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Bohuslav Martinů, The Greek Passion
direzione di Ulf Schirmer
regia di David Pountney
luglio 1999, Festival di Bregenz
L’ultima opera del compositore ceco Bohuslav Martinů era destinata originariamente alla Royal Opera House Covent Garden per la stagione 1957-58, ma il soggetto fu giudicato inopportuno in un momento di tensione tra il Regno Unito e la Grecia sulla questione di Cipro, la produzione annullata e The Greek Passion fu presentata postuma a Zurigo nel ’61 in una nuova versione. Il libretto in lingua inglese è dello stesso compositore ed è tratto dal romanzo Cristo di nuovo in croce (1948) di Nikos Kazantzakis, autore dei più noti Zorba il greco e L’ultima tentazione.
L’orchestra di Martinů non rinuncia a un certo gusto slavo nel carattere sinfonico dei numeri musicali intervallati ai dialoghi parlati. Il grande ruolo affidato al coro apparenta quest’opera a quelle della tradizione russa, ma l’utilizzo della lingua inglese introduce un elemento straniante. L’intenzione del compositore era quella di rendere il suo lavoro di più facile presa sul pubblico con questa lingua, la stessa nella quale aveva letto il romanzo di Kazantzakis.
La scena della vicenda è il villaggio di Likovrissi dove ci si prepara all’allestimento della rappresentazione della Passione di Cristo per la futura Pasqua. Vengono distribuiti i ruoli e per quello di Cristo viene scelto il pastore Manoliòs, per la Maddalena la giovane vedova Katerina. L’arrivo di rifugiati greci guidati dal pope Fotis e scampati alla distruzione del loro villaggio da parte dei turchi trova l’ostilità del locale prete ortodosso, il pope Grigoris, che li vuole cacciare. Manoliòs e altri suoi compagni aiutano invece i rifugiati ad accamparsi in un campo vicino venendo così in contrasto con i vecchi del villaggio che sentono minacciata la loro autorità. Nell’identificazione di Manoliòs con la figura di Cristo Grigoris vede un motivo per scomunicarlo e incitare i compaesani a ucciderlo. Dopo l’assassinio di Manoliòs i rifugiati si allontanano in cerca di un nuovo asilo.
Nel 1999, quando l’opera venne messa in scena al Festival di Bregenz, la questione dei profughi non era ancora così esplosiva com’è ora e il regista David Pountney aveva puntato la sua lettura sull’ipocrisia della chiesa e il suo potere. Il finale era un forte atto di accusa: quando Manoliòs viene ucciso il pope si lava le mani e si mette a mangiare, la neve scende sui profughi che muoiono di freddo mentre i benestanti al caldo in chiesa cantano l’Alleluja.
Nella produzione viene impegnato un cast di interpreti importanti: per i due preti ortodossi Esa Ruuttunen ed Egils Siliņš, Christopher Ventris è Manoliòs mentre Nina Stemme è Katerina. Nei ruoli minori si fa notare l’imponente Capitano, Richard Angas che qui disimpegna anche un ruolo parlato.
Tra i recenti allestimenti si ricorda quello del 2005 a Salonicco in lingua greca. L’anno successivo è la Supraphon a pubblicare un’edizione cinematografica basata sullo spettacolo allestito al Národní Divadlo di Praga in ceco.
A Palermo nel 2011 c’è stata la prima italiana, nella versione originale, con la regia di Damiano Michieletto che ha cercato di mettere in relazione le vicende narrate nell’opera di Martinů con quelle dell’attualità. Qui sotto un’immagine dell’“architettura sociale” ideata da Paolo Fantin per lo spettacolo del Teatro Massimo.
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