sfiducia, coscienza di classe e privilegi: un conflitto che non trova soluzione, sospeso in un equilibrio fragile. L’opera si legge come un tableau vivant contemporaneo, dilatato e inquieto.
The Gardens : Denial (2017)
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Tutte queste componenti convergono in Event (2021), l’immagine conclusiva di questa ideale selezione: una scena semplice, quasi anodina, ma densa di allusioni. Due giovani in smoking si affrontano in un ambiente lussuoso, forse un hotel pronto per una convention o una festa di matrimonio. Uno punta il dito contro l’altro: potrebbe essere il preludio a uno scontro fisico, o almeno verbale. I due uomini si somigliano – età, tratti, postura – come se la scena rappresentasse un conflitto speculare, un duello tra doppi. Il corridoio in prospettiva, i colori vivaci del tappeto contro la boiserie dai toni smorzati, il nero degli abiti: tutto è concreto, reale, eppure avvolto da un’aura di mistero e sospensione.
Jeff Wall definisce le sue immagini “poesie in prosa” e sostiene che «in questo stato di sospensione, lo spettatore provi piacere». Un piacere sottile, lontano dall’angoscia generata dall’attuale proliferazione di manipolazioni digitali e deep fake: un ritorno alla complessità della visione, alla capacità della fotografia – costruita, meditata, precisa – di far interrogare senza ingannare.






























