Giovanni de Gamerra

Lucio Silla

Wolfgang Amadeus Mozart, Lucio Silla

★★☆☆☆

Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, 9 novembre 2017

(video streaming)

Dopo le scimmie, i vampiri: il Mozart splatter di Tobias Kratzer

Immagini di Kennedy, Putin, Trump, ostriche, Rolls-Royce, fotogrammi del Nerone di Peter Ustinov e del Dittatore di Chaplin, lusso, potere e sangue accompagnano l’esecuzione dell’ouverture. Quando di alza il sipario vediamo il recinto di una villa modernista che occupa la scena in tutta la sua larghezza. È pattugliato da un cane lupo che si dimostra però del tutto inoffensivo e che ascolta senza scomporsi l’aria di Cecilio con tutte le sue variazioni. Una grande vetrata dà sul primo piano dell’edificio montato sulla solita piattaforma rotante mentre nel secondo atto siamo di fronte agli innumerevoli monitor della videosorveglianza che trasmettono le immagini di Giunia nella sua camera da letto.

L’atmosfera da Twilight, il coro di morti viventi, il Silla vampiro che non crepa neppure se gli si spara alla distanza di un metro e che azzanna il collo di Giunia e ne lecca il sangue, sono tutti elementi che forse attireranno un pubblico di teenager appassionati di cinema splatter, ma che con Mozart e il suo Lucio Silla c’entrano ben poco. La banale attualizzazione a tutti i costi mostra la corda in questa lettura di Tobias Kratzer (il regista che ha ambientato l’Italiana in Algeri su Il pianeta delle scimmie) e la sua insistenza su sangue e lame assortite sfocia ampiamente nel ridicolo. La scena di stupro di Giunia da parte di Silla ci è risparmiata dal vivo ma ci viene presentata in uno dei video che l’uomo continua a visionare morbosamente, video che vengono proiettati sulle vetrate trasformate in schermo cinematografico.

Con Antonello Manacorda le cose musicalmente vanno meglio, ma dobbiamo accontentarci di un Lucio Silla dalle arie e da intere scene tagliate quando non sostituite, i recitativi impietosamente scorciati e i da capo talora omessi.

Come Giunia Lenneke Ruiten riscatta la prestazione non ottimale della Scala di due anni fa, ma la voce continua ad avere una certa acidità. Sfido però chiunque a dare il meglio di sé in un’aria come «Ah, se il crudel periglio» cantata mentre l’interprete si rade le gambe, insulsa occasione per far scorrere altro sangue. Il Silla di Jeremy Ovenden, che si cambia in continuazione la camicia, ha voce molto leggera e un porgere troppo elegante e fatuo per il personaggio del dittatore. Anna Bonitatibus, nel ruolo di Cecilio che fu del castrato Rauzzini e in un travestimento incomprensibile da adolescente trasandato, è specialista del periodo barocco e si sente, ma il vibrato è al limite della sopportabilità. Cinna particolarmente introverso è quello di Simona Šaturová, mentre Ilse Eeren, la medesima Celia di Parigi, è un’inquietante adolescente dalla psiche turbata che non si stacca mai dalla sua casa di bambole. La particolare vocalità di Carlo Allemano per una volta è congeniale al ruolo del perfido consiliere Aufidio, qui in livrea da vampiro settecentesco.

Nel finale Cecilio offre per amore il collo alla Giunia vampirizzata in una atmosfera da Notte dei morti viventi prima della conversione inverosimile del tiranno che viene arrestato dalla polizia mentre il coro fuori scena esulta e il cane lupo per l’ultima volta attraversa il palcoscenico.

Da trentadue anni mancava quest’opera di Mozart dalle scene de La Monnaie, l’ultima volta fu quella di Chéreau e il ricordo è ancora più doloroso.

Lucio Silla

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Wolfgang Amadeus Mozart, Lucio Silla

Parigi, Philharmonie, 23 aprile 2016

(live streaming dell’esecuzione semi-scenica)

