★★★★☆
L’opera dell’inaugurazione del Teatro alla Scala
«D’un teatro edificato sotto i favorevoli auspici delle aa. vv. rr., ed aperto per la prima volta in occasione del tanto sospirato loro felice ritorno, speriamo vedere accolto con sovrana benignità il primo spettacolo, di cui alle medesime da noi viene umiliato il libro, come un ossequioso tributo di speciale omaggio, e di perfetta venerazione». Così inizia la pomposa dedica all’imperatrice Maria Teresa d’Austria e all’imperatore Francesco I del librettista, il poeta aulico Mattia Verazi, per la prima esecuzione del dramma per musica di Antonio Salieri il 3 agosto 1778 all’inaugurazione del Teatro di Santa Maria alla Scala edificato due anni dopo l’incendio che aveva distrutto il vecchio Teatro Ducale.
Europa, principessa di Tiro, era promessa sposa ad Isseo, ma il re di Creta Asterio la rapì sposandola in segreto. Agenore, padre di Europa, dopo averla fatta cercare inutilmente decise di lasciare il trono alla nipote Semele, stabilendo che andasse sposa a colui che avesse ucciso il primo straniero approdato a Tiro, per vendicare il rapimento di Europa. Alla morte di Agenore, Asterio decide di riportare Europa a Creta e restituirle il trono che le spetta. L’opera si apre con il naufragio della flotta di Asterio, che lo lascia indifeso sulla spiaggia di Creta con la moglie, il figlio e pochi altri sopravvissuti; qui vengono catturati dal malvagio Egisto, che mira a sposare Semele, e li fa condurre alla reggia. Semele però è innamorata di Isseo, e decide di volerlo sposare ignorando le ragioni di Egisto, che tentando di farla comunque valere porta Europa al cospetto della regina. Europa si fa riconoscere, Egisto vede svanire le sue speranze, Isseo è profondamente turbato dal ritorno del suo vecchio amore, e Semele cade preda della gelosia e dell’ira. Nel secondo atto Europa confida ad Isseo di voler rinunciare al trono, in cambio della salvezza sua e della sua famiglia. Nel frattempo Egisto è riuscito a convincere Semele a condannare a morte Asterio, ma Isseo le confida la rinuncia di Europa e l’infedeltà di Egisto. Il sacrificio di Asterio viene quindi impedito dall’intervento dei soldati cretensi giunti in soccorso e da Isseo, che nello scontro uccide Egisto. Tutto è pronto per il lieto fine: Europa rinuncia al trono in favore di Semele ed Isseo.
Ed è la stessa opera il 7 dicembre 2004 a riaprire il tempio della lirica milanese dopo i discussi restauri durati tre anni. Qui Ronconi e Pizzi non esibiscono gli effetti di cui parla il Verri in una lettera al fratello due giorni dopo la prima: «Mentre te ne stai aspettando quando si dia il principio ascolti un tuono, poi uno scoppio di fulmine, e questo è il segnale perché l’orchestra cominci l’ouverture; al momento che s’alza il sipario, vedi un mare in burrasca, fulmini, piante sulla riva scosse dal vento, navi che vanno naufragando, e la sinfonia imita la pioggia, il vento, il muggito delle onde, le grida dei naufraganti; poco a poco si calma, si rasserena il cielo, scendono gli attori da una nave e il coro e alcune voci sole cominciano l’azione. Hai in seguito trionfi, armate schierate, 36 cavalli in ordine, combattimenti, incendi, lotte, anfiteatri con fiere, Fetonte che cade fulminato; è una lanterna magica di oggetti mal connessi, ma che obbligano a stare attento».
Ronconi non rinuncia neanche qui al suo gusto per i macchinari, anche se non ha gli “ingegnj” barocchi dei fratelli Galliari di cui si ricorderà il Foscolo nel 1821: «La sera del 3 agosto 1778 ne fu fatta solenne apertura con sì grandiosi spettacoli, che ne dura ancor viva la memoria». Per la tempesta dell’ouverture il regista mette in scena un enorme battello che poi si spezza in due, seguono una grande prigione di tubi intrecciati, coristi che escono dal suolo, scalinate semoventi, un esercito di cavalli finti, cambi di scena a vista. Però l’allestimento sembra fatto apposta per mettere in evidenza le potenzialità tecnologiche del “nuovo” teatro piuttosto che essere frutto di un progetto registico sentito. Il grigio in tutte le sue sfumature, l’acciaio e gli specchi sono contrapposti agli sgargianti colori dei costumi di Semele – Pizzi rinuncia per una volta al suo consueto monocromatismo – e magnificamente fantasiosi sono quelli dei ballerini, modellati su quelli del Rinaldo del Tiepolo.
