Vittorio Amedeo Cigna-Santi

Mitridate

Wolfgang Amadeus Mozart, Mitridate, re di Ponto

Madrid, Teatro Real, 4 aprile 2025

★★★★☆

(diretta streaming)

Un maggiordomo e una famiglia quanto mai disfunzionale

Coprodotta con Francoforte e Barcellona, arriverà anche al San Carlo di Napoli questa produzione del Mitridate, re di Ponto di un Mozart che a quattordici anni ha già assimilato, tra le altre cose, l’opera seria italiana con stupefacente padronanza, tanto da poter offrire il suo lavoro per l’inaugurazione della stagione di carnevale di un teatro come il Regio Ducale di Milano dove andrà in scena con grande successo il 26 dicembre 1770. Qui Mozart vedrà ancora rappresentati Ascanio in Alba (ottobre 1771) e Lucio Silla (maggio 1772).

Nel libretto del Mitridate di Vittorio Amedeo Cigna-Santi non è difficile vedere nel padre dispotico Mitridate e nel figlio alienato Sifare desideroso di emanciparsi senza rompere i legami familiari, una proiezione dei sentimenti che Mozart non poteva più reprimere a quell’epoca. Si appoggiava ancora al padre, da cui riceveva protezione e sicurezza essenziale per la sua crescita come artista, ma cominciava già a emergere una tensione, un bisogno di tagliare i ponti, che l’autorità paterna aveva tenuto repressa, alla maniera di quel Mitridate che torna in vita dopo una falsa morte proclamata da lui stesso per mettere alla prova la fedeltà della sua cerchia più intima. 

Ma c’è anche il personaggio di Aspasia, la quale non osa tradire Mitridate ma neanche a rinunciare a Sifare, per cui rimane combattuta tra i due sentimenti. Per lei Mozart compone una successione di arie e scene impressionante dal punto di vista vocale e drammatico. In questo, Mozart segue fedelmente la tragedia originale di Racine dove la parte di Monime del Mithridate era uno dei più grandi ruoli per un’attrice della Comédie Française ed è con esso che Adrienne Leucouvreur debuttò nell’istituzione nel 1717 con un tale successo da essere subito nominata sociétaire e far nascere intorno a lei una vera e propria leggenda, molti anni prima di Francesco Cilea.

La difficoltà della messa in scena del Mitridate mozartiano – sono molte infatti le esecuzioni in forma di concerto come quella che si ascolterà il mese prossimo alla Scala – sta nell’immaginare un manufatto teatrale in cui integrare le sue impressionanti arie, che sono di per sé piccole opere in miniatura: non consentono un approccio “realistico”, ma, in compenso, fanno appello a situazioni perfettamente reali, persino domestiche. Per questo Claus Guth ha scelto di creare con lo scenografo Christian Schmidt due spazi che coesistono da prospettive antagoniste. Da un lato, un mondo riconoscibile, con un’estetica iperrealista, che fa appello agli ambienti di una villa elegante nella sua modernità anni ‘60, con spazi per scene quotidiane e coniugali, domestiche, in cui è plausibile la storia di due figli rivali, sorpresi quando scoprono che il padre, che credevano morto, torna all’improvviso e scopre le loro slealtà. Accanto a questo, convive un altro spazio: un palcoscenico vuoto di fronte a una grande parete crivellata di buchi neri, uno spazio onirico, astratto, con regole totalmente diverse, in cui i personaggi riflettono e parlano con loro stessi. Da una parte c’è l’azione e dall’altra il suo lato oscuro e tormentato. Qui i personaggi sono raddoppiati o moltiplicati – Mitridate e Aspasia hanno ben sei alter-ego – assieme a minacciosi uomini in nero. Il direttore tedesco si dimostra spietato nella messa a nudo dei complessi, a dir poco, rapporti famigliari tra padre, figli e spose. Su tutti un ineffabile maggiordomo porge bevande, armi, veleni. Con le luci di Olaf Winter e i costumi di Ursula Kudrna Claus Guth costruisce una struttura visiva che oscilla tra realismo e onirico con straordinaria coerenza.

