Mese: febbraio 2023

Agrippina

Georg Friedrich Händel, Agrippina

Drottningholm, Slottsteater, 1 agosto 2021

★★★★☆

(video streaming)

La lucida amoralità della Agrippina

Per il Carnevale 1680 a Venezia c’era stata la Messalina di Carlo Pallavicino (su libretto di Francesco Maria Piccioli) che aveva trattato in musica le ambizioni, le astuzie, gli intrighi della storia romana vista con l’occhio disincantato della Serenissima. Lo stesso ambiente è scelto da Händel per la sua quarta opera (Venezia, Teatro San Giovanni Grisostomo, 26 dicembre 1709), la prima pervenutaci integra.

Ben 41 dei 48 numeri che compongono Agrippina sono autoimprestiti provenienti da musiche preesistenti: dal Rodrigo (Firenze, 1707), dagli oratorii romani e napoletani (Il trionfo del tempo e del disinganno, La resurrezione) e dalla serenata Aci, Galatea e Polifemo. L’opera è dunque un florilegio delle migliori pagine italiane ma è sorprendente come le arie siano perfettamente aderenti ai personaggi. Agrippina ha il tono lieve della commedia, i numerosi “a parte” tendono a rendere lo spettatore complice e la scioltezza narrativa del testo del cardinale Grimani ha un che di imprevedibile con tocchi di pochade quando Poppea riceve i suoi tre spasimanti nascondendoli l’uno all’insaputa dell’altro. Come il Tito di Mozart, anche il Claudio di Händel alla fine perdona tutti, ma si dimostra vacuo più che magnanimo e finirebbe per scontentare tutti cedendo Poppea a Nerone e confermando sul trono Ottone se Nerone non protestasse: «doppio mio castigo è il togliermi l’impero e darmi moglie». Sarà lui quindi il successore, Ottone può unirsi all’amata Poppea e Agrippina vedere coronati i suoi sforzi. L’amoralità vince.

Il tono svagato da commedia è accentuato in questa produzione svedese del regista Staffan Valdemar Holm che utilizza la struttura miracolosamente ben conservata del teatrino del palazzo di Drottningholm per uno spettacolo che punta quasi esclusivamente sulla presenza scenica dei cantanti caratterizzata da una convincente comicità. Le scenografie sono fedeli all’ambiente, con fondali e quinte dipinte, totale assenza di oggetti con cui interagire, una recitazione espressiva (soprattutto per la Poppea della Mameli), o eccessivamente bamboleggiante (il Nerone di de Sá). I costumi di Bente Lykke Møller inizialmente sono dell’epoca della vicenda, poi chissà perché quelli femminili seguono le mode delle varie epoche fino ad arrivare ai giorni nostri saltando di secolo in secolo.

I recitativi sono mantenuti quasi integralmente, ma sono comprensibilmente tagliate molte delle arie di Poppea (I, 17; I, 19; II, 11; III, 5; III, 9), meno comprensibile quella di Ottone del secondo atto «Ti vò giusta e non pietosa». L’italiano Francesco Corti alla guida della smilza orchestra del teatro e al clavicembalo dà il giusto impulso ritmico alla partitura ed evidenzia i tanti bei momenti strumentali solistici, mettendo chiaramente in luce le gemme di questo giovanile lavoro händeliano. Ogni battuta sembra contemporaneamente cesellata e spontanea, il tempo è costantemente vivace, il fraseggio preciso e l’interazione tra strumenti e voci curata nei minimi dettagli.

I cantanti appartengono all’eccellenza di questo repertorio con Ann Hallenberg a delineare con enorme maestria il ruolo del titolo ed è una delizia ascoltare i suoi abbellimenti fantasiosi ma sempre ben equilibrati nei da capo; Roberta Mameli è una Poppea vocalmente e scenicamente spigliata dalle colorature sorprendenti; Kristina Hammarström è un impeccabile Ottone, l’unico personaggio onesto della vicenda. Nahuel Di Pierro come Claudio fa sfoggio di una magnifica tessitura bassa; Bruno de Sá è un Nerone dal tono infantile che però al momento buono nell’aria «Come nube che fugge dal vento» sfodera agilità a velocità supersonica e superacuti prodigiosi, Giacomo Nanni, Kacper Szelążek e Mikael Horned danno vita con grande efficacia ai personaggi di Pallante, Narciso e Lesbo rispettivamente.

Pubblicità