∙
Wolfgang Amadeus Mozart, Mitridate, re di Ponto
Madrid, Teatro Real, 4 aprile 2025
(diretta streaming)
Un maggiordomo e una famiglia quanto mai disfunzionale
Coprodotta con Francoforte e Barcellona, arriverà anche al San Carlo di Napoli questa produzione del Mitridate, re di Ponto di un Mozart che a quattordici anni ha già assimilato, tra le altre cose, l’opera seria italiana con stupefacente padronanza, tanto da poter offrire il suo lavoro per l’inaugurazione della stagione di carnevale di un teatro come il Regio Ducale di Milano dove andrà in scena con grande successo il 26 dicembre 1770. Qui Mozart vedrà ancora rappresentati Ascanio in Alba (ottobre 1771) e Lucio Silla (maggio 1772).
Nel libretto del Mitridate di Vittorio Amedeo Cigna-Santi non è difficile vedere nel padre dispotico Mitridate e nel figlio alienato Sifare desideroso di emanciparsi senza rompere i legami familiari, una proiezione dei sentimenti che Mozart non poteva più reprimere a quell’epoca. Si appoggiava ancora al padre, da cui riceveva protezione e sicurezza essenziale per la sua crescita come artista, ma cominciava già a emergere una tensione, un bisogno di tagliare i ponti, che l’autorità paterna aveva tenuto repressa, alla maniera di quel Mitridate che torna in vita dopo una falsa morte proclamata da lui stesso per mettere alla prova la fedeltà della sua cerchia più intima.
Ma c’è anche il personaggio di Aspasia, la quale non osa tradire Mitridate ma neanche a rinunciare a Sifare, per cui rimane combattuta tra i due sentimenti. Per lei Mozart compone una successione di arie e scene impressionante dal punto di vista vocale e drammatico. In questo, Mozart segue fedelmente la tragedia originale di Racine dove la parte di Monime del Mithridate era uno dei più grandi ruoli per un’attrice della Comédie Française ed è con esso che Adrienne Leucouvreur debuttò nell’istituzione nel 1717 con un tale successo da essere subito nominata sociétaire e far nascere intorno a lei una vera e propria leggenda, molti anni prima di Francesco Cilea.
La difficoltà della messa in scena del Mitridate mozartiano – sono molte infatti le esecuzioni in forma di concerto come quella che si ascolterà il mese prossimo alla Scala – sta nell’immaginare un manufatto teatrale in cui integrare le sue impressionanti arie, che sono di per sé piccole opere in miniatura: non consentono un approccio “realistico”, ma, in compenso, fanno appello a situazioni perfettamente reali, persino domestiche. Per questo Claus Guth ha scelto di creare con lo scenografo Christian Schmidt due spazi che coesistono da prospettive antagoniste. Da un lato, un mondo riconoscibile, con un’estetica iperrealista, che fa appello agli ambienti di una villa elegante nella sua modernità anni ‘60, con spazi per scene quotidiane e coniugali, domestiche, in cui è plausibile la storia di due figli rivali, sorpresi quando scoprono che il padre, che credevano morto, torna all’improvviso e scopre le loro slealtà. Accanto a questo, convive un altro spazio: un palcoscenico vuoto di fronte a una grande parete crivellata di buchi neri, uno spazio onirico, astratto, con regole totalmente diverse, in cui i personaggi riflettono e parlano con loro stessi. Da una parte c’è l’azione e dall’altra il suo lato oscuro e tormentato. Qui i personaggi sono raddoppiati o moltiplicati – Mitridate e Aspasia hanno ben sei alter-ego – assieme a minacciosi uomini in nero. Il direttore tedesco si dimostra spietato nella messa a nudo dei complessi, a dir poco, rapporti famigliari tra padre, figli e spose. Su tutti un ineffabile maggiordomo porge bevande, armi, veleni. Con le luci di Olaf Winter e i costumi di Ursula Kudrna Claus Guth costruisce una struttura visiva che oscilla tra realismo e onirico con straordinaria coerenza.
La direzione musicale di Ivor Bolton è di grande livello: il melodismo mozartiano e la tensione drammatica risultano perfettamente equilibrati e l’alternanza dei lunghi recitativi con le arie perfettamente realizzata. Esemplari gli interventi solistici degli strumentisti dell’orchestra del Real come il corno solo in scena durante l’aria di Sifare «Lungi da te, mio bene».
Il ruolo tenorile del titolo ha una tessitura estremamente acuta che sale costantemente fino al do con salti di quasi due ottave. L’interprete per il quale Mozart ha scritto la parte fu Guglielmo D’Ettore, rinomato tenore siciliano che fu anche il Mitridate nell’opera di Quirino Gasparini con lo stesso libretto del Cigna-Santi. Ora a Madrid c’è l’argentino Juan Francisco Gatell, tenore leggero dall’impeccabile fraseggio, bravo attore e convincente come personaggio. Dove la tessitura è accessibile, come nelle arie «Quel ribelle e quell’ingrato» o «Già di pietà mi spoglio», tutto va bene, ma in «Se di lauri il crine adorno», «Tu che fedel mi sei» o «Vado incontro al fato estremo» i molti do lo mettono un po’ in difficoltà e risultano forzati rispetto alla linea di canto altrimenti elegante. Franco Fagioli dimostra ancora una volta la flessibilità del suo strumento la cui estensione dal registro basso a quello più acuto – arriva con agio al la opzionale in «Venga pur, minacci e frema» – per delineare il complesso personaggio di Farnace che conclude l’opera, prima del quintetto finale, con la sua aria solistica piena di tristezza e malinconia. Come Marzio il tenore Juan Sancho ha un’unica aria, ma molto impegnativa, che però qui viene incomprensibilmente ridotta alla sola prima parte. Un’unica aria ha anche Arbate, che il controtenore Franko Klisović risolve con efficacia.
Eccezionale il terzetto di voci femminili. Aspasia apre l’opera con «Al destin che la minaccia», la prima di quattro arie solistiche che Sara Blanch esegue con stupefacente sicurezza e temperamento, timbro rotondo e uniforme in tutto il registro, controllo dei fiati, acuti perfetti e belle variazioni nei da capo con un’elegante cadenza in «Al destin che mi minaccia». Dove l’aria non richiede colorature, sono i colori e le dinamiche a essere valorizzati, come nella gluckiana «Pallid’ombre, che scorgete». L’amato Sifare qui è Elsa Dreisig en travesti, voce lirica, bella e agile, timbro scuro ma dolce. Grande stilista, ha controllato saggiamente la voce nel duetto «Se viver non degg’io» con quella della Blanch. Anche Marina Monzó ha avuto il suo trionfo come Ismene. Nella sua seconda aria «So quanto a te dispiace» piena di coloratura e di lunghe linee di scale veloci ha cantato con una perfezione immacolata.
La non frequenza del titolo e l’intelligenza della messa in scena saranno motivi per rivedere una seconda volta questa produzione quando arriverà in Italia.
⸪













