Zazà

Ruggero Leoncavallo, Zazà

★★★★☆

Vienna, Theater an der Wien, 25 settembre 2020

(video streaming)

La solita storia dell’amore sbagliato

Una messa in scena può migliorare un’opera minore? Questo mi chiedevo guardando la registrazione di Zazà di Leoncavallo prodotta dal Theater an der Wien con la regia di Christof Loy, uno dei metteurs en scène più intriganti del nostro tempo.

La sua regia è lineare, ma molto accurata dal punto di vista interpretativo, con i cantanti che si muovono come attori in un dramma di prosa, il che aiuta molto a ricreare la verità psicologica di questa “commedia lirica”. Leoncavallo la concepì a Parigi negli anni 1882-86 mentre da vero bohémien sbarcava il lunario come pianista accompagnatore nei caffè-concerto, la cui atmosfera è ricreata nella vicenda della soubrette Zazà.

Assieme a La bohème, Zazà è l’altra opera con cui Leoncavallo cerca di uguagliare la popolarità di Pagliacci, ma inutilmente: dopo la prima del 10 novembre 1900 al Lirico milanese diretta da Toscanini, nei vent’anni che seguirono Zazà ebbe una cinquantina di produzioni diverse nel mondo, ma poi finì per perdere il favore del pubblico, o più probabilmente l’interesse dei direttori artistici dei teatri. Sbagliato, perché se proposta ora, lo stesso pubblico riscoprirebbe e apprezzerebbe un’opera che ha una sua piacevolezza da operetta ed è infusa di un sincero sentimentalismo – almeno fino al quarto atto, il più melodrammatico e “verista”. Il testo, dello stesso compositore e di Carlo Zangarini, traduce la commedia Zaza (1898) di Charles Simon e Pierre-Samuel Berton, quest’ultimo il primo Scarpia ne La Tosca di Sardou.

«Il mondo del teatro visto da dietro le quinte, il ruolo dell’attore costretto a recitare nonostante i propri problemi personali: sono temi che Leoncavallo aveva già sviscerato in Pagliacci, e che qui ritornano, seppure in un’ottica meno tragica. Ma al compositore piace mescolare le carte utilizzando temi da caffè-concerto, parodie rossiniane, romanze da salotto, stilemi operettistici. Tanti, forse troppi, sono i personaggi che affollano i camerini e il palcoscenico dell’Alcazar: su tutti domina la figura della protagonista, di cui l’opera delinea un vero e proprio ritratto psicologico. Con “energia disperata” (come prescriveva il compositore), Zazà nel terzo atto declama la sua disperazione e l’amara constatazione dell’impossibilità del suo amore: in stridente contrasto, per sottolineare ancora di più la distanza tra il suo mondo, quello del caffè-concerto, e quello di Milio, un salotto borghese, la piccola Totò suona al pianoforte un’Ave Maria di Cherubini». (Susanna Franchi)

