Demetrio e Polibio

foto © Studio Amati Bacciardi

Gioachino Rossini, Demetrio e Polibio

★★★★☆

Pesaro, Teatro Rossini, 23 agosto 2019

I fantasmi dell’opera

Recenti studi hanno datato il probabile incontro di Rossini con i Mombelli al 1810. Bizzarro “carro di Tespi”, la famiglia che gli commissiona il lavoro era formata dal 55enne Domenico, che fungeva da capocomico, tenore e compositore (è probabile che qualche pezzo del Demetrio e Polibio sia di sua mano) mentre la figliolanza si ripartiva i ruoli di prima donna (la maggiore Ester), di musico (l’altra figlia Anna, «toujours habillée en homme» come scrive Stendhal), di secondo tenore (il figlio Alessandro) e di basso (il domestico “factotum” Lodovico Olivieri). La seconda moglie Vincenzina Viganò quando era necessario si occupava dei libretti, come nel caso di questo “dramma serio” in due atti. Le pagine da musicare venivano fornite al compositore in ordine sparso dalla Viganò e tutte insieme diventarono la sua prima opera il cui debutto avvenne al Teatro Valli di Roma il 18 maggio 1812. Ironia della sorte, il compositore “buffo” per antonomasia – e ancora oggi tale è considerato all’estero, soprattutto nei paesi di lingua tedesca – inaugurava il suo catalogo operistico con un dramma serio.

Lo sconnesso libretto subì gli strali dei censori che vi ravvisarono cascami metastasiani e le trite convenzioni dell’opera seria, con versi estremamente prevedibili e assenza di vero dramma, tanto da rendere questa quasi un’involontaria parodia dell’opera seria. Ma la musica venne invece apprezzata, quantunque difettasse di organicità per i motivi appena visti. Pur nei limiti di un lavoro assemblato sulla poetica degli affetti e delle situazioni sceniche convenzionali su cui si basava l’opera del tempo, Rossini dimostrava una qualche originalità nel voler abbandonare gli stilemi dell’opera napoletana per una «levità di tocco», è ancora Stendhal ad avvertirla, che costituirà la cifra del compositore maturo. Non pochi sono poi gli influssi mozartiani sulla partitura: l’aria di Siveno «Perdon ti chiedo» ha più di un richiamo al salisburghese e la scena con aria «Superbo, ah! Tu vedrai», con i suoi vertiginosi salti di registro, è un compendio di tutti gli artifici vocali dell’“aria di vendetta” – dove Lisinga diventa una seconda Regina della Notte.

Nel 2010 il ROF aveva presentato quest’opera affidandola agli studenti di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino sotto la supervisione di Davide Livermore. La produzione fu poi oggetto di una registrazione in DVD. Ora nella ripresa curata da Alessandra Premoli, di quella regia sono mantenuti i caratteri intriganti. L’inconsistenza dei personaggi aveva indotto il regista torinese a farli diventare fantasmatiche figure teatrali che rivivono la loro storia quando il sipario si chiude e le luci si spengono. Ecco quindi personaggi sdoppiati, immagini ingannevoli, specchi magici, mani che attraversano i corpi, candele fluttuanti, fiamme nelle mani, trucchi abilmente inseriti in una messa in scena che a distanza di dieci anni mantiene il suo fascino, pur avendo perduto un po’ l’effetto sorpresa che aveva avuto allora.

Quest’anno viene messo in campo un cast vocale di tutto rispetto: con soli quattro personaggi l’opera costringe gli interpreti a una presenza quasi continua in scena, ma non danno alcun segno di stanchezza Jessica Pratt (Lisinga), Cecilia Molinari (Demetrio-Siveno), Juan Francisco Gatell (Demetrio-Eumene) e Riccardo Fassi (Polibio).

Nella recensione del disco scrivevo che per Lisinga ci voleva una fuoriclasse. Ecco, ora c’è, anche se nemmeno il soprano anglo-australiano riesce a dare spessore a un personaggio che non ce l’ha (come d’altronde non ce l’hanno nemmeno gli altri): Lisinga sembra lì solo per esporre i fuochi d’artificio di una vocalità che non si fa mancare nulla, dai trilli, ai legati, agli acrobatici sbalzi, ai sopracuti, tutti quanti infilzati dalla Pratt con sorprendente professionalità, anche se con la solita freddezza. Qui di fuoco c’è solo quello fatuo dei trucchi del mago Alexander, ma è tutta colpa del libretto. Eccellente prova è quella di Cecilia Molinari, Demetrio-Siveno, quindi en travesti. Bel timbro e sensibilità di espressione messi in luce nella toccante «Perdon ti chiedo, o padre» sono le qualità del giovane soprano di Riva del Garda. Sovrani rivali e padri amorevoli, Demetrio e Polibio trovano in Juan Francisco Gatell e Riccardo Fassi, rispettivamente, altri due interpreti di eccezione. Raffinato stilista e rossiniano doc il primo, al timbro luminoso e alla facilità negli acuti il tenore unisce una presenza vocale e scenica di tutto rispetto. Il secondo, ammirato in due lavori di Bellini alla Scala e al Regio di Torino, esibisce una voce di basso ben timbrata e un portamento di grande eleganza. Preciso ed efficace si è rivelato il coro maschile del Teatro della Fortuna M. Agostini preparato da Mirca Rosciani. Alla testa dell’orchestra Filarmonica Gioachino Rossini il direttore Paolo Arrivabeni mantiene in perfetto equilibrio la buca orchestrale e le voci in scena, tirando fuori dalla partitura le bellurie strumentali che già sono presenti, anche se in piccola parte, in questo «primo fiore dell’immaginazione di Rossini» (Stendhal).

Con i calorosissimi applausi del pubblico rivolti agli artefici della bella serata si è così felicemente concluso il 40° ROF. Appuntamento ad agosto 2020 con tre nuove produzioni: Moîse et Pharaon, Elisabetta Regina d’Inghilterra e La cambiale di matrimonio.

 

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