La direzione musicale di Ivor Bolton è di grande livello: il melodismo mozartiano e la tensione drammatica risultano perfettamente equilibrati e l’alternanza dei lunghi recitativi con le arie perfettamente realizzata. Esemplari gli interventi solistici degli strumentisti dell’orchestra del Real come il corno solo in scena durante l’aria di Sifare «Lungi da te, mio bene».

Il ruolo tenorile del titolo ha una tessitura estremamente acuta che sale costantemente fino al do con salti di quasi due ottave. L’interprete per il quale Mozart ha scritto la parte fu Guglielmo D’Ettore, rinomato tenore siciliano che fu anche il Mitridate nell’opera di Quirino Gasparini con lo stesso libretto del Cigna-Santi. Ora a Madrid c’è l’argentino Juan Francisco Gatell, tenore leggero dall’impeccabile fraseggio, bravo attore e convincente come personaggio. Dove la tessitura è accessibile, come nelle arie «Quel ribelle e quell’ingrato» o «Già di pietà mi spoglio», tutto va bene, ma in «Se di lauri il crine adorno», «Tu che fedel mi sei» o «Vado incontro al fato estremo» i molti do lo mettono un po’ in difficoltà e risultano forzati rispetto alla linea di canto altrimenti elegante. Franco Fagioli dimostra ancora una volta la flessibilità del suo strumento la cui estensione dal registro basso a quello più acuto – arriva con agio al la opzionale in «Venga pur, minacci e frema» – per delineare il complesso personaggio di Farnace che conclude l’opera, prima del quintetto finale, con la sua aria solistica piena di tristezza e malinconia. Come Marzio il tenore Juan Sancho ha un’unica aria, ma molto impegnativa, che però qui viene incomprensibilmente ridotta alla sola prima parte. Un’unica aria ha anche Arbate, che il controtenore Franko Klisović risolve con efficacia. 

Eccezionale il terzetto di voci femminili. Aspasia apre l’opera con «Al destin che la minaccia», la prima di quattro arie solistiche che Sara Blanch esegue con stupefacente sicurezza e temperamento, timbro rotondo e uniforme in tutto il registro, controllo dei fiati, acuti perfetti e belle variazioni nei da capo con un’elegante cadenza in «Al destin che mi minaccia». Dove l’aria non richiede colorature, sono i colori e le dinamiche a essere valorizzati, come nella gluckiana «Pallid’ombre, che scorgete». L’amato Sifare qui è Elsa Dreisig en travesti, voce lirica, bella e agile, timbro scuro ma dolce. Grande stilista, ha controllato saggiamente la voce nel duetto «Se viver non degg’io» con quella della Blanch. Anche Marina Monzó ha avuto il suo trionfo come Ismene. Nella sua seconda aria «So quanto a te dispiace» piena di coloratura e di lunghe linee di scale veloci ha cantato con una perfezione immacolata.

La non frequenza del titolo e l’intelligenza della messa in scena saranno motivi per rivedere una seconda volta questa produzione quando arriverà in Italia.

Motezuma

Josef Mysliveček, Motezuma

Znojmo, 16 luglio 2011

(registrazione video)

Dopo quello di Vivaldi, il Motezuma boemo

Josef Mysliveček (1737-1781) fu uno dei compositori di maggior successo e più pagati dell’epoca. Acclamato in Italia come «Il divino boemo», fu però presto dimenticato e morì in povertà a Roma. Una recente lapide nella chiesa di San Lorenzo in Lucina lo ricorda così: «In questa basilica è stato sepolto il compositore ceco Giuseppe Misliwecek detto il boemo, amico di Mozart». Aveva infatti incontrato il salisburghese a Bologna nel 1770 e da allora era diventato amico e modello artistico per il quattordicenne compositore. Il padre Leopoldo è inizialmente contento: ««È un uomo d’onore e noi siamo legati a lui da una perfetta amicizia». Poi Josef si ammala ed è lo stesso Mozart che in una lettera al padre da Salisburgo racconta come Mysliveček gli avesse scritto: «in viaggio da Firenze a Monaco sono caduto dalla carrozza e all’ospedale dove sono stato ricoverato, dei medici incapaci mi hanno bruciato il naso», probabilmente per nascondere che si trattava di sifilide. Mozart andò poi a trovarlo all’ospedale di Monaco e in una commovente lettera a sua sorella Nannerl ne racconta il loro triste incontro. Leopold ne scrive invece impietosamente, forse deluso da una mancata promessa di Mysliveček di procurare a Wolfgang un contratto per un concerto al Teatro di San Carlo di Napoli: «A chi dare la colpa se non alla propria vita schifosa, una vergogna così grande davanti al mondo. Come farà quel poveraccio a presentarsi sul palcoscenico di un teatro senza il naso…». 