Atto primo. Il retro del palco del caffè Alcazar di Saint-Étienne, in cui un vortice di artisti, giornalisti e camerieri si affannano per gestire la locanda nella sua ora di massima frequentazione. Dopo che una delle cantanti, Floriana ha eseguito un’aria giocosa, è il turno della star dell’Alcazar: Zazà, cantante seducente dall’irresistibile fascino. Col suo triste canto, Zazà ci informa della sua difficile infanzia di bambina abbandonata dal padre e che si deve prendere cura di una madre alcoolizzata. Zazà prova una grande attrazione per Milio Dufresne, che però mostra titubanza nel concedersi ad una donna così enigmatica e affascinante. Tentato con mille astuzie da Zazà, Milio cede e le dà un bacio appassionato prima che lei entri in scena.
Atto secondo. Milio, rattristato, confessa a Zazà di doversi assentare per quattro mesi per un viaggio di lavoro a Parigi che proseguirà poi negli Stati Uniti. Zazà è felice della sua relazione con Milio: dopo tre mesi l’amore fra i due fa che infuocarsi e aumentare. L’idillio s’interrompe quando Cascart, il cantante che solitamente duetta con Zazà e che prova un grande affetto per lei, cerca di dimostrare che Milio ha un’altra donna a Parigi. Zazà, confusa e nervosa, parte alla volta di Parigi con la sua cameriera per risolvere l’atroce dubbio.
Atto terzo. Milio in un’aria disperata esprime tutto il suo dolore perché una volta negli Stati Uniti lascerà Zazà per sempre. Mentre Milio è fuori, Zazà e la cameriera si fanno ricevere in casa sua. Mentre Zazà attende di essere ricevuta trova una lettera in salotto, che prova che Cascart aveva ragione: Milio è sposato. La tragicità della scoperta si fa acutissima quando Zazà conosce Totò, dolce figlia di Milio, che suona per lei un’Ave Maria al pianoforte. Zazà ricorda il dolore provato per l’allontanamento del padre e, distrutta, rifiuta la prospettiva di rubare all’angelica Totò il suo adorato papà Milio. Zazà abbraccia quindi Totò, riconoscendosi in quella pura creatura, e fugge di corsa mentre la moglie di Milio osserva la scena incredula.
Atto quarto. Zazà è tornata all’Alcazar e attende Milio che le ha promesso una veloce visita prima d’imbarcarsi per gli Stati Uniti. Quando Milio giunge da Zazà, ella gli dice di aver scoperto tutto della sua famiglia e di aver conosciuto la dolce Totò. Dilaniata dal dolore afferma di aver svelato alla moglie della sua relazione clandestina con lui. Milio, furibondo e terrorizzato di aver perduto la sua famiglia, la getta a terra e la insulta. Pentita, Zazà svela a Milio la verità: può tornare a casa tranquillamente perché la sua famiglia perfetta lo attende trepidante. La scena si chiude con Milio che si allontana verso la stazione per fare ritorno a Parigi e Zazà che piange la sua solitudine e il suo abbandono.

Nelle scenografie di Raimund Orfeo Voigt non c’è il contrasto tra l’ambiente del café chantant e il «ricco salotto» di casa Dufresne: tutto è molto pulito e austero, addirittura monacale è la stanza di Zazà col letto per terra e le bianche finestre. Una pedana rotante mostra i vari ambienti, anche il divano con la moglie legittima e la bambina durante l’ultimo drammatico colloquio fra i due amanti, un’ingenuità che non ci si aspetterebbe da Loy.

Molte sono le pagine puramente strumentali di Zazà che Stefan Soltész alla testa della Radio-Symphonieorchester Wien ricrea con mano leggera e trasparenza strumentale, sia che si tratti degli atmosferici interludi, sia del drammatico preludio al quarto con quelle sonorità livide e taglienti dei fiati. Più semplice l’accompagnamento delle arie e delle romanze, la cui linea melodica talora un po’ prevedibile ma sempre attenta alla parola è spesso raddoppiata dagli archi, un modo efficace per rendere il tono cabarettistico e la facilità e orecchiabilità delle melodie. Del Coro Arnold Schoenberg questa volta abbiamo solo le voci femminili per il canto fuori scena (preregistrato) delle lavandaie «giù dalla Senna».

Svetlana Aksenova si prende carico della impegnativa parte di Zazà. Instancabile e sempre intensa, il particolare timbro della voce dà un colore leggermente esotico che sta a pennello al personaggio. Particolare è anche l’emissione di Nikolai Schukoff (Milio) con bruschi salti di registro e acuti penetranti ma al limite. Più sicura la vocalità di Christopher Maltman, anche come personaggio Cascart è quello più affidabile e comprensivo. Peccato che la donna abbia scelto l’uomo sbagliato e non sia innamorata di lui, tutto sarebbe stato più facile. Ma così non avremmo avuto Zazà

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