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Ruggero Leoncavallo, Pagliacci
★★★★☆
Salisburgo, Größes Festspielhaus, 28 marzo 2015
(registrazione video)
L’Otello della fiera di paese
Seconda parte del dittico verista per la prima volta al Festival di Salisburgo del 2015. Nella messa in scena di Philipp Stölzl mentre in Cavalleria rusticana era tutto un nostalgico bianco e nero cinematografico, qui invece c’è il teatro con i colori forti e saturi di un quadro espressionista, quasi un Franz Marc.
Il prologo avviene nel via vai della fiera di paese che il regista si sente in dovere di inquadrare compromettendo l’effetto del momento più rivoluzionario dell’opera. Anche qui la scena è divisa in sei moduli – due riproducono la stessa camera di Canio e Nedda. Si perde l’effetto sorpresa ed è anche meno giustificabile: in Pagliacci la scena è praticamente unica. Solo nel finale ha una sua efficacia quando la “commedia” è rappresentata in alto come viene vista dal pubblico in basso e con le proiezioni del primo piano di Canio. Il regista esalta il tema del teatro nel teatro nel teatro: noi siamo spettatori di uno spettacolo di cui vediamo all’inizio gli attori che si salutano, scherzano, per poi diventare i personaggi del dramma per poi diventare le maschere della commedia dell’arte nell’ingenua farsa messa in scena dalla sgangherata compagnia.
Il personaggio di Canio è fin da subito presentato nella sua brutalità quando prende a schiaffi un bambino o si ubriaca. In canottiera, barbetta a punta e tatuaggi sparsi, Kaufmann offre una magnifica prova attoriale. Il suo «Vesti la giubba» non è un numero di esibizione vocale, bensì un momento meditativo di terribile solitudine – e senza i soliti singhiozzi. Qui Canio si trastulla compulsivamente con un coltello a serramanico invece di truccarsi; si trucca infatti durante lo straziante intermezzo orchestrale. È a lui che poi viene giustamente assegnata l’ultima battuta dell’opera «La commedia è finita!» (che talora è affidata a Tonio) sussurrata da Kaufmann con agghiacciante freddezza. Vocalmente maiuscola la sua interpretazione che copre tutta la gamma dell’espressività, dalle insinuanti mezze voci al grido feroce.
Tonio è uno Jago che per fomentare la patologica gelosia di Canio invece del fazzoletto usa la cravatta che Silvio ha perso dopo il suo ultimo incontro con Nedda. Qui è Dimitri Platanias, che la ricanterà nell’allestimento di Pappano/Michieletto a Londra a dicembre dello stesso anno. Drammaturgicamente convince poco, ma vocalmente è efficace. La Nedda della Agresta è manierata e vocalmente neanche lei convince. Il suo duetto con un Silvio deludente non decolla mai: teatralmente e musicalmente questo è il momento meno felice dello spettacolo. Bella la voce del giovane tenore turco Tansel Akzeybek che aspettiamo in un ruolo più impegnativo di questo di Beppe.
La direzione d’orchestra di Thielemann è meno convincente qui che in Cavalleria e il coro spesso scoordinato. Lo spettacolo ha infiammato il compassato pubblico salisburghese e ora è visibile in alta definizione su due dischi Unitel.
⸪