Il successo, le avventure, la momentanea ricchezza e la vertiginosa carriera musicale di Mysliveček portano i nomi delle sue opere serie, quasi tutte composte nei suoi ultimi 15 anni di vita. Dalla Medea (1764) all’Antigono (1780) con in mezzo: Ipermestra, Bellerofonte, Farnace, Demetrio, Il gran Tamerlano, Romolo ed Ersilia, Artaserse, Adriano in Siria, Demofoonte, Armida, Medonte, L’Olimpiade, La Circe, La Calliroe, Ezio e La Clemenza di Tito, la maggior parte su libretto di Metastasio. Motezuma è invece su libretto di Vittorio Amedeo Cigna-Santi basato su leggende associate al monarca azteco Moctezuma II (1). Un Motezuma precedente si deve ad Antonio Vivaldi che nel 1733 aveva presentato la sua versione su testo di Girolamo Alvise Giusti al Teatro Sant’Angelo di Venezia. Quello di Mysliveček vide la prima al Teatro della Pergola di Firenze il 23 gennaio 1771 – quello stesso anno Mozart presenterà il suo Ascanio in Alba e Il sogno di Scipione. Un’intonazione sullo stesso libretto si vide al Teatro Regio di Torino nel 1765 su musica di Gian Francesco de Majo in una sontuosa produzione. È improbabile che la produzione fiorentina fosse altrettanto ricca e il cast non si distingueva particolarmente, anche se era interessante per la predominanza di cantanti uomini, come avveniva a Roma, dove alle donne era proibito apparire sul palcoscenico. Motezuma è stata la prima opera del compositore a essere ripresa in tempi moderni per una rappresentazione a Praga nel 1931 mentre questa registrazione video si basa sulla ripresa che nell’estate 2011 ha avuto luogo a Znojmo, città della Moravia a sud di Brno. Allestita nel quadro dello Hudebni festival Znojmo, l’Orchestra del Czech Ensemble Baroque è diretta con slancio garibaldino senza troppe sottigliezze da Roman Válek. La regia di Michael Tarant utilizza tutti gli spazi disponibili e si avvale della scenografia di Jaroslav Milfajt, una ripida piramide a gradoni come quelle di Teotihuacan, e dei fantasiosi costumi di Klára Vágnerová, con sfoggio di copricapi piumati per il personaggio eponimo, e visi abbondantemente truccati. Nel cortile del castello si esibisce un cast di interpreti di accettabile livello: il controtenore Jakub Burzynski (Motezuma), il tenore Jaroslav Březina (Cortes), il tenore Tomáš Kořínek (Teutile), il basso Marián Krejčík (Pilpatoe) e i soprani Marie Fajtová (Quacozinga) e Michaela Šrůmová (Lisinga), le voci migliori in campo.

Musicalmente il compositore distingue i due mondi in contrasto, con arie più meditative e dubbiose per Motezuma e interventi più arroganti per il subdolo conquistador Cortés, così che la sequenza di elaborate arie e recitativi acquista una certa drammaticità sottolineata dalla ingenua ma efficace messa in scena. Molto ben realizzato è ad esempio l’epico arrivo degli spagnoli e più chiaramente di quanto avvenga nel libretto, il regista si schiera senza esitazione dalla parte degli indigeni.

(1) Il sovrano azteco Montezuma deve affrontare un’invasione spagnola. I suoi dubbi su se e come affrontare gli spagnoli, così come i dubbi sull’effettivo aiuto degli antichi dèi, costituiscono la base ideologica della trama. Il conquistador spagnolo Hernán Cortés inganna Montezuma fingendo nobiltà e amicizia per poi approfittare dell’incertezza del sovrano. La moglie di Montezuma, Guacozinga, si schiera con i difensori della tradizione e la sua opinione politica è tragicamente in contrasto con il suo rapporto con Montezuma. Il necessario intrigo amoroso è rappresentato dal generale spagnolo Tentile e dalla bella indiana Lisinga. Nella drammatica conclusione, sebbene Montezuma muoia dopo aver scelto la via del sacrificio di sé invece del conflitto armato, la fine dell’opera risuona comunque dello spirito di riconciliazione e del ritrovamento di una pace e di una speranza rinnovate che gettano le basi del nuovo Messico.