La conversione di un dittatore

Eseguita in forma semi-scenica nella nuova Philharmonie parigina l’opera composta da Mozart per Milano nel corso del suo terzo e ultimo viaggio con il padre in Italia. «Gli accordi ribattuti di Re maggiore che, in testa all’Ouverture del Lucio Silla, inaugurarono perentori sabato 26 dicembre 1772, tre ore dopo il tramonto (1), la nuova stagione di carnevale del Regio-Ducal Teatro – la principale sala milanese che sarebbe stata soppiantata cinque anni più tardi dal nuovo Teatro alla Scala – rivestivano un significato ambivalente per il giovane musicista, il quale dirigeva dal clavicembalo l’opera da lui composta. Sarebbe legittimo interpretare quella del “Sig:re Cavaliere Amadeo Wolfgango Mozart Accademico di Bologna e di Verona” (com’egli stesso intestò la partitura autografa) come una prova acerba del talento in erba, peraltro all’epoca non ancora diciassettenne; e senz’altro andrà annoverata tra le esperienze giovanili di un gigante del teatro musicale. Ma in realtà, in questo caso specifico è “sbagliato il raffronto”: più che di un’aurora, si trattava infatti d’un tramonto. Il Lucio Silla rappresenta infatti più che l’inizio, la conclusione d’un percorso esistenziale e professionale, il coronamento di una stagione creativa» (Raffaele Mellace). Culminava infatti allora la sua esperienza italiana nell’opera seria con un lavoro di piena maturità artistica in cui il giovane musicista dimostrava di avere totale padronanza dei mezzi espressivi del genere interpretandoli però secondo la sensibilità e l’inventiva che l’età gli offriva.  Mozart qui si dimostra quasi più vicino al Fidelio beethoveniano che non alle grandi opere serie del tempo con i suoi  innovativi frequenti recitativi accompagnati.

Come alla Scala anche in questa esecuzione ci sono drastici tagli: quattro arie e la parte di Aufidio cassate, recitativi decimati, da capo accorciati. Laurence Equilbey dirige con tempi vivaci ma precisi la Insula Orchestra e i suoi strumenti d’epoca, ottima la performance del coro.

Protagonista titolare è il tenore Alessandro Liberatore, uno stilisticamente adeguato Lucio Silla la cui parte fu sacrificata all’origine per la sostituzione all’ultimo momento con un mediocre cantante di chiesa. Le arie più impegnative infatti sono qui appannaggio dei personaggi di Giunia e di Cecilio. Olga Pudova è una Giunia molto espressiva e Franco Fagioli riprende la parte di Cecilio che nell’originale fu cantata dal castrato Venanzio Rauzzini. Oltre a far sfoggio del suo range vocale, con bassi incredibili seguiti da acuti quasi stratosferici, dà lezione in ogni momento di tecnica ed espressività. Chiara Skerath è un Lucio Cinna spigliato e vocalmente interessante, mentre Ilse Eerens è una Celia dal timbro un po’ acidulo ma dalle limpide agilità.

Nella mise en espace di Rita Cosentino cinque pannelli su ruote, che sono di volta in volta lavagne su cui scrivere col gesso, ritratti biffati degli esiliati, schermi semitrasparenti o specchi, sono gli unici elementi di scena sulla pedana dell’auditorium. Il coro è schierato dietro su due gradoni e i cantanti hanno abiti moderni con simbolici tocchi di colore nelle rosse sciarpe.

(1)  La rappresentazione era iniziata con tre ore di ritardo per attendere l’Arciduca Ferdinando.

Lucio Silla

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Wolfgang Amadeus Mozart, Lucio Silla

★★★☆☆

Milano, Teatro alla Scala, 19 marzo 2015

(streaming TV)

«Più dittator non sono, son vostro uguale»

Nel caso di Wolfgang Amadeus Mozart i parametri usuali non valgono più: per qualunque altro compositore l’opera di un sedicenne sarebbe considerata una curiosità o al più un grezzo componimento in cui ricercare i semi dei lavori successivi, invece  l’opera andata in scena il 26 dicembre 1772 al Teatro Ducale milanese ha già, pur nella staticità del modello metastasiano, le stigmate del dramma mozartiano.

«Son note nell’istoria le inimicizie di Lucio Silla, e di Mario. È palese altresì il modo con cui il primo trionfò del suo emulo. Non può a Silla negarsi il vanto di gran guerriero felice in tutte le sue marziali intraprese. Ma co’ la crudeltà, coll’avarizia, co’ la volubilità, e co’ le dissolutezze adombrò la gloria del proprio valore». Così nell'”argomento” scrive il librettista. Nel 79 a.C. il patrizio Lucio Cornelio Silla diventa dittatore di Roma e acerrimo nemico del console Caio Mario e dei suoi seguaci.

