Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges

La jolie fille de Perth

 

★★★★☆

Bizet in cerca della sua strada

Piuttosto che come dramma teatrale La jolie fille de Perth è meglio conosciuta come una suite musicale, “Scènes bohémiennes” (Prèlude, Sérénade, Marche, Danse bohémienne), eseguita in forma di concerto. Il libretto di Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges e Jules Adenis è privo di struttura, credibilità e di qualsiasi somiglianza con il romanzo di Walter Scott (The Fair Maid of Perth, 1828) da cui vorrebbe derivare.

Commissionata dal Théatre Lyrique di Parigi subito dopo Les pêcheurs de perles, l’opera di Bizet ne condivise lo stesso destino: un’accoglienza tiepida e il ritiro dopo poche repliche. Era stata composta nel 1866 per il famoso soprano svedese – e diretta rivale di Adelina Patti – Christine Nilsson de Casa Miranda nel ruolo principale e per dare modo alla cantante di esibire il proprio virtuosismo vocale venne inserita una scena della pazzia del tutto assente nel romanzo di Scott. Un anno dopo il ruolo venne però interpretato da Jeanne Devriès alla prima del 26 dicembre 1867.

Atto primo. A Perth, in Iscozia nel secolo XIV. Henry Smith (un fabbro, ovviamente) dopo aver concesso la giornata libera ai suoi dipendenti resta solo nell’opificio pensando all’amata Catherine, quando entra Mab, la regina degli zingari che sta fuggendo da alcuni spasimanti e che, per ringraziarlo dell’asilo concessole, gli predice il futuro. Arriva improvvisamente Catherine, accompagnata dal padre Glover e dall’apprendista Ralph: i tre si autoinvitano a cena a casa di Smith. Non appena i due innamorati restano soli, Henry dona a Catherine una rosa in smalto e oro come pegno d’amore, ma l’idillio è interrotto dall’arrivo, in incognito, del duca di Rothsay che chiede di far riparare la propria spada e nel frattempo corteggia la giovane. Mentre Smith, geloso, cerca di colpire il duca, la zingara esce dal suo rifugio per fermarlo e Catherine, credendola l’amante di Smith, getta via la rosa e va via; il gioeiello viene raccolto da Mab che intende restituirlo alla ragazza quando si sarà calmata.
Atto secondo. In attesa della grande festa di carnevale che si terrà nel palazzo del duca, questi si accorda con Mab per far sì che Catherine, indossando un domino nero e una maschera, si rechi a mezzanotte da lui. La zingara ironizza sui sentimenti dei nobili e dichiara di prestarsi al gioco, ma in realtà vuole vendicarsi dell’incostanza del duca. Nel frattempo Smith canta una serenata sotto le finestre dell’amata, che però non risponde. Mentre lo spasimante infelice si allontana Ralph vede una donna in domino nero, che scambia per Catherine, allontanarsi accompagnata dal maggiordomo del duca. Smith, informato di quanto sta accadendo, si reca al palazzo mentre Ralph, con grande stupore, sente, sotto la casa di Catherine, la voce della ragazza riprendere il motivo ammaliatore della serenata.
Atto terzo. Nel palazzo ducale si svolge la festa e la donna in domino nero viene introdotta dal duca, che le toglie la maschera, ma Mab fugge prima di essere riconosciuta. Henry, nascosto, vede Catherine e suo padre mentre invitano il duca alle nozze della ragazza (con Smith): il duca è sconcertato poiché crede che Catherine sia la donna in domino e lo stesso Smith in preda all’ira la insulta pubblicamente accusandola di avere passato la notte con Rothsay. Quando sta per credere alle parole di Catherine, vede la rosa in smalto e oro che le aveva regalato nelle mani del duca e  fuggire furioso.
Atto quarto. Smith, nonostante tutti cerchino di discolpare Catherine, non ascolta ragioni e sfida chiunque a battersi con lui: Ralph difenderà l’onore della giovane che, sconvolta da quanto sta accadendo, cade preda della follia. L’ntervento del duca impedisce che il duello abbia luogo salvando così la vita di Henri che voleva sacrificarla per Catherine. A questo punto la zingara, sentendosi responsabile, mette in atto uno stratagemma per farle recuperare la ragione seguendo le teorie della nuova psicologia in voga all’epoca: solo rivivere l’esperienza del trauma permetterà di guarire dalla pazzia. Viene quindi organizzata una ‘recita’ in cui Mab, fingendo di essere Catherine, si affaccia al balcone e risponde alla serenata di Smith: lo choc le permette di ritornare in sé, tra la gioia di tutti.

«Non è certo possibile negare all’opera la presenza di citazioni e rimandi: a partire da Rigoletto e Traviata fino al Weber del Freischütz, passando attraverso Mignon [1866] di Thomas e il Gounod di Mireille [1864], oltre ad un’innegabile influenza dell’opéra-comique: un richiamo a modelli diversi che, ancora una volta, segnala allo spettatore il tentativo di Bizet di trovare una strada propria, ricerca che darà i suoi frutti di lì a poco con Carmen. Splendido è in quest’opera l’uso dei motivi conduttori, in particolare della serenata di Smith “A la voix d’un amant fidèle”, che nasce da un rimaneggiamento della serenata di Odoardo nel Don Procopio; così come resta memorabile la danse bohémienne, danza zingaresca che si apre con una combinazione arpa-flauto brillantissima e che anticipa un procedimento che sarà poi di Carmen. La stessa orchestrazione presenta notevoli progressi rispetto al passato; la strumentazione è raffinata, soprattutto nel preludio, di eccezionale eleganza». (Giancarlo Arnaboldi).

Il preludio e i 25 numeri che formano i quattro atti dell’opera mostrano una grande ricchezza di invenzioni musicali, tanto che l’autore fu tacciato di eclettismo.

Dei non frequenti allestimenti de La jolie fille de Perth esiste questa registrazione al Théâtre Impérial di Compiègne del 1998 nella messa in scena del suo direttore Pierre Jourdan. Scene e costumi, di Jean-Pierre Capeyron, esaltano l’atmosfera irreale della vicenda con tocchi di surrealismo. A Jourdan si deve anche questa edizione che utilizza le tre versioni esistenti dell’opera. Con l’orchestra dell’Opera di Stato Ungherese Failoni e sotto la vigorosa bacchetta di Jérôme Pillement la partitura splende di tutti i suoli vividi colori con gli innumerevoli temi musicali di cui è ricca.

Calcano la scena interpreti di valore come Jean-François Lapointe (il duca di Rothsay) e Charles Workman. Quest’ultimo, non potendo giocare con la psicologia, inesistente, del personaggio di Henri esibisce un timbro luminoso, un’eleganza di fraseggio e una dizione di qualità rare in un cantante non di lingua francese, anche se non arriva al livello dell’Alfredo Kraus della registrazione su CD di tredici anni prima. Nettamente diversi i timbri delle due donne: lirico e di agilità quello di Inva Mula (Catherine) che si esibisce nella inevitabile scena di pazzia all’opera, la terza dopo quelle della Lucia di Donizetti e dell’Ophélie di Thomas; caldo e vibrato quello di Sonia de Beaufort, Mab sensuale che si esibisce anche nella danse bohémienne di cui parlava Giancarlo Arnaboldi.

Un’altra bella testimonianza della mai abbastanza rimpianta stagione del Théâtre Français de la Musique.

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