Mitridate

Wolfgang Amadeus Mozart, Mitridate, re di Ponto

Berlino, Staatsoper unter den Linden, 11 dicembre 2022

★★★★☆

(video streaming)

Mitridate torna in Giappone

Delle diverse tappe dei suoi viaggi in Italia, Milano è la città in cui Mozart si è fermato più a lungo: nel primo viaggio dal 23 gennaio al 15 marzo e dal 18 ottobre 1770 al 12 gennaio e dal 31 gennaio al 4 febbraio 1771; nel secondo dal 18 agosto al 5 dicembre 1771; nel terzo dal 4 novembre 1772 al 4 marzo 1773. Ed è a Milano che il quattordicenne (!) Wolfgang il 26 dicembre 1770 vede mettere in scena per l’inaugurazione della stagione la sua prima opera seria, Mitridate, re di Ponto K 87, su libretto di Vittorio Amedeo Cigna-Santi tratto da Racine attraverso la traduzione dell’abate Parini. Un successo con venti repliche.

«Trovo che Wolfgang ha scritto l’Opera bene e con molto ingegno» scrive il padre Leopold in una lettera dopo la «prima piccola prova». E in effetti così è: il ragazzo ha assimilato perfettamente i codici dell’opera seria italiana e di suo ci ha messo il gusto per melodie non banali e un’orchestrazione quasi matura. Per di più dimostra di saper adattarsi all’ambiente del teatro tenendo conto delle richieste dei cantanti, col risultato di spostare il centro di attenzione musicale nei singoli episodi, gestiti dagli esigenti e capricciosi cantori e prime donne, così che Mitridate diventa una successione di meravigliose arie che però stentano a costruire una vera unità drammatica.

Trentuno anni dopo la storica produzione londinese di Graham Vick e alla sua lettura in stile teatro kabuki, un vero giapponese si ispira allo stesso mezzo espressivo per ambientare la vicenda. Satoshi Miyagi opta dunque per un Giappone medievale affogato nell’oro che riveste ogni centimetro quadro dell’impianto scenografico di Junpei Kiz ed Eri Fukazawa, così come dei fantasiosi e sontuosi costumi di Kayo Takahashi Deschene. Una struttura a gradoni praticabili con scalinate ai lati costituisce l’unico elemento architettonico presente. Alla profondità tridimensionale il regista e direttore artistico dello Staatsoper unter den Linden preferisce la mutevole decorazione di questo fondale: ruotando, i pannelli mostrano in successione la reggia di Mitridate, una foresta di bambù dorati, un paesaggio dipinto col monte Fuji. La recitazione è volutamente assente, i cantanti sono fermi frontalmente e con lo sguardo fisso, i pochi movimenti sono quelli previsti dalle coreografie di Yu Otagaki per le marce o le battaglie en ralenti,. Qualche cantante però sfugge a questa prescrizione registica e non riesce a non interpretare. Nella sua lettura ancora più scioccante è il finale: dopo tanto fasto dorato la guera presenta i suoi conti sui corpi martoriati, i costumi lacerati, i campi fumanti di cadaveri.

Particolare cura è dedicata dal regista all’aspetto visivo, quasi calligrafico, come quando il corno obbligato nell’aria di Sifare «Lungi da te, mio bene» sale sul palcoscenico e, assieme ad altri figuranti che formano un ariete alato, con il suo strumento riprende la curvatura delle corna dell’animale. Quella di Miyagi è una regia visualmente molto raffinata ma statica, memore della tradizione teatrale del suo paese. Fortunatamente i suoi ricercati tableaux vivant ricevono un incessante impulso ritmico dalla direzione di Marc Minkowski alla guida dei Musiciens du Louvre che mette vita alle eleganti figure in scena. Il direttore francese utilizza agogiche mutevoli e colori cangianti per ottenere un ritmo narrativo accettabile a scapito però di recitativi falcidiati, numeri tagliati (Sifare, Ismene e Aspasia ne fanno le spese con uno ciascuno) e arie accorciate.

