Madama Butterfly

Giacomo Puccini, Madama Butterfly

Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, 13 luglio 2024

(diretta streaming)

★★★★☆

Il Giappone lontano di Puccini

In inglese “to put your foot in” significa fare un errore imbarazzante. È quello che letteralmente fa Pinkerton fin dal primo momento quando sotto lo sguardo della costernata Suzuki che porta un vassoio di acqua ci mette dentro il piede pensando serva a lavarlo. Non sarà l’ultima gaffe che il goffo yankee compirà verso la cultura del paese che lo ospita in questa messa in scena di Andrea Breth della Madama Butterfly a Aix-en-Provence.

Autore non dei più frequentati in questo festival – bisogna arrivare al 2019 per trovare qui un titolo di Puccini, la Tosca “decostruita” di Christophe Honoré, anche allora con Daniele Rustioni sul podio – non poteva mancare nel centenario della sua scomparsa. La regista tedesca mette in scena la “tragedia giapponese” come un Kammerspiel ambientato nei tempi e nei luoghi dell’azione originale, ma con un forte accento sulla psicologia dei personaggi e sulle loro interazioni. Proprio per esaltare le singole personalità, il coro non è presente in scena, dove invece ci sono dei figuranti muti con maschere giapponesi molto espressive nella loro stilizzazione. Efficace la semplice scenografia di Raimund Orfeo Voigt che ricrea con pochi mezzi la casa “a soffietto” sviluppata in orizzontale e davanti alla quale su un tapis roulant scorrono lentamente certi personaggi come figure di un carillon. Con i costumi di Ursula Renzenbrink e le luci di Alexander Koppelmann la drammaturgia lineare e “tradizionale” lascia spazio alle voci, alla musica raffinatissima di Puccini e al geniale testo di quei due scapigliati Illica e Giacosa che giocano con somma arguzia e intelligenza con le parole, come con le terzine di rime baciate di Sharpless – fortunato-toccato-sbocciato, assai-mai-Butterfly, giudizio-sposalizio-precipizio, scede(!)-fede-crede – o con Pinkerton, che interrompe la sua aria «Dovunque al mondo il yankee vagabondo» per chiedere al console che cosa vuole bere, e così «sprezzando i rischi» fa rima con wisky (sic)!

La lentezza dei movimenti, la staticità della figura di Cio-Cio-San inginocchiata che si pettina come nelle incisioni giapponesi di donne alla toilette, l’utilizzo di mimi e delle maschere del teatro Nō, il volo delle gru, tutto tende a sottolineare la distanza tra i due mondi della vicenda, la stessa che separava Puccini dal Giappone della sua epoca e che Andrea Breth evidenzia utilizzando una visione di quel paese secondo le immagini che circolavano a fine secolo.

Il direttore musicale dell’opera di Lione Daniele Rustioni, sul podio dell’orchestra del teatro che è anche coproduttore dello spettacolo, fornisce una lettura sensibile ed accurata della partitura, esaltandone senza troppe smancerie i momenti lirici e realizzando con precisione i passaggi contrappuntistici. Il secondo e il terzo atto sono eseguiti di seguito: il coro a bocca chiusa si collega direttamente al preludio del terzo atto formando una pagina sinfonica di grande bellezza ed emotività. 

In uno dei suoi rôle fetiche più convincenti, Ermonela Jaho, che festeggia proprio durante questa produzione il suo 50° compleanno, incarna una Cio-Cio-San di sconvolgente intensità. Da giovane ragazza fremente di innocente trepidazione, a donna ferma nella sua convinzione del ritorno dell’amato, alla coerenza con cui affronta il suicidio, così come aveva fatto il padre, la Jaho esibisce sicura tecnica ma soprattutto trasmette una forte idea del personaggio, come quando canta «Un bel dì vedremo» in pianissimo, ma con un filo di voce di grande proiezione. Il tenore inglese Adam Smith non esibisce grandi mezzi vocali, ma riesce a rendere Pinkerton ingenuo e goffo, non arrogante e quindi meno odioso del solito. Non ricorre al canto di forza, anzi utilizza piani e pianissimi e nel duetto raggiunge momenti di dolcezza veri ed emozionanti. Insomma, meglio così che un Pinkerton berciante e stentoreo. La Suzuki di Mihoko Fujimura si rivela migliore attrice che cantante, dalla dizione per di più poco comprensibile. Lionel Lhote è un signorile Sharpless dal fraseggio elegante mentre giustamente autorevoli sono lo zio bonzo di Inho Jeong e il Commissario Imperiale di Kristján Jóhannesson. Semplicemente perfetto il Goro di Carlo Bosi. Due ex allievi dell’Académie d’Aix-Marseille, Kristofer Lundin e Albane Carrère, danno vita al Principe Yamadori e a Kate Pinkerton.

Lo spettacolo è disponibile in video streaming sul circuito ArteTv.