∙
Giacomo Puccini, La fanciulla del west
★★★☆☆
Berlino, Staatsoper unter den Linden, 13 giugno 2021
(video streaming)
Tra Far West e Las Vegas
Riapertura al pubblico della Staatsoper di Berlino dopo la pandemia. Cinquecento spettatori sono ammessi in sala, alcune centinaia davanti allo schermo gigante rizzato nell’area del defunto aeroporto di Tempelhof e molte altre migliaia sono davanti agli schermi casalinghi per la trasmissione in streaming di La fanciulla del west, in una produzione con nomi stellari, a cominciare dal maestro concertatore, Antonio Pappano, in una delle sue poche apparizioni nel teatro berlinese, che si conferma il raffinatissimo esecutore che è. Il punto di forza dell’opera sta proprio nell’orchestrazione, che passa dalla trasparenza strumentale al pieno da musica per film ante litteram, con una forza teatrale che riscatta l’ingenuità del lavoro. E Pappano realizza tutto magistralmente, sia che si tratti del fragoroso incipit, sia dei rari momenti lirici di cui il lavoro è parco rispetto agli altri di Puccini. La partitura è in una versione ridotta, di Ettore Panizza, per poter mantenere gli strumentisti con il distanziamento previsto dalle norme sanitarie, ma il risultato non ne risente. Chi ama quest’opera non soffrirà. E chi non la ama continuerà a non amarla…
Completamente assente l’aspetto romantico o nostalgico, il Far West messo in scena dalla regista americana Lydia Steier evidenzia la violenza e la brutalità della vicenda quasi con cinico sadismo: fin dall’inizio si vede un impiccato che viene scaricato su un pickup sotto lo sguardo di un adolescente che è obbligato ad assistere allo spettacolo. Altre esecuzioni sommarie seguiranno assieme alle continue scazzottate che incorniciano la lezione biblica dei rudi cercatori d’oro e della finale caccia all’uomo. Ambientato ai nostri tempi, la California di Belasco non è distante da Las Vegas a cui si ispirano alcuni momenti dello spettacolo, come la discesa dall’alto in un cuore di luci di Jake Wallace per la sua nostalgica ballata affiancato da due – inutili – acrobate. La “Polka” è un furgone delle bibite con insegna al neon, sul fondo si intravedono proiezioni di immagini naturalistiche, la capanna di Minnie è un’incongrua monocamera in cui bivaccano Wowkie e Billy, due drogati sfatti con un bambino, lo stesso adolescente dell’inizio, di chissà chi. Nel terzo atto la “Polka” è rovesciata, un altro impiccato penzola al cappio e il campo è come investito da un’apocalisse tinta dal cielo rosso e livido dello sfondo. La storia d’amore e redenzione di Minnie e Dick è costretta a forza in questa visione e non risolve la inattualità della vicenda.
Anja Kampe è una fervida Minnie dal registro un po’ limitato per il suo impervio ruolo (la crudeltà di Puccini per i soprani…) e il suo «Anch’io vorrei trovare un uomo» è un grido sforzato. Più a suo agio Marcelo Álvarez come Dick Johnson e Michael Volle come lo sceriffo Rance. Nick (Stephan Rügamer) è qui incomprensibilmente en travesti come bartender in pailletes e nel folto gruppo maschile si notano Viktor Rud (Happy), Łukasz Goliński (Sonora) e Grigory Shkarupa (Jake Wallace), tutti efficaci.
⸪