Nella parte eponima Pene Pati affronta con qualche difficoltà la sua prima aria «Se di lauri il crine adorno» sforzando nel registro acuto, poi si riprende e sfoggiando belle mezze voci riesce a dare al personaggio il giusto risalto vocale. Le agilità agevolmente risolte dipingono con efficacia un sovrano dal carattere combattuto tra orgoglio e amore filiale. Ana Maria Labin è un’Aspasia anche lei combattuta tra il ruolo di regina e quello di donna innamorata e la sua performance vocale tocca i punti massimi nelle colorature come nei momenti più intensi quali la grande scena del III atto che comprende la cavatina «Pallid’ombre, che scorgete» e un drammatico recitativo accompagnato. Angela Brower, soprano en travesti, delinea un Sifare di grande sensibilità e bellezza vocale. Così è anche per il Farnace di Paul-Antoine Bénos-Djian, controtenore che qui fornisce al momento la sua prova migliore. Non allo stesso livello di eccellenza si situano gli altri interpreti: Sarah Aristidou (Ismene), Sahy Ratia (Marzio) e Adriana Bignagni Lesca, soprano en travesti come Arbate.

 

Mitridate

MITHRIDATE - De Wolfgang Amadeus MOZART - Livret de Vittorio Amedeo CIGNA SANTI - Direction musicale : Emmanuelle HAIM - Dramaturgie : Frederique PLAIN - Mise en scene : Clement HERVIEU LEGER - Decors : Eric RUF - Costumes : Caroline DE VIVAISE - Lumieres : Bertrand COUDERC - Avec : Patricia PETIBON (Aspasie) - Myrto PAPATANASIU (Xiphares) - Christophe DUMAUX (Pharnace) - Cyrille DUBOIS (Marzio) - Le : 08 02 2016 - Au Theatre des Champs Elysees - Photo : Vincent PONTET

Wolfgang Amadeus Mozart, Mitridate

★★★★☆

Parigi, Théâtre des Champs-Élysées, 20 febbraio 2016

(live streaming)

Dramma di famiglia in un interno

Occorre ricordare che Mozart aveva solo 14 anni quando presentò a Milano il suo Mitridate, re di Ponto? Primo di una serie di tre lavori destinati al Teatro Ducale (gli altri saranno Ascanio in Alba e Lucio Silla), è anche il suo primo dramma serio e pur in una certa acerbità di scrittura si notano la perfetta conoscenza e l’aderenza del giovanissimo compositore ai dettami dell’opera seria italiana. L’inusuale interesse per le emozioni estreme si esprime nelle magnifiche arie che mettono in grande evidenza le capacità dei cantanti e i loro virtuosismi vocali, a scapito però di una certa sincerità ed efficacia drammatica della vicenda.

La lettura di Clément Hervieu-Léger nella sua messa in scena ora al Théâtre des Champs-Élysées, riflette proprio questa staticità. Un pesante sipario di metallo ossidato si alza rivelando la sala di un teatro abbandonato (la scenografia è firmata da Éric Ruf e potrebbe essere quella per uno spettacolo del compianto Chéreau) in cui sono accampati feriti alcuni sfollati in abiti moderni tra cui si percepisce subito una grande tensione: fuori ci sarà sì una guerra, ma qui dentro non meno forti sono i conflitti interpersonali. Leggono su un vecchio libretto i recitativi dell’opera e diventano attori che con pochi dettagli (costumi e gioielli per le donne, cappottoni militari per gli uomini) si trasformano nei personaggi del dramma in cui il re Mitridate è coinvolto nel conflitto tra i figli Farnace e Sífare per l’amore di Aspasia. Il regista è stato attore della Comédie-Française: chissà quante volte avrà interpretato una tragedia di Racine – tra cui anche il Mithridate – ed è stato anche collaboratore di Chéreau. Da ciò la cura attoriale con cui muove gli interpreti e l’intensità dei rapporti espressi in scena.

Con cospicui e opportuni tagli ai recitativi e alcuni rimaneggiamenti (l’aria di Ismene viene spostata dal primo al secondo atto) la direzione musicale di Emmanuelle Haïm e del suo ensemble Concert d’Astrée, specialista di questo repertorio, è netta e scattante con una grande differenziazione dinamica dei vari numeri musicali.

