foto @ Ascaf
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Ohad Naharin, 2019
Moncalvo, Orsolina28, 19 giugno 2022
Uno spettacolo che tocca la mente e il cuore
Orsolina28 è un’incredibile realtà del Monferrato, una valle eco-culturale frutto miracoloso dell’intraprendenza privata. Tra la provincia di Asti e di Alessandria e non distante da Vignale, sede di uno storico festival estivo dalle alterne fortune, si è creato uno spazio che sfugge a ogni definizione data la varietà e ambizione degli intenti che stanno alla base della sua ideazione, intenti che hanno al centro di tutto la danza.
In collaborazione col Teatro Stabile di Torino e il Festival TorinoDanza, la Batscheva Dance Company di Ohad Naharin inaugura The EYE, un inedito spazio architettonico di Orsolina28 progettato in collaborazione col coreografo stesso: una capsula architettonica ermetica che però si può aprire sul verde dei campi di ciliegi, una forma ellittica con una gestione molto versatile degli spazi interni che per questa creazione coreografica ospitano una specie di passerella per le sfilate di moda con il pubblico ai due lati lunghi. La vicinanza degli spettatori con i danzatori è portata all’estremo quando nel finale questi si sdraiano, avviluppati in una coperta, sulle ginocchia degli spettatori in una comunanza fisica che trasmette una grandissima emozione, emozione che si era esaltata fin dall’inizio di una coreografia che fa della fisicità dei corpi il suo motivo d’essere.
2019 (il titolo si riferisce all’anno in cui è nato lo spettacolo) è l’ultimo lavoro del coreografo israeliano Ohad Naharin nato in un kibbutz e che soltanto all’età di 22 anni ha iniziato a danzare con la Batscheva Dance Company per poi andare negli Stati Uniti su invito di Martha Graham ed essere accettato alla Julliard School e all’American Ballet. Dopo una breve esperienza con Béjart, Naharin è tornato in Israele come direttore artistico della Batscheva dove ha sviluppato il suo personale linguaggio del movimento (Gaga): una pratica che resiste alla codificazione e che enfatizza l’esperienza somatica del praticante facendogli esprimere i propri istinti animali. Gaga si presenta come un linguaggio di movimento piuttosto che come una “tecnica” di movimento, con l’insegnante che guida i danzatori attraverso una pratica di improvvisazione basata su una serie di immagini descritte dall’insegnante stesso. In linea con l’insistenza di Gaga sul muoversi attraverso la percezione e l’immaginazione, gli specchi sono assenti nella sala prove affinché i ballerini sentano il movimento dall’interno.
I diciotto danzatori di 2019 iniziano a piedi nudi e utilizzano una totale libertà di movimenti che esprimono le loro differenti personalità. Le coinvolgenti musiche includono melodie ebraiche, arabe, libanesi, iraniane, tutto un repertorio mediorientale con testi lasciati nelle lingue originali, per una volta non in conflitto su quella striscia di palco su cui i giovani danzatori si muovono in frenetici zig zag o marciano lentamente, si sfuggono o si abbracciano, definendo spazi pieni o vuoti. Poi, quando indossano degli stivaletti dalle alte zeppe e dai tacchi a spillo stratosferici i movimenti diventano più spigolosi, quasi minacciosi con quelle temibili armi ai piedi… Naharin non costruisce una narrazione, lascia che sia lo spettatore a lasciarsi coinvolgere da quello che vede, non ultimo dagli sguardi intensi di quegli esseri umani a pochi metri di distanza, sguardi non di sfida ma di profonda empatia. Un’emozione fortissima che si stempera nelle ovazioni finali e nella standing ovation di un pubblico grato e totalmente soggiogato.






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