Archèus

 

Ophicina e Damiano Michieletto, Archèus, labirinto Mozart

Venezia, Forte Marghera, 22 febbraio 2022

Il cammino a ritroso della vita

Un mancorrente su cui far scorrere la mano – preventivamente sterilizzata – permette di avanzare con sicurezza in un labirinto immerso nel buio assoluto. I passi, prima esitanti, si fanno via via più sicuri, ma rimane sempre forte lo smarrimento dei sensi. Così inizia il viaggio a ritroso suggerito dal Flauto magico di Mozart e ideato da Damiano Michieletto al Forte Marghera raggiungibile con un comodo viaggio in tram – sì a Venezia ci sono due linee di tram! – in partenza da Piazzale Roma. Il progetto, presentato dalla Biennale di Venezia e realizzato da Oφcina [sic] e Damiano Michieletto in collaborazione con il Teatro la Fenice, celebra i 1600 anni della città lagunare.

Dal buio alla luce della saggezza, come Tamino anche noi sperimentiamo questa metamorfosi percettiva. Su questo percorso labirintico cieco si aprono cinque stanze immerse nella luce magnificamente calibrata da Alessandro Carletti. “The end is where we start from” e la prima stanza è quindi quella della morte: un’automobile con le ruote all’aria e un uomo con la testa di uccello con in mano una freccia, un incidente immerso in una inquietante nebbia. È la stanza della sfinge, «un essere enigmatico arresta il quotidiano, invitando a raccogliere la sfida della sapienza».

La seconda tappa di questo percorso iniziatico è la miniera: «la ricerca procede attraverso lo scavo, le macerie, i tentativi per trovare la via giusta». Le pareti sono squarciate e da uno di questi squarci penetra un abbagliante raggio di luce.

La terza stanza è quella del guardiano, un enorme corvo nero con una mela dorata nel becco. Innumerevoli frecce hanno inutilmente tentato di colpirlo. «Nel cammino di conoscenza ci si trova davanti all’uccello nero, custode dell’oro alchemico».

Nella quarta, l’occhio, «avvolti dal blu e dall’oro si entra in uno spazio spirituale dove una freccia trafigge e proietta lo sguardo oltre sé stesso». Qui i suoni si fanno più intensi e anche l’emozione sale di grado: dentro uno spazio circolare una freccia dall’alto ha spezzato il cristallino dell’occhio ed è rimasta sospesa con i frammenti di materiale trasparente come in una istantanea fotografica, ma in basso su uno specchio d’acqua – l’umor vitreo? – le vibrazioni sonore formano leggere increspature sulla superficie liquida.

La quinta tappa è l’inizio: «nel respiro di una luce diffusa, l’armonia raggiunta prelude a una nuova nascita». Al centro della stanza ellittica un uovo semitrasparente vibra di una luce colorata che si diffonde in un ambiente amniotico mentre dall’alto un velo bianco respira salendo e scendendo. Dal magma sonoro emergono nitide le note dell’ouverture del Flauto magico eseguito dall’orchestra del Teatro la Fenice diretta da Antonello Manacorda.

Alla fine del percorso si esce nella luce di questo magico posto che è il Forte Marghera e l’emozione avrà bisogno dei piatti del ristorante del Gatto Rosso per stemperarsi.

L’impeccabile realizzazione di Paolo Fantin, l’ambiente sonoro di Michele Braga e la drammaturgia di Matteo Perin rendono questa installazione immersiva un’esperienza difficile da raccontare e le fotografie non rendono neanche minimamente l’emozione della visita. Bisogna andarci per forza. C’è tempo fino al 5 giugno.

 

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