Cast tutto eccellente. Gli applausi di cortesia che il pubblico concede dopo le prime arie diventano via via più calorosi dopo le prestazioni di Michael Spyres che, forse troppo giovanile per la parte, sfoggia però un’invidiabile estensione che tocca acuti vertiginosi e gravi possenti. Superba l’Ismene di Sabine Devieilhe (rivelazione della serata) ed eccellente Christophe Dumaux: non c’è agilità vocale nella parte di Farnace che il cantante francese non esegua con proprietà e intensità interpretativa. Da manuale è la sua resa di «Va’, l’error mio palesa» con cui si dimostra ancora una volta tra i migliori controtenori del momento. A questo proposito, visto che si è fatto trenta si poteva fare trentuno: se qui Farnace è un controtenore, perché non utilizzare un contraltista per Sífare? Alla prima milanese erano infatti due castrati, Giuseppe Cicognani e Pietro Benedetti, a impersonare i due fratelli rivali.

Patricia Petibon è un po’ sotto tono all’inizio, ma poi si riprende vocalmente e la sua interpretazione diviene più intensa. Il Sífare di Myrtò Papatanasiu non è del tutto convincente in abiti femminili e ha una dizione non sempre perfetta. Di buon livello gli altri interpreti, Jaël Azzaretti come Arbate (un altro castrato nell’originale) e Cyrille Dubois nella breve parte di Marzio.

Mitridate, re di Ponto

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★★★☆☆

Attenzione alle date: nel 1770 Mozart ha quattordici anni, è per la prima volta in Italia e quel maneggione del padre riesce a ottenere per il figlio la commissione per un’opera, la sua prima opera seria. A Bologna il 29 settembre Mozart inizia a scriverne la partitura e il 26 dicembre il lavoro va in scena all’allora Teatro Ducale di Milano. Il teatro andrà a fuoco sei anni dopo per essere sostituito dall’attuale Teatro alla Scala.

Il libretto, tratto dalla tragedia Mithridate di Racine, era stato scritto da Vittorio Amedeo Cigna-Santi per la musica di un’opera di Quirino Gasparini andata in scena tre anni prima al Regio di Torino e per il debutto mozartiano milanese viene scritturato lo stesso cast di quell’allestimento. Premiato da ben venti repliche, lo spettacolo ebbe un bel successo, come venne annunciato su “La Gazzetta di Milano” da un cronista d’eccezione, quell’abate Parini che aveva tradotto la tragedia dal francese. Anche Leopold in una lettera alla moglie confida orgoglioso che «l’opera di nostro figlio è, come dicono gli italiani, “alle stelle”».

Condita di risvolti politici, la vicenda è centrata sul conflitto tra Mitridate (Mitridate VI Eupatore) e i suoi due figli, Sífare e Farnace, per la mano di Aspasia.

