★★☆☆☆
Una proposta poco convinta
Non si ricorda spesso che Schubert, morto all’età di 31 anni (tre anni più giovane di Mozart, quindi) ha lasciato un’eredità di composizioni altrettanto vasta: il catalogo Deutsch arriva a contarne 998, fra cui 21 sonate per pianoforte, 15 quartetti per archi, dieci sinfonie, quattro messe, oltre seicento Lieder e otto opere compiute. Fierrabras (1823), opera eroico-romantica, porta il numero d’opus D796 e appartiene quindi agli ultimi anni della breve vita del musicista che non ne vide mai la rappresentazione né ricevette il compenso per questo lavoro.
Sette anni dopo la sua morte ne fu data una versione da concerto, ma bisogna aspettare il 1897 per la prima rappresentazione in forma scenica, seppure tagliata e adattata ai gusti dell’epoca. Abbado nel 1988 fu il primo a dirigerne a Vienna una versione completa e registrata dalla Deutsche Grammophon. Questa del 2007 è una produzione dell’opera di Zurigo, teatro che negli ultimi tempi è diventato tra i più interessanti a livello mondiale per qualità e quantità di proposte.
La riproposta di quest’opera di Schubert getta un po’ di luce su quel periodo del teatro musicale tedesco della prima metà dell’ottocento che, nonostante la presenza di Schumann, Spohr, Mendelssonh, Weber e Beethoven, tutti autori più o meno prolifici d’opere, era di fatto dominato dagli italiani Rossini, Bellini e Donizetti.
Il debole libretto di Joseph Kupelwieser è tratto dai racconti su Carlomagno pubblicati a inizio secolo e narra, tra l’altro, delle vicende di Emma, figlia del re dei Franchi, del suo segreto fidanzato Eginhard e del Moro Fierrabras con la sua finale conversione al Cristianesimo.
Atto primo. Tre segreti legami amorosi si intrecciano: quello di Emma, figlia di Carlo Magno, con il cavaliere Eginhard, di umili origini, che non potrà sposare; di Fierrabras, moro vinto ma graziato dal re, anch’egli innamorato di Emma; di Roland con Florinda, sorella di Fierrabras. Eginhard, dovendo partire per una missione di pace presso il re moro, canta una serenata d’addio a Emma, ma viene salvato da Fierrabras che si sostituisce a lui ed è imprigionato come traditore.
Atto secondo. Eginhard, in territorio nemico, rivolge un toccante saluto alla patria, ma viene fatto prigioniero dai Mori; lontana, in un castello, Florinda pensa a Roland, oggetto del suo amore. Giunge l’ambasceria dei paladini franchi al re Boland: alla notizia che suo figlio Fierrabras si è convertito, sdegnato li fa incarcerare; Florinda, decisa a tutto per amore tenta di farli fuggire, ma solo Eginhard vi riesce.
Atto terzo. Nel castello di Carlo, Emma confessa al padre il suo amore per Eginhard e l’azione generosa di Fierrabras, che viene liberato. Sopraggiunge Eginhard e insieme con l’amico Fierrabras si accinge a guidare i Franchi. Il principe dei Mori ha fatto preparare il rogo per Roland e Florinda e i paladini rimasti nella torre si accingono a seguirlo. Ma il sopraggiungere dei Franchi impedisce l’esecuzione: i Mori sono sconfitti e Boland, sfuggito all’uccisione da parte di Roland, si converte al cristianesimo; le due coppie di innamorati riuniti possono celebrare con Carlo il trionfo.
Nella forma di Singspiel con parti recitate (lunghe…) e cantate, la grande vena melodica di Schubert rifulge in molte belle arie, nell’ouverture e nei cori. Ma da qui a dire che si tratti di un’opera avvincente ce ne passa. La sua maggiore debolezza sono i pezzi di insieme e i passaggi d’azione, quelli in cui Verdi e Wagner saranno maestri insuperati, per non dire di Mozart. Come nel Fidelio la tromba fuori scena ha un ruolo decisivo nella vicenda, ma qui l’annuncio viene reiterato più volte e si perde quindi il meraviglioso effetto che ha invece nel capolavoro beethoveniano.
La scena è fissa e claustrofobica: un interno in stile biedermeier con arredi fuori misura (una sedia, un orologio a cucù, un pianoforte…) che fanno un po’ effetto L’enfants et les sortilèges. Aleggia in tutta la produzione un’aria da recita in famiglia, con costumi di tutti i giorni, spade di legno e recitazione che non va oltre la buona volontà, ma i versi del libretto occorre dire che non aiutino molto. Direzione brillante di Franz Welser-Möst.
Nel ruolo eponimo il divo del momento, Jonas Kaufmann, non molto moro, anzi con il pallore e l’aspetto dell’eroe romantico, cerca di fare del suo meglio per dare credibilità al suo personaggio. Buono il rimanente del cast con nomi non molto noti al pubblico italiano. Da citare almeno la coppia Eginhard (Christoph Strehl) ed Emma (Juliane Banse).
Onnipresente in scena e spesso in maniera decisamente fastidiosa la figura di Schubert, l’attore Wolfgang Beuschel, indaffarato a manovrare i suoi personaggi, passare loro la pagina di spartito che devono cantare o il foglio con i versi da recitare, suggerire battute, distribuire copricapi, aprire e chiudere porte. Non tutto è chiaro nelle intenzioni del regista Claus Guth (a un certo punto il pianoforte viene sospeso a mezz’aria come in una installazione di Rebecca Horn ed Emma si imbratta di sangue all’interno di una casa di bambole) e nei due DVD non ci sono extra in cui egli ci possa dire qualcosa di più. Una cosa però è chiara: il regista è il primo a non credere nell’opera!
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