Lucia di Lammermoor

Gaetano Donizetti, Lucia di Lammermoor

New York, Metropolitan Opera House, 21 maggio 2022

★★★☆☆

(live streaming)

Al Met una Lucia splatter che piacerebbe a Quentin Tarantino

Il prezioso manoscritto della partitura della Lucia di Lammermoor andata in scena a Napoli nel 1835 e  custodito nella biblioteca Angelo Mai di Bergamo varca l’oceano la prima volta per essere esposto all’Istituto Italiano di Cultura di New York dove il 21 aprile è stata tenuta una tavola rotonda con la partecipazione di Riccardo Frizza che ha diretto al Metropolitan Opera House l’opera nella nuova produzione di Simon Stone, per la prima volta nel teatro americano, l’ultima delle centinaia rappresentazioni di questo titolo particolarmente frequente al Met. L’ultima delle repliche è stata trasmessa live nei cinema aderenti al progetto “The Met Live in HD”, ed è quella a cui si riferisce questa recensione.

Che la vicenda di Walter Scott abbia ultimamente abbandonato le originali brume della Scozia non fa notizia nei teatri che la mettono in scena in Europa, ma il Metropolitan di New York non si è sempre dimostrato molto aperto a una rivisitazione dei classici della lirica, preferendo regie tradizionali. Già i costumi Ottocento del precedente allestimento di Mary Zimmermann avevano fatto arricciare il naso ad alcuni spettatori, ma ora Simon Stone trasporta «Lucia, closeups of a cursed life» (Lucia, primi piani di una vita infelice) come si legge all’inizio, nella attualità di un desolato paese della Rust Belt. Ed ecco le dichiarazioni del regista: «La Lucia originale si svolge nella Scozia del XVIII secolo con la caduta dell’aristocrazia: è molto importante l’idea che la fine di quest’epoca gloriosa dell’aristocrazia scozzese abbia portato con sé ogni tipo di povertà e decadenza, utilizzando le donne per riconquistare un certo tipo di potere. Cerco sempre di ambientare ogni opera che faccio nel Paese in cui la metto in scena perché voglio parlare in qualche modo al pubblico che la guarda e in questo caso ho cercato di trovare un luogo in America che riflettesse un’epoca gloriosa passata e il posto più suggestivo che ci è venuto in mente è stata la Rust Belt», quell’area degli Stati Uniti dove il declino delle industrie ha lasciato spazio a declino economico e decadenza urbana.

La vicenda è dunque giustamente adattata: non è da un «impetuoso toro» che Lucia viene salvata, ma da un tentativo di rapina sventato da Edgardo, come vediamo durante il preludio; il racconto del fantasma della fontana, che è un impianto idroelettrico abbandonato, è l’omicidio di una giovane ragazza di colore; Edgardo, lavorante in un fast food, deve partire soldato; Enrico è un trafficante di droga e prostituzione i cui affari però vanno male; la lotta fra le casate è la lotta fra gruppi mafiosi; le lettere fra i due giovani sono i messaggi sui social; il «simulato foglio» è una fake news sul cellulare; la torre di Wolferang è un pick up parcheggiato davanti al supermercato e al banco dei pegni. E la scena dell’uccisione è in pieno stile splatter con Arturo ammazzato con un estintore. Ma non è niente in confronto a Lucia che sembra uscita da una doccia di sangue: nella gara a chi ne fa più uso, al momento questa la vince su tutte e l’horror confina col grottesco quando un esercito di zombie con le fattezze di Arturo salta fuori prima della cabaletta «Spargi d’amaro pianto». Prima ancora la festa di nozze era finita in una rissa tra gli invitati e a torte in faccia. Tutto ha una sua logica ma qui, più che altre volte, il contrasto fra le parole che ascoltiamo – il registro letterario dei versi di Cammarano – e le immagini di prosaica contemporaneità è insanabile. Ma c’è da dire che questo problema non riguarda gli spettatori americani che non conoscono l’italiano e hanno a disposizione dei sovratitoli con una traduzione molto libera del libretto.

La piattaforma rotante, di cui Stone è sempre stato un fedele utilizzatore e vero marchio di fabbrica degli allestimenti di oggi, è presente anche in questa scenografia di Lizzie Clachan: si passa quindi con continuità nei paesaggi degradati di motel, parcheggi, diner, cinema drive-in, squallidi cortili con le volgari decorazioni delle nozze. Su uno schermo in alto si vedono i primi piani degli interpreti ripresi da una onnipresente steady-cam, un’idea non originale e che funziona male nella trasmissione video in cui il regista insiste sui primi piani dei protagonisti e si perde l’incessante roteare della piattaforma.

Magnifica la concertazione di Riccardo Frizza, sempre rispettosa delle voci, con tempi giusti, con tutti i tagli di tradizione riaperti e l’uso della glasharmonika nella scena della pazzia. Nadine Sierra è una Lucia notevole per potenza vocale, agilità dipanate con maestria, variazioni nelle riprese e puntature fulminanti. Sempre in primo piano nella ripresa televisiva, si dimostra grande attrice ed è bravissima a non uscire dal personaggio durante gli interminabili applausi a scena aperta. Javier Camarena ha voce leggera e timbro chiaro che lo  connotano come l’innocente capitato in un mondo crudele. Inizialmente più Nemorino che Edgardo, prende quota nel corso della rappresentazione e negli acuti la voce esce fuori in tutta la sua potenza e drammaticità. Artur Ruciński è un Enrico trucido e vocalmente brutale, senza sfumature. Pieno di tatuaggi come un criminale o un affiliato della Yakuza, sniffa coca, si attacca alla bottiglia e ha sempre la sigaretta sulle labbra e il coltello in mano. Christian van Horn sostituisce Matthew Rose con grande autorevolezza nella parte di Raimondo. Ottimo come sempre l’apporto del coro.

Numerosi applausi a scena aperta, ovazioni e standing ovation finale ai quattro protagonisti principali. Qui al Met è importante dare al pubblico quello che si aspetta: immagini forti e acuti.