Prologo. Mitridate, avendo subito una pesante sconfitta in battaglia, è dato per morto. Questa falsa notizia viene passata da Arbate, il governatore, ad Aspasia (la fidanzata di Mitridate) e a Farnace e Sifare (i figli di Mitridate).
Atto primo. Scena 1. Arbate, il governatore di Nymphæum, accoglie Sifare. Apprendiamo che Sifare è risentito con suo fratello, Farnace, a causa dei forti legami di suo fratello con i loro nemici, i Romani. Arbate promette la sua fedeltà a Sifare. Aspasia supplica Sifare di aiutarla contro le avances di Farnace. Egli accetta la sua richiesta e rivela il suo amore per lei. Scena 2. Farnace fa le sue avances ad Aspasia. Lei rifiuta, sostenuta da Sifare, che la protegge dal fratello violento. Arriva la notizia che Mitridate è vivo e si sta avvicinando alla città. Arbate esorta i fratelli a nascondere le loro differenze e a salutare il padre. I fratelli accettano di nascondere i loro sentimenti per Aspasia. Farnace cospira con Marzio, ufficiale legionario romano, contro Mitridate. Scena 3. Mitridate arriva sulle rive del Nymphæaum con la principessa Ismene, figlia del suo alleato, il re di Partia. Mitridate vuole che Farnace sposi Ismene, la sua promessa sposa. Ismene è innamorata di Farnace ma avverte dei problemi ed è preoccupata per il suo futuro. Arbate dice a Mitridate che Farnace sta inseguendo Aspasia, senza menzionare Sifare. Il geloso Mitridate giura vendetta su Farnace.
Atto secondo. Scena 1. Farnace disprezza e minaccia Ismene. Lei lo dice a Mitridate, che le suggerisce di sposare Sifare. Mitridate chiede ad Aspasia un matrimonio immediato ma lei esita, dimostrandogli che è infedele. Aspasia confessa l’amore a Sifare ma entrambi accettano di separarsi per salvare il loro onore. Sifare progetta di partire e Aspasia è turbata dal conflitto tra amore e dovere. Scena 2. Mitridate è al corrente del complotto di Farnace contro di lui con i romani; progetta la sua vendetta, nonostante l’offerta di pace di Marzio, e arresta Farnace per giustiziarlo. Ismene salva il principe, che ammette il suo tradimento ma coinvolge Sifare. Mitridate inganna Aspasia per farle ammettere il suo amore per Sifare e giura vendetta. Aspasia e Sifare desiderano morire insieme, nel timore delle minacce di Mitridate.
Atto terzo. Scena 1. Ismene, ancora innamorata di Farnace, cerca di convincere Mitridate a perdonare Aspasia. I Romani attaccano e Mitridate parte per la battaglia. Aspasia contempla il suicidio con il veleno. Anche Sifare vuole morire e si unisce a suo padre nella battaglia. Scena 2. Marzio libera Farnace e gli promette il dominio di Nymphæum. Farnace cambia idea e decide di schierarsi con Mitridate. Scena 3. Sconfitto, Mitridate si suicida, evitando la prigionia. Prima di morire dà la sua benedizione a Sifare e Aspasia e perdona Farnace, che ora accetta di sposare Ismene. Tutti e quattro si impegnano a liberare il mondo da Roma.

Dopo l’ouverture in re maggiore dall’ampio respiro sinfonico e dopo centocinque battute di recitativo abbiamo la prima delle ventuno arie solistiche di cui è composta l’opera (1). Con largo impiego di timpani (un’idea del direttore Paul Daniel, visto che la partitura non li prevede), Aspasia con «Al destin che la minaccia» ci immerge in pieno barocco, con trilli, agilità, fioriture, abbellimenti e variazioni nei da capo come nelle opere di Piccinni, Hasse, Porpora o Jommelli che Mozart aveva ascoltato a Napoli e di cui il quattordicenne compositore aveva integrato perfettamente i canoni compositivi. (Ma anche un po’ di Gluck sembra trasparire nella cavatina di Aspasia del terzo atto «Pallid’ombre, che scorgete»). Subito dopo parte un recitativo accompagnato, ce ne saranno altri sei in quest’opera, e inizia un’aria altrettanto pirotecnica dove Sífare enuncia la sua filosofia: vada per una «beltà tiranna», ma «l’orgoglio d’un audace, no, tollerar [il cuor] non sa».

Fin qui il genio mozartiano ancora non si avverte. Secondo l’Einstein «Mozart era troppo giovane per saper sfruttare le qualità di questo libretto. Naturalmente, egli non si preoccupò del dramma, bensì dei cantanti […] tutti pressoché dello stesso genere: due soprani femminili e due castrati (un soprano e un contralto)» di cui il pubblico apprezzò le fioriture virtuosistiche. Il giudizio dei critici dell’epoca si potrebbe riassumere così: «Quante note superflue! Qualsiasi musicista italiano avrebbe composto con maggior semplicità e maggior efficacia al tempo stesso! Ma quale talento!».

Il giovane compositore conferisce comunque insolita intensità emotiva alla rappresentazione degli affetti tipici dell’opera seria del Settecento, che vengono qui spinti all’estremo: incalzante e convulsa l’aria di Aspasia «Nel sen mi palpita», ambigua e tormentata quella di Mitridate «Se di lauri il crine adorno», di estatica serenità elegiaca e malinconica, sottolineata dall’accompagnamento del corno, per «Lungi da te, mio bene» di Sífare o del suo duetto con Aspasia, di furore insensato in «Vado incontro al fato estremo» di Mitridate e così via.

