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Richard Strauss, Die ägyptische Helena (Elena egizia)
★★★★☆
Milano, Teatro alla Scala, 6 novembre 2019
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Approda alla Scala la nave di Menelao. A bordo Elena, la “bella tra le belle”
Per la prima volta alla Scala, e la seconda volta in Italia dal 1928, anno della prima rappresentazione a Dresda, viene rappresentata Die ägyptische Helena (Elena egizia), la penultima collaborazione di Hugo von Hofmannsthal con Richard Strauss. Il librettista aveva proposto al compositore il soggetto ellenistico della bella Elena, la donna a causa della quale era scoppiata la Guerra di Troia, ma il testo mescolava il mito omerico con quello euripideo. Di ritorno da Troia Menelao ha intenzione di uccidere la moglie che l’ha tradito, ma la maga Etra impedisce il delitto facendo naufragare la nave su un’isola vicino all’Egitto, dove il re beve una pozione che gli fa credere che non fosse stata Elena a lasciarlo, ma che ad andare a Troia con Paride fosse stata una sua immagine fantasmatica e che la donna per tutto questo tempo fosse stata addormentata. Ora essa viene riconsegnata al marito fedele e bella come era all’inizio. Il risultato è la riconciliazione dei due coniugi dopo un episodio in cui compaiono dei guerrieri del deserto guidati da Altair e dal figlio Da-ud.
Atto primo. Su una una piccola isola non lontano dall’Egitto, la maga Etra, compagna del re del mare Poseidone, viene a sapere da un’enorme conchiglia onnisciente che Menelao si trova su una nave con la moglie Elena e sta per ucciderla. Etra scatena allora una tempesta per impedire il delitto. Scaraventata dalle onde, la nave dei due giunge sull’isola e Etra, non veduta, ode il dialogo tra i due sposi: Menelao non sopporta il tradimento inflittogli da Elena fuggendo con Paride, e perciò ha tentato di ucciderla, nonostante ella avesse già manifestato il suo pentimento. A questo punto Etra scatena contro Menelao gli elfi e dà un riparo a Elena presso il suo palazzo. Quando Menelao torna dal combattimento con gli elfi, Etra gli fa bere una pozione che cancella la memoria e gli racconta che quella amata da Paris non era che un’ombra: la vera Elena era stata condotta al palazzo molto tempo prima dal padre di Etra e lì aveva sempre dormito, sognando il ritorno dello sposo. Infine mette al corrente Elena del suo operato e indica ai due la dimora che ha preparato per loro ai piedi dell’Atlante.
Atto secondo. Ai piedi dell’Atlante, mentre Menelao dorme ancora, Elena esprime con il canto la gioia per la seconda notte di nozze appena trascorsa con lui. Giungono però i guerrieri del deserto guidati da Altair e da suo figlio Da-ud, entrambi attratti dalla bellezza di Elena. Menelao, geloso, scambia Da-ud per Paride, ma accetta l’invito di questi a recarsi con lui a caccia. Appare Etra per avvisare Elena di averle dato non solo la pozione che cancella la memoria ma anche quella che la restituisce. E mentre Elena respinge le profferte amorose di Altair, giungono i servi a riferire che Menelao ha trafitto Da-ud. Elena porge a Menelao, fuori di sé, la pozione della memoria: dapprima ritorna animato da sentimenti di vendetta ma poi, complici gli occhi innamorati della moglie, le accorda il perdono accettando le contrapposte immagini delle due Elena. Etra scaccia Altair e gli sposi possono ricongiungersi e riabbracciare la figlia Ermione, richiamata presso di loro da un nuovo sortilegio della maga.
Quasi coeva di Intermezzo, l’altro dramma borghese che parla della crisi di una coppia, qui la vicenda dei coniugi è intercalata da irruzioni dell’elemento fantastico, con pozioni magiche, folletti e miraggi. Hofmannsthal vuol quasi farsi gioco dell’elemento psicologico nell’arguto libretto che presenta gli opposti caratteri della tragedia e della commedia, del mito e della storia. Di conseguenza il vocabolario musicale è molto variegato, ricco di melodie, anche se non è mai definito un confine rigido tra l’aria e il recitativo: tutto si regge su un arioso che si adatta alle diverse situazioni. Nonostante un imponente organico strumentale, l’orchestrazione è leggera e alla ricerca di un edonistico colore esotico ben messo in evidenza dal direttore Franz Welser-Möst, specialista straussiano che ritorna nel teatro milanese pochi mesi dopo l’Ariadne auf Naxos. Sotto la sua bacchetta l’orchestra del teatro dà vita a una lussureggiante partitura che richiama l’esotismo della Salome, ma qui raramente se ne raggiungono i climax drammatici. Al contrario l’orchestra è straordinariamente trasparente come quando l’apparizione di Elena nel primo atto avviene su un motivo ondeggiante che ricorda l’inizio del Ring wagneriano. Che siamo negli anni ’20 ce lo ricordano poi le dissonanze che accompagnano la figura di Da-ud.
Il difficile compito di equilibrare la buca con le voci in scena è ottenuto dal direttore austriaco anche grazie a degli interpreti di eccezione che hanno nel Menelas di Andreas Schager il punto più alto. La sua è una voce di Heldentenor che unisce alla potenza sonora impressionante il colore abbagliante del timbro. Uno dei più rinomati Siegfried dei nostri giorni, qui nel faticante ruolo del re spartano non dimostra mai un attimo di stanchezza. Gli fa da contrappunto un’altra cantante wagneriana, prossima Brünnhilde a Madrid, Ricarda Merbeth, che rappresenta la donna di bellezza ideale per eccellenza – il tema della bellezza è l’idea fissa di un libretto in cui le parole schöhne, schöhnste, Schöhnheit sono ossessivamente ripetute più di trenta volte e «O Schönste der Schöhnen» (O tra le belle la più bella) è il saluto iterato dagli elfi. Lunghi capelli biondi e sfavillante abito di paillettes azzurre, il soprano tedesco concentra soprattutto nella voce l’incanto seduttore del personaggio e anche se eccessivamente vibrato il timbro è luminoso e gli acuti sicuri. Eva Mei è la Maga Aithra, il lato seducente della magia, a suo agio nella lingua tedesca anche se non sempre la voce riesce a bucare l’orchestra. Una piacevole conferma è la proprietà di dizione di Thomas Hampson che utilizza al meglio i mezzi vocali in suo possesso e anche se deve rinunciare agli acuti, riesce però a delineare la figura di Altair con molta eleganza. Importanti si sono rivelati gli interventi del coro, distribuito nei palchi di proscenio, e preparato da Bruno Casoni.
Della messinscena di Sven-Eric Bechtholf si ammira la capacità di dare consistenza a questa strampalata vicenda con la chiave dell’ironia: la scena disegnata da Julian Crouch è occupata da un enorme apparecchio radiofonico degli anni ’30 che funge da guscio della onnisciente conchiglia, copia gigantesca di quella da cui Aithra e le sue ancelle sentono le “notizie” della coppia che ritorna da Troia. La scatola intarsiata di radica si apre nel secondo atto per rivelare all’interno le “valvole” che racchiudono i guerrieri del deserto. Le videoproiezioni di Josh Higgason, il gioco luci di Fabrice Kebour e gli elegantissimi costumi di Mark Bouman declinati sugli abiti anni ’20 in stile déco per i personaggi femminili hanno reso particolarmente attraente questa rara proposta. Il pubblico non foltissimo ha tributato calorosi applausi allo spettacolo dimostrando particolare apprezzamento per Andreas Schager e il direttore Franz Welser-Möst.
⸪