
★★★☆☆
«L’enfer t’écoute!»
Come il Werther anche Le Roi d’Ys inizia con un canto natalizio, ma mentre nell’opera di Massenet si tratta di un breve coro di bambini ironicamente cantato nel mese di luglio, qui in Lalo, dopo l’articolata ouverture che ha preso sovente il cammino dei concerti sinfonici, è un lungo pezzo musicale in cui i sudditi acclamano il loro monarca per la guerra finita. Simile è anche il tema musicale, come se Massenet avesse voluto burlarsi del maestro di vent’anni più vecchio.
Il soggetto, tratto dalle saghe celtiche, è scelto in onore della moglie di Lalo, il contralto Julie de Maligny, brettone, per la quale è scritto il ruolo di Margared. Il compositore inizia a lavorare all’opera su libretto di Édouard Blau nel 1875 e la completa in tre anni. Le difficoltà del montaggio scenico però sono tali che l’opera viene ritirata dal repertorio del Théâtre Lyrique dove era previsto il debutto, e anche dell’Opéra nel 1879. Solo estratti vengono presentati in forma di concerto con la moglie cantante. Finalmente il 7 maggio 1888 e molto rimaneggiata, l’opera di Lalo debutta allo Châtelet con grande successo di pubblico e nel giro di un anno viene replicata un centinaio di volte, riscattando in tal modo fiasco della prima opera, Fiesque (1873).
L’ambientazione è quella della mitica isola d’Ys, secondo la leggenda la capitale del Regno di Cornovaglia. Atto primo. Margared, figlia del re d’Ys, è promessa sposa al principe straniero Karnac in cambio della pace. Lei non lo ama e tiene nascosto il suo vero amore, Mylio, alla sorella Rozenn in quanto anch’ella innamorata dello stesso uomo, che tutti credono morto in battaglia. Invece Mylio ritorna e Margared ritira il suo consenso alle nozze nella speranza di conquistarlo. Karnac offeso dal gesto promette di vendicarsi. Atto secondo. La città è stretta d’assedio da Karnac. Mylio parte per la battaglia contro il nemico sicuro della vittoria in quanto avvertito dei buoni auspici avuti da san Corentino. Il re gli promette la mano della figlia Rozenn qualora ritornasse vittorioso. Margared svela alla sorella il suo amore per Mylio e, nonostante le parole di conforto di Rozenn, si augura che Mylio possa perire nella battaglia e maledice l’amore fra i due. Tornato vincitore, come promessogli dal re, Mylio sarà lo sposo della figlia Rozenn. Margared sentendosi tradita da tutti, decide allora di vendicarsi svelando allo sconfitto Karnac il modo per inondare la città di Ys e farla inabissare nell’oceano. La statua di San Corentino si anima e li ammonisce intimando loro il pentimento. Atto terzo. La città di Ys è in festa per le nozze di Mylio e Rozenn. Intanto Margared sempre più inviperita contro la sua città istigata da Karnac gli svela come aprire le chiuse. Il re si duole dell’assenza della figlia Margared, ma Rozenn rincuora il padre dicendogli che ritornerà sicuramente dal momento che ella prega affinché Margared ritorni sana e salva. Margared nascosta sente le parole dei famigliari in preda al rimorso. Tutto viene interrotto dalle grida di terrore che arrivano da fuori e Margared appare dicendo di fuggire per salvarsi dalle acque dell’oceano che stanno invadendo le strade della città. Mylio svela al re che Karnac, che lui ha ucciso, aveva aperto le dighe. Margared viene messa in salvo dal padre nonostante dal rimorso voglia morire. Tutti sono in preda al panico: l’acqua continua a salire e Margared svela che è lei la vittima da sacrificare per placare le acque in quanto complice di Karnac. I superstiti gridano per il sacrificio della infame principessa, ma il re, Rozenn e Mylio la difendono. Distratti dal fragore di un tuono Margared riesce a scappare e a gettarsi nelle acque. La città è salva.
Lalo in quest’opera si rivela il grande sinfonista che è, mentre come operista si adegua a tutte le convenzioni del tardo grand opéra. «L’ascendente wagneriano si può indovinare nella catastrofe finale, con il suicidio come offerta espiatoria; anche la contrapposizione dei timbri vocali delle protagoniste (un soprano leggero e un falcon) richiama alla coppia Elsa-Ortrud, per quanto abbia non pochi antecedenti anche in terra francese, da ultimo proprio nelle figure antitetiche e complementari di Micaëla e Carmen. I contatti con Wagner si arrestano però a questi spunti episodici e non vanno a irradiarsi nel tessuto compositivo, che resta suddiviso in numeri chiusi che Lalo tenta di raccordare, ma che nella realtà restano impermeabili l’uno all’altro come ostriche. Echeggiano qua e là alcuni temi popolari, ma l’esotismo non riesce ad attecchire in maniera feconda, esaurendosi in alcune trovate di sapore boccaccesco, come l’arrembaggio dei fidanzati all’inizio del terzo atto; mancano quelle striature di sapore arcano che costituivano il fascino della Symphonie espagnole, qui soffocate nelle maglie più serrate di una strumentazione che aspira a grandiosità beethoveniane (maestro di Lalo era stato Habeneck), rinunciando alle arguzie della géométhrie più consanguinea alla spirito francese. La godibilità delle arie e la teatralità coinvolgente di alcune situazioni hanno comunque aiutato Le Roi d’Ys a imporsi, almeno in Francia, come una delle opere più amate nel repertorio di fine Ottocento; per quanto l’originalità di Lalo non vada ricercata in campo teatrale, anche questo lavoro, seppure appesantito da declamati un po’ monocordi e da eccessi nello stile del grand opéra, contiene oasi di canto indimenticabili». (Anna Tedesco)
Con la concertazione di Patrick Davin e la messa in scena di Jean-Louis Pichon, Le Roi d’Ys arriva all’Opéra de Wallonie nell’aprile del 2008 e la sua registrazione è la prima in assoluto del lavoro di Lalo. Nonostante il titolo, è Margared la vera protagonista dell’opera, qui un’intensa Giuseppina Piunti. Werner van Mechelen veste le panni del perfido Karnac e Sébastien Guèze, quasi un haute-contre, dà voce a Mylio. Piuttosto tetra la scenografia di Alexandre Heyraud che risolve comunque con efficace semplicità il cataclisma finale. Il regista Pichon neppure tenta una regia attoriale sui personaggi che rimangono abbozzi poco plausibili e senza alcuno spessore psicologico.
⸪