Ampiamente scorciata nei recitativi (da cui vengono così a mancare elementi essenziali della vicenda), ma anche nel numero di arie (ne sono state espulse tre), arriva sulle scene del Covent Garden nel 1991 questa produzione che ha avuto in seguito numerose riprese, anche recentemente.

L’allestimento di Graham Vick si ispira al teatro kabuki con i suoi gesti stilizzati ed esagerati. Scene e costumi, anche questi eccessivi seppure spettacolari, sono di Paul Brown: un mix di India, Cina e Spagna di Velázquez. I movimenti coreografici invadenti che sottolineano inutilmente le emozioni dei personaggi si devono a Ron Howell. La lettura di Vick è comunque coerente con lo spirito barocco del lavoro, che non si affida allo sviluppo drammaturgico dei caratteri o sulla plausibilità dell’azione, ma soprattutto alla bellezza delle singole arie.

Alla testa dell’orchestra della ROH Paul Daniel offre una direzione molto incisiva e ritmicamente sostenuta, talora però pesante e prevaricante sulla voce di cantanti.

I tre personaggi maschili – un tenore, un soprano en travesti e un controtenore – sono sostenuti da Bruce Ford (un Mitridate con alcune difficoltà vocali), Ann Murray (un Sífare sfaccettato seppure un po’ aspro) e Jochen Kowalski (Farnace), l’interprete più a suo agio in questo repertorio, ma quanta strada è stata fatta da allora nel campo dei controtenori! Di buon livello Luba Orgonasova, un’Aspasia di temperamento, e Lillian Watson, eterea Ismene.

Molto apprezzato quando fu presentato la prima volta, ora l’allestimento denuncia la sua età, sembra una versione camp degli allestimenti di Pizzi degli stessi anni, anche se molte delle invenzioni di Vick sono state ampiamente saccheggiate dalle recenti regie.

La registrazione su DVD è del 1993 ed è un riversamento da un supporto analogico: l’immagine in 4:3 è infatti granulosa e i colori talora sbavati. Sottotitoli solo in inglese e nessun extra.

(1) Struttura dell’opera
Ouverture
Atto primo
1. Aria Al destin che la minaccia (Aspasia)
Recitativo accompagnato Qual tumulto nell’alma e
2. Aria Soffre il mio cor con pace (Sifare)
3. Aria L’odio nel cor frenate (Arbate)
4. Aria Nel sen mi palpita (Aspasia)
5. Aria Parto: nel gran cimento (Sifare)
6. Aria Venga pur, minacci e frema (Farnace)
7. Marcia
8. Cavata Se di lauri il crine adorno (Mitridate)
9. Aria In faccia all’oggetto (Ismene)
Recitativo accompagnato Respira alfin e
10. Aria Quel ribelle e quell’ingrato (Mitridate)
Atto secondo
11. Aria Va, l’error mio palesa (Farnace)
12. Aria Tu che fedel mi sei (Mitridate)
Recitativo accompagnato Non più, Regina e
13. Aria Lungi da te, mio bene (Sifare)
Recitativo accompagnato Grazie ai numi partì e
14. Aria Nel grave tormento (Aspasia)
15. Aria So quanto a te dispiace (Ismene)
16. Aria Son reo; l’error confesso (Farnace)
17. Aria Già di pietà mi spoglio (Mitridate)
Recitativo accompagnato Io sposa di quel mostro e
18. Duetto Se viver non degg’io (Aspasia, Sifare)
Atto terzo
19. Aria Tu sai per chi m’accese (Ismene)
20. Aria Vado incontro al fato estremo (Mitridate)
21. Recitativo accompagnato e Cavatina Ah ben ne fui presaga! – Pallid’ombre, che scorgete (Aspasia)
22. Aria Se il rigor d’ingrata sorte (Sifare)
23. Aria Se di regnar sei vago (Marzio)
24. Aria Già dagli occhi il velo è tolto (Farnace)
25. Coro Non si ceda al Campidoglio (Aspasia, Sifare, Ismene, Arbate, Farnace)

  • Mitridate, Haïm/Hervieu-Léger, Parigi, 20 febbraio 2016
  • Mitridate, Minkowski/Miyagi, Berlino, 11 dicembre 2022
  • Mitridate, Bolton/Guth, Madrid, 4 aprile 2025