Atto I. Cecilio, un senatore romano esiliato da Silla, ritorna in patria e viene informato dall’amico Cinna che la sua promessa sposa Giunia, figlia di Mario, si trova nella casa di Silla. Questi, per indurre la donna a sposarlo, la convince che Cecilio è morto. Giunia respinge Silla e sulla tomba del padre incontra Cecilio.
Atto II. Aufidio, tribuno romano, consiglia Silla di ottenere l’appoggio del Senato per convincere Giunia a sposarlo. Cinna, al quale Silla ha promesso in sposa la sorella Celia, riesce a convincere Cecilio di non uccidere il dittatore proponendo a Giunia di assecondare le nozze con Silla per poterlo uccidere al momento propizio. Ma Giunia rifiuta pubblicamente le nozze e minaccia di suicidarsi. Cecilio arriva in suo soccorso ed entrambi vengono imprigionati.
Atto III. Celia, convinta da Cinna, ottiene dal fratello di far incontrare Cecilio e Giunia, la quale si dichiara pronta a morire con l’amato. Alla fine Silla decide di liberare Cecilio e consente alle nozze di questi con Giunia e di Cinna con sua sorella. Poi rinuncia alla dittatura e libera i prigionieri politici.

Dopo l’iniziale lungo oblio, l’opera ha avuto recentemente molte riprese (1980 a Zurigo, 1985 Bruxelles, 1991 Vienna, 2006 Venezia e 2013 Barcellona, per indicarne solo alcune) e ora ritorna per la seconda volta alla Scala (la prima volta fu nel 1984 con la regia di Chéreau) con la direzione di Marc Minkowski, una garanzia per questo tipo di repertorio, ma sorpresa: oltre ai tagli ai recitativi e l’eliminazione di alcune arie è stata cassata anche una parte, quella di Aufidio, tenore, tribuno amico di Silla, disequilibrando ancora di più la preponderanza femminile rispetto a quella maschile. La grande disponibilità poi di voci di contraltista oggi non spiega l’utilizzo di mezzosoprani en travesti nelle parti ricoperte in origine da castrati, per lo meno per il ruolo di Cecilio portato sulla scena del Teatro Ducale dal Rauzzini.

Il taglio di tre pezzi del secondo atto è stato parzialmente compensato dall’introduzione invece di un’aria concertante nel terzo atto: «Se al generoso ardire» con accompagnamento di corno, fagotto e oboe solisti, tratta dal Lucio Silla di Johann Christian Bach. Più che decimati invece i recitativi.

La compagnia di canto non presenta punte di eccellenza. Silla è sostenuto dalla voce chiara di Krešimir Špicer, eccellente nei recitativi (la sua esperienza monteverdiana è certamente servita), ma debole nelle arie e negli acuti. La Giunia di Lenneke Ruiten ha mostrato subito certi limiti e il loggione alla fine non si è trattenuto dal far sentire il suo piccolo dissenso. Marianne Crebassa, Cecilio, si è dimostrata invece la migliore del cast per sicurezza di emissione, anche se con un vibrato talora eccessivo. Spigliata e dalle agilità precise La Celia maliziosa di Giulia Semenzato. Meno efficace invece il Cinna di Inga Kalna.

Tesa e brillante la direzione di Minkowski in questo suo debutto scaligero e fedele al modello gluckiano cui sembra voler tendere il giovane compositore.

Il regista Marshall Pynkoski costruisce uno spettacolo estremamente tradizionale che non cerca nessunissima attualizzazione e si affida all’eleganza dei costumi di Antoine Fontaine (quella di Vattel e di Marie Antoinette al cinema, per intenderci) per rifare un settecento impeccabile ma senza sorprese. In questa lettura è forse da spiegare la gestualità enfatica dei cantanti, sottolineata spesso da movimenti coreografici insopportabili e stucchevoli – si deve per forza utilizzare il corpo di ballo della Scala? Viva i teatri che non ne hanno uno se il risultato è questo. Belle invece le scenografie lignee, sempre  di Antoine Fontaine, con sullo sfondo paesaggi di rovine italiche. L’allestimento non fa che sottolineare la staticità del libretto di Giovanni de Gamerra, in cui non succede praticamente nulla e manca una qualsivoglia evoluzione dei personaggi e non è da intendere tale la trasformazione in extremis del tiranno che, come nella Clemenza di Tito, trionfa esibendo il suo perdono.

  • Lucio Silla, Equilbey/Cosentino, Parigi, 23 aprile 2016
  • Lucio Silla, Manacorda/Kratzer, Bruxelles, 7 novembre 2017