Riccardo Muti si immerge con dedizione nella partitura che dirige con precisione e nerbo ed è poi sua l’idea di includere tra i due atti dei ballabili, non previsti dal libretto, su musiche di Salieri, per rendere più completa la Festa Teatrale, nel senso che l’oggetto del festeggiamento è il teatro stesso. Non è sfuggito a uno spirito attento come Paolo Isotta il significato dell’operazione: «Il […] concetto è quello della Scala come protagonista dell’Opera. Già durante i Balletti il fondale è un immenso specchio riflettente, […] nei suoi colori rosso e oro, la Scala stessa. Ecco perché altrimenti v’è solo il grigio… Durante il Finale, calano dall’alto file di poltrone del nostro teatro, il Coro canta, in dinner-jacket gli uomini, simulando d’esser specularmente noi spettatori riappropriantici dell’edificio». Non possono mancare alla festa teatrale le due étoile del balletto Alessandra Ferri e Roberto Bolle.
Nel 1778 Salieri aveva al suo attivo già undici lavori, di cui nove opere buffe, ma non c’è nessuna prova che a quell’epoca Mozart ne conoscesse il lavoro. Senza fondamento quindi il giudizio di chi ritrova nel genio salisburghese echi di Salieri espressi però con più sapienza! Lo zeitgeist è sempre attivo e non è strano trovare in autori della stessa epoca procedimenti simili. La musica dell’Europa riconosciuta è originale e ben scritta, i recitativi sono brevi ed efficaci dal punto di vista drammaturgico e il coro partecipa attivamente all’azione. Si sente come Salieri fosse un seguace della riforma gluckiana. Le arie solistiche danno agio alle cantanti di esprimere le loro abilità canore nel contesto però di una vicenda di grande efficacia teatrale.
Parliamo di voci femminili perché in mancanza di castrati (e la voga dei controtenori non ha ancora neanche adesso varcato le Alpi) (1) le parti maschili di Asterio e Isseo sono affidate a Genia Kühmeier e Daniela Barcellona, entrambe espressive e impavide nelle agilità. Solo Egisto ha il fisico virile di Giuseppe Sabbatini di cui si apprezza la presenza vocale. Europa e Semele, con parti virtuosistiche irte di difficoltà, hanno in Diana Damrau e Desirée Rancatore interpreti impareggiabili, sia la Damrau, Europa, quasi una futura Regina della Notte, sia la Rancatore in duetto con l’oboe concertante di «Quando più irato freme», strappano acclamazioni a quel pubblico che altrove nell’opera non sembra eccessivamente convinto.
La registrazione su DVD è quella della ripresa RAI, con le immagine del gotha intellettuale presente in sala, da Valeria Marini al principe Emanuele Filiberto di Savoia, quello dei sottaceti. Nessun extra e uno striminzito opuscolo.
(1) No, il controtenore no. In Italia no. Il paese che ha inventato il genere per ottemperare ai divieti papali che impedivano alle donne di calcare le scene, oggi rifiuta il succedaneo più simile, il controtenore (o contraltista o sopranista o falsettista) e i pochi bravi italiani devono emigrare per far parte della fiorente schiera che all’estero, dal Marocco all’Australia, dall’Argentina alla Mongolia fornisce i teatri (stranieri) che vogliono mettere in scena l’opera barocca nelle condizioni più simili a quelle originali. Fenomeno nato nell’Inghilterra dei cori di voci bianche, ora è dilagato in tutti i paesi e mai come ora è numeroso e di qualità il numero di cantanti che adottano questa tecnica per poter interpretare i ruoli richiesti dall’opera del XVII e XVIII secolo. Qui da noi no. Soprani e contralti en travesti trasformano vicende maschili in ginecei per la scarsa considerazione in cui sono tenute le voci controtenorili, come se fossimo ancora agli anni ’60 del secolo scorso. Ma si sa che il pubblico e l’establishment lirico nostrani non sono rinomati per essere al passo coi tempi. Noi ci consideriamo ancora vestali di una tradizione che sta seppellendo giorno dopo giorno il genere musicale che ha contraddistinto per quasi tre secoli la cultura e la società al di qua